Mariano Grossi©
Asimmetrie spiralizzate in Montale
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Si scoprirà leggendo Montale che proprio il tipo di asimmetrie spiralizzate risulta più stranamente levigabile anche nei tentativi traduttivi in altra lingua.
In “Ecco il segno” l’effetto sisma nel gioco delle assonanze e delle rime si ripete e direi si accentua in concomitanza con la brevitas del componimento, ad esaltare la densità degli escamotages stilistici dell’autore in un’asimmetria sempre studiata e volutamente variata:
Ecco il segno; s‘innerva
sul muro che s‘indora:
un frastaglio di palma
bruciato dai barbagli dell’aurora.
Il passo che proviene
dalla serra sì lieve,
non è felpato dalla neve, è ancora
tua vita, sangue tuo nelle mie vene.
Tra le clausole rimate (s’indora/aurora/ancora) torna l’effetto distanziatore: un verso tra le prime due, due versi tra la seconda e la terza, in una sorta di sequenza algoritmica); la medesima distanza presente nella seconda parte di questo trittico ritmico si ritrova nella clausola endostrofica proviene/vene. L’effetto avvicinatore invece vige tra frastaglio e barbagli in un’assonanza extra clausulam. Il poeta poi si scatena in allitterazioni e omeoteleuti in un orgiastico mix di sibilanti e spiranti sonore che sferzano l’atmosfera serrata di una lirica intrisa di sensazioni ottiche e acustiche (la luce dei riverberi solari al mattino, i passi che si avvicinano e sono udibili nonostante il terreno innevato); e, antiteticamente ai verbi sostanziatori di questi effetti (video/sentio), la prima strofa, ottica, reitera ad libitum l’iniziale del verbo uditivo per eccellenza, la seconda, sonora, spiralizza l’uso della consonante ingressiva del verbo visivo. Ma non è l’unico fenomeno nella simbologia lessicale e fonetica che il poeta adotta: neve/vene, così semanticamente e foneticamente speculari nella loro palindromia sillabica, chiudono la lirica in un’antitesi estremamente simbolica, poiché la prima è sema dell’ibernazione delle sensazioni, la seconda è invece il simbolo vitalistico massimo.
Il ramarro, se scocca
sotto la grande fersa
dalle stoppie —
la vela, quando fiotta
e s‘inabissa al salto
della rocca —
il cannone di mezzodì
più fioco del tuo cuore
e il cronometro se
scatta senza rumore —
e poi? Luce di lampo
invano può mutarvi in alcunché
di ricco e strano. Altro era il tuo stampo.
Ne “Il ramarro, se scocca” gli effetti acustici e visivi si mescolano antiteticamente in immagini di vitalismo emersivo (il ramarro resistente e vibrante nonostante il peso zavorrante dell’opprimente malattia degli steli di grano mietuti) e visioni di naufragi di barche; altrettanto antitetico e terribilmente ossimorico l’accostamento tra l’impercettibile evanescenza acustica del cannone e il battito cardiaco ovvero il ticchettio di uno strumento di misurazione del tempo. Ancora una volta la marcatura fonetica e lessicale di questi contrasti è rappresentata dall’asimmetria delle rime (scocca abbinato a rocca dopo quattro versi; cuore abbinato a rumore dopo un verso; come lampo a stampo), dalle due extraclausulam costituite sull’acrostico invano e l’endostico strano e dalle allitterazioni orgiasticamente e rabbiosamente vincolate a sibilanti (scocca / sotto / fersa / stoppie / s’inabissa / salto / se / scatta / senza / strano / stampo), rotanti (ramarro / fersa / rocca / cuore / cronometro / rumore / mutarvi / ricco / strano / altro / era) e vocali di timbro lugubremente chiuso (scocca /sotto / stoppie / fiotta/ rocca / fioco / cuore / cronometro / rumore / poi / può).
Lo sai: debbo riperderti e non posso.
Come un tiro aggiustato mi sommuove
ogni opera, ogni grido e anche lo spiro
salino che straripa
dai moli e fa l’oscura primavera
di Sottoripa.
Paese di ferrame e alberature
a selva nella polvere del vespro.
Un ronzio lungo viene dall’aperto,
strazia com’unghia ai vetri. Cerco il segno
smarrito, il pegno solo ch’ebbi in grazia
da te.
E l’inferno è certo.
Anche in questo Mottetto il registro è simile: distanziamenti ed avvicinamenti nelle clausole di linee (straripa/Sottoripa a intervallo uno; aperto/certo intervallo due); assonanze asimmetricamente quasi contigue (tiro/spiro, oscura/alberature, strazia/grazia e il segno/il pegno) e nuovamente sibilanti e rotanti, consonanti simbolo dell’angoscia e della disperazione, ad aggredire l’orecchio del lettore.
Ti libero la fronte dai ghiaccioli
che raccogliesti traversando l’alte
nebulose; hai le penne lacerate
dai cicloni, ti desti a soprassalti.
Mezzodì: allunga nel riquadro il nespolo
l’ombra nera, s‘ostina in cielo un sole
freddoloso; e l’altre ombre che scantonano
nel vicolo non sanno che sei qui.
Questa lirica dove irrompe ritmicamente dall’inizio alla fine l’enjambement, tutta incentrata sull’idea della donna come visiting angel, si svincola quasi completamente dalla ricerca della rima poiché vi si registra soltanto un’assonanza in clausula (alte/soprassalti); gli altri sono incroci endostrofici come raccogliesti/desti, nebulose/freddoloso, mezzodì/qui, a incastro volutamente variato: mediana la prima, acrostica la seconda, a incipit/desinit la terza; mentre imperano come sempre sibilanti e rotanti ad estrinsecare il malessere del poeta renitente anche al conforto della visita quasi paradisiaca dell’amata.
Molti anni, e uno più duro sopra il lago
straniero su cui ardono i tramonti.
Poi scendesti dai monti a riportarmi
San Giorgio e il Drago.
Imprimerli potessi sul palvese
che s’agita alla frusta del grecale
in cuore … E per te scendere in un gorgo
di fedeltà, immortale.
Anche in ”Molti anni, e uno più duro” si riscontra l’effetto fisarmonica per le clausole rimate (lago / drago intervallo 2, grecale / immortale intervallo 1), l’extra clausulam tramonti / monti e le assonanze asimmetriche (San Giorgio / gorgo) che si nutrono di un frenetico ricorso alle rotanti, consonanti aggressivamente care alla lacerazione interiore del poeta.
Brina sui vetri; uniti
sempre e sempre in disparte (enjambement)
gl’infermi; e sopra i tavoli
i lunghi soliloqui sulle carte.
Fu il tuo esilio. Ripenso
anche al mio, alla mattina (enjambement)
quando udii tra gli scogli crepitare
la bomba ballerina.
E durarono a lungo i notturni giuochi
di Bengala: come in una festa. (no enjambement)
È scorsa un’ala rude, t’ha sfiorato le mani,
ma invano: la tua carta non è questa.
“Brina su vetri” rappresenta forse un unicum simmetrico nella perfetta rispondenza delle rime alternate (A-B-C-B D-E-F-E G-H-I-H) con cadenza mai distanziata, ma la tendenza naturalmente asimmetrica si ripropone sotto altra veste, significando che l’ enjambement del primo componente delle due coppie iniziali di alternate (disparte/mattina) si tronca nel primo membro dell’ultima (festa), laddove il verso è di senso compiuto.
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DESTRUTTURALISMO Punti salienti