Il dualismo in letteratura

Il dualismo in letteratura

Il dualismo in letteratura

Il dualismo in letteratura

Gradisce una bugia? Credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

Il dualismo in letteratura

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Da una parte ci sono i poeti, gli scrittori, e dall’altra i venditori di chincaglieria carabattolosa e muffosa, magari pure sponsorizzati dal sistema. Da un lato ci sono i poeti che dicono: “ah, a me non importa nulla di vendere, io faccio arte, io vivo di ideali, non di ricchezza” (beati loro!); e dall’altra ci sono i venditor di fuffa oppur no che sfondano e vendono. Messa così sembrerebbe la lotta di Davide contro Golia, l’arte contro la parte. Tutto bellissimo. Gli schemi dualisti però non mi hanno mai convinto. L’inesattezza di questo trito manicheismo di fondo, è confermata dalla riflessione. Forse si è realizzati quando si soddisfano gli ideali e si diventa “ricchi” e non di aria, di luce, di pace, che pur mi piace, ma proprio di luridi volgarissimi quattrini. E dico questo non per i soldi in se stessi che sono nulla, sterco del diavolo, ma perché se te li fai seguendo i tuoi ideali, significa che gli ideali hanno funzionato, in qualche modo attecchito. Per esempio, uno scrittore che non vende tanto, segue i suoi ideali ma questi non hanno fatto alcuna presa sul pubblico dei lettori, perché se non vende, significa che la gente non lo legge, e che quindi non esiste letterariamente parlando. Può essere mai contento? E viceversa uno scrittore che vende ma scrive pattume commerciale e sta sui social e in tv a fare il volantino politico vivente e il buffoncello, si fa i soldi, ma ha perso l’ideale. Può esser mai felice? Forse sì, ma occorre che sia indubitabilmente molto sciocco e venale.

Poi c’è il miracolato, l’oppur no di cui ho anticipato prima, cioè quello che scrive cose di qualità e che riesce a pubblicare con la grossa editoria perché magari ha conosciuto un santo che lo ha presentato, magari anche per caso. Dire che la grossa editoria pubblica solo mondezza, può essere uno slogan consolatorio per chi all’uva non arriva, ma non del tutto vero. Non statisticamente spesso, considerando la mole delle pubblicazioni che sfornano, ogni tanto i grossi editori danno alla luce qualche libro decente che magari nemmeno mettono in vetrina, ma di certo vende di più di chi pubblica con i vari Pinko Palla.

Se è vero, come diceva San Oscar Wilde, che gli scrittori si dividono in due sole categorie, quelli che sanno scrivere e quelli che non sanno scrivere, è pur vero che ci sono molte variabili da tenere in considerazione. In primis l’aleatorietà delle definizioni e auto-etichettature. Come fai a dire quello è un poeta e quello no? Come fai a definirti poeta? Oggi la differenza è determinata dal marketing e dalla casa editrice. O pubblichi con il grosso editore o non sei uno scrittore, così si dice. Fa rima ma non c’è. Anche questo dualismo, che molti continuano falsamente a sostenere, non regge. Perché se la scrittura è saper scrivere e anche di più, molti soggetti pubblicanti e raglianti nella grossa editoria, previo intervento miracoloso dei santi in Paradiso, farebbero più bella figura coltivando petunie o papaveri. Però senza rima già ci accostiamo al vero dicendo, srimando di rimando: o pubblichi con un grosso editore o non sei nessuno. Questa frase è vera. Rimani nessuno se non entri nel gran giro di valzer. E raccontarsela che le vendite e la distribuzione non siano importanti, è prendersi in giro girello da soli. E il tal Nessuno può anche saper scrivere, ma a chi interessa se non lo vedono nemmeno?

Vedi, compri, leggi. Le sole dinamiche che contino.

È falso altresì, sostenere che i poeti della piccola e media editoria siano tutti impegnati e buoni. Molti fra questi sono odiosi e super-montati. Pensano di essere dei in terra per il solo fatto di partorire due versi all’anno, striminziti, ricalcanti vecchi schemi contenutistico-amorosi votati all’innocuità, peggio dell’Arminio nazionale. Parlano di masse da istruire come se parlassero di numeri, si pongono su un piedistallo di cartone da cui rischiano di cadere ogni minuto, sono auto-convinti di essere dei vati, giunti in terra a miracol mostrare, talmente vati da non aver bisogno di vendere nemmeno (aribeati loro!) E ripetono nel loro microuniverso di amici adoranti (che, per inciso, non si comprerebbero mai i loro capolavori), che loro sono poeti, che la poesia è sacra, che non se ne può nemmeno discutere. Insomma sono i profeti di una nuova religione, che hanno strappato poesia e belle lettere dal terreno della realtà, parlando soltanto di stupidaggini e fanfaluccaggini innocue, esattamente come gli scrittori di sistema. Ripetono schemi visti e percorrono strade già battute centomila volte da altri, che par di stare nell’Ottocento pieno. Stancano perfin le avemarie, le litanie e le preci. Vanno in giro facendo le veci di Dio. Ma ritorniamo alle feci, piuttosto! A quel Rabelais che canzonava perfino se stesso! Macché, se osi dire che affrontano argomenti già visti, ti mandano a quel paese, sostenendo che sei invidiosa della loro grande poesia, manco pubblicassero con Einaudi e vendessero milioni di copie!

Se la letteratura non fa discutere è morta perché diventa una religione che è quanto di più antiletterario possa esistere al mondo. La trasformazione della poesia contemporanea in un dogma intoccabile in cui tutti devono stare zitti anche di fronte a versi palesemente scarsi e ridondanti, ne sancisce la definitiva rovina, perché oltretutto suggerisce al lettore che la poesia sia lontana dalla vita normale e che non se ne possa nemmeno parlare, mentre invece è chiara conseguenza della nostra materialità e oltre.

Concludo che il dualismo in letteratura, il ragionamento manicheo, bene-male, è infantile e fuorviante, perché come diceva Geppetto a Pinocchio: “I casi son tanti!”

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

 

 

 

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