Verga, mito della roba

Verga, mito della roba

Verga, mito della roba

Verga, mito della roba

Verga, novelle Rusticane, 1885, credit Antiche Curiosità©

 

Verga, mito della roba

Mary Blindflowers©

.

Una delle novelle più belle di Verga, pubblicata su La Domenica letteraria nel 1882 e poi riproposta in Novelle rusticane, è Libertà.
A Bronte, i ceti popolari, interpretando a modo loro la propaganda garibaldina, e convinti che stesse per arrivare un nuovo ordine di giustizia sociale, decisero di uccidere i possidenti e i nobili della zona. La rivolta di Bronte, storicamente avvenne dal 2 al 5 agosto del 1860. Verga non la nomina esplicitamente, ma è chiaro che vi si riferisce.
La folla, oppressa da secoli di sfruttamento, si ribella e come un’onda armata, pensa, massacrando i signori, di seguire un principio di libertà:

.

Come il mare in tempesta. La folla spumeggiava e ondeggiava davanti al casino dei galantuomini, davanti al Municipio, sugli scalini della chiesa: un mare di berrette bianche; le scuri e le falci che luccicavano… Ai galantuomini! Ai cappelli! Ammazza! Ammazza! Addosso ai cappelli!

.

La descrizione della causa generale, si concentra poi sul particolare. Con crudo realismo l’autore descrive l’uccisione del barone, del prete, del guardaboschi, del notaio, della baronessa. Emerge la rabbia cieca di un popolo sfruttato, calpestato e oppresso che improvvisamente si illude di poter conquistare la libertà uccidendo gli agenti di quello sfruttamento, i ricchi.
L’uccisione della baronessa e dei suoi figli, in particolare, è descritta in modo impressionante, così realistico che sembra di vedere tutta la scena:

.

Lasciarono stare i campieri… Volevano le carni della baronessa, le carni fatte di pernici e di vin buono. Ella correva di stanza in stanza col lattante al seno, scarmigliata – e le stanze erano molte. Si udiva la folla urlare… avvicinandosi come la piena di un fiume…

.

La folla, ebbra di sangue, poi si stanca, ciascuno va a casa aspettando che arrivi la libertà agognata. Il giorno dopo chi ha partecipato al massacro, deve spartirsi le terre, ma non sa come fare perché ha ucciso il geometra e il notaio. Il popolo è incapace di autogestione perché finora è sempre stato agito, mai primo attore, sempre comparsa. Poi arriva la giustizia degli uomini, i giudici agghiaccianti con gli occhiali, arriva il processo e la condanna. E il popolo torna ad essere sfruttato come prima. Si è soltanto illuso di aver fatto la libertà. Il titolo della novella infatti suona quanto mai ironico.

Nelle Novelle rusticane, è costante il mito della roba, presente anche in tanti romanzi della Deledda. Si descrive un sud esasperato, un sistema costruito sulla divisione in classi, con un popolo oppresso dalla malaria e dalle tasse. La misura dell’essere è data soltanto dalla capacità di far soldi, a forza di lavoro ma anche di intrighi. Ogni mezzo è lecito pur di avere “la roba”:

.

Allorché guardava i suoi campi, e le sue vigne, e i suoi armenti, e i suoi bifolchi, colle mani in tasca e la pipetta in bocca, se si fosse rammentato del tempo in cui lavava le scodelle ai cappuccini, e che gli avevano messo il saio per carità, si sarebbe fatta la croce con la mano sinistra… a furia di intrighi e d’abilità era arrivato ad essere l’amico intrinseco del re, del giudice e del capitan d’armi (Dalla novella Il Reverendo).

.

Il mito dell’avere che sostituisce l’essere e trasforma l’uomo in una bestia, è sempre attuale, tipico della mostra civiltà capitalista.
La roba è infatti ancora oggi l’unica vera religione.
Ci sono un sacco di motivi per leggere Verga, la cui profondità espressiva è anche denuncia storico-sociale. Bisognerebbe dirlo a chi sostiene che i classici siano così inutili da poterli sostituire con una non-letteratura di stampo sentimental-borghese serie Va’, dove ti porta il cuore.
Del resto il marketing ha le sue leggi e per tirarsi fuori da ampi strati di naftalina, occorre dire castronerie ad effetto. Ma restano pur sempre stupidaggini. Non basta essere lontana parente di Svevo e bisnipote di uno storico, o collaborare in Rai, per essere scrittrici, occorre anche scrivere qualcosa. Né, a differenza di quanto sostengono i benpensanti, si segna la storia d’Italia parlando di rose o di cose di scarsa importanza, nonostante si vendano alla spicciolata, grazie ad un film noioso e alla pubblicità feroce che decide chi debba essere un nome e chi no.
Siamo di nuovo al mito della roba, vendere, fare soldi, essere popolari, stare al centro dell’attenzione nelle fiere ultrapoliticizzate del libro, che ignorano sistematicamente autori senza nome e senza agganci… Tutto questo è fare cultura?
Sostituire, nell’insegnamento scolastico, la profondità con la superficie sentimentalista, è operazione conveniente? Certamente lo è per chi sta continuando a uccidere quella che un tempo si chiamava letteratura. È utile per formare le nuove generazioni al nulla e inculcare loro l’idea che lo sforzo necessario a leggere un classico, sia facilmente sostituibile con un vuoto d’aria compressa. Un popolo ignorante lo si domina indubbiamente meglio. Si possono fare altresì molti più soldi con il pattume sentimentale alla Tamaro, che con la denuncia di un sistema. La roba, sempre la roba… Conta chi ce l’ha e chi, come il Reverendo della novella verghiana, riesce a farsela, intrigando. Si assiste impotenti all’agonia della letteratura.

.

Rivista Destrutturalismo

Libri Mary Blindflowers

 

 

Post a comment