La Compagnia del Paiolo

La Compagnia del Paiolo

La Compagnia del Paiolo

La Compagnia del Paiolo

Antique Copper Pan, Credit Antiche Curiosità©

 

Mary Blindflowers©

La Compagnia del Paiolo

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Per gli appassionati di cibo e letteratura, non sarà superfluo ricordare la curiosa Compagnia del Paiolo, citata da Domenico Maria Manni ne “Le veglie piacevoli” oltre che ne le “Vite” del  Vasari.
Scrive il Manni, nel capitolo dedicato alla vita di Anton Susini, Fiorentino, che nelle stanze di Gio. Francesco Rustici si radunava una compagnia di dodici artisti che si godevano cene alle quali ciascuno poteva portare non più di quattro persone:

 

Si ragunava nelle stanze di Gio. Francesco Rustici della Sapienza una brigata di galantuomini, che si chiamavano la Compagnia del Paiolo, e non potevano essere più che dodici; ciascun de’ quali a certe loro cene, e passatempi, poteva menare quattro e non più.

 

Le cene tuttavia non eran fatte soltanto per mangiare ma per esprimere estro e creatività con il cibo e poi relativi scambi:

 

E l’ordine delle cene era questo, che ciascuno si portasse alcuna cosa da cena, fatta con qualche bella invenzione, la quale giunto al luogo, presentava al Signore, ch’era un di loro, il quale la dava a chi più gli piaceva di darla, scambiandola cena d’uno con quella dell’altro…

 

Per celebrare il nome della Compagnia con il dovuto rispetto, il padrone di casa fece fare un gigantesco paiolo che venne attaccato al soffitto per dare luce e permettere a tutti di guardarsi in viso e osservare le magnifiche invenzioni del cibo scenografico:

 

Una sera che Giovan Francesco diede da cena a questa Compagnia del Paiolo, ordinò che servisse per tavola un grandissimo Paiolo fatto d’un tino, dentro del quale stavano tutti, e pareva, che fossero nell’acqua della caldaja, di mezzo alla quale venivan le vivande intorno intorno, e il manico del Paiolo, ch’era alla volta faceva una bellissima lumiera nel mezzo, onde guardando intorno si vedevano tutti in viso. Posti a tavola uscì dal mezzo un albero con molti rami… e porgeva le seconde vivande, e dopo le terze, e così di mano in mano, mentre intorno erano serventi che mescevano preziosissimi vini.

 

I cibi erano invenzioni artistiche, dalle varie forme che ricordavano talvolta soggetti mitologici o classici con templi, colonne, mosaici, etc. che Manni, come il Vasari, descrive con il gusto del particolare:

 

In questa tornata il presente del Rustici fu una Caldaia fatta di pasticcio, dentro alla quale Ulisse tuffava il padre per farlo ringiovanire. Le due figure erano fatte di due capponi lessi, che avevano forma d’uomini, così bene erano acconci, le membra, e tutto con diverse cose buone a mangiare. Andrea del Sarto presentò un Tempio a otto facce simile al Tempio di San Giovanni, ma posto sopra colonne. Il pavimento era un bellissimo piatto di gelatina con spartimento di varj colori di mosaico. Le colonne, che parevano di porfido, erano grandi, e grossi salsicciotti, le base, e i capitelli erano di cacio parmigiano, i cornicioli di paste di zuccheri e la tribuna era di quarti di marzapane. Nel mezzo era posto un leggìo da Coro fatto di vitella fredda con un libro di lasagne, che aveva le lettere, e le note da cantare, di granelli di pepe; e quelli che cantavano a leggìo, erano tordi cotti col becco aperto, e tutti con certe camiciuole a uso di cotte, fatte di rete di porco sottile, e dietro a questi per contrabbasso erano due pippioni grossi con sei ortolani che facevano il soprano… (Manni, Le veglie piacevoli, Gaspero Ricci, 1815, p. 52).

 

Un po’ la stravaganza di queste vivande ricorda l’artificiosa ricercatezza della cena del famoso liberto Trimalcione nel Satyricon di Petronio. Anche lì le vivande somigliano a opere d’arte, soltanto che la cena ha evidenti connotati di volgarità e ostentata opulenza che non vengono attribuite alla Compagnia del Paiolo:

 

La Compagnia del Paiolo

Petronio, Satyricon, Formiggini, 1928, credit Antiche Curiosità©

 

Con varie sottocoppe per vasetti d’antipasto avevano recato un asinello in bronzo di Corinto, che portava una bisaccia d’olive bianche da una parte, nere dall’altra; esso poi sosteneva due piattini, e sull’orlo di questi si vedeva inciso il nome di Trimalcione ed il peso dell’argento. Inoltre furono serviti dei ghiri con contorno di miele e papavero su graziosi ponticelli saldati tra loro, e salsicciotti ben caldi sopra una graticola d’argento e sotto c’erano prugne di Siria e chicchi di mele granate… uova di pavone… Ci vennero dati dei cucchiai pesanti non meno di mezza libbra coi quali spezziamo il guscio di queste uova ch’era impastato di densa farina… continuai a frugare con la mano nel guscio e vi trovai un beccafico dello grasso… avemmo un’altra portata… Si trattava di una credenziera rotonda, su cui si vedevano disposti i dodici segni dello Zodiaco e sopra ognuno di questi il cuoco artista aveva adattato una pietanza ch’era in stretto rapporto con la rispettiva costellazione… (Satyricon, versione di Umberto Limentani, Formiggini, 1928, pp. 45, 48).

 

L’invenzione del cibo come opera d’arte era nota fin dai tempi antichi. La letteratura ne rende testimonianza.

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