Senilità, paralisi, Italo Svevo

Senilità, paralisi, Italo Svevo

Senilità, paralisi, Italo Svevo

Senilità, paralisi, Italo Svevo

Svevo, Senilità, Dall’Oglio, Credit Antiche Curiosità©

 

 

Mary Blindflowers©

Senilità e paralisi, Italo Svevo

 

Senilità pubblicato in prima edizione nel 1898 dalla Libreria Editrice Ettore Vram, è un romanzo sulla “paralisi” che ricorda molto da vicino i personaggi di James Joyce.
Emilio Brentani, il protagonista del romanzo, è affetto dalla cronica incapacità di vivere, “paralisi” appunto, incastrato com’è tra apparenza sociale e modesta vita borghese familiare che denota un declassamento sociale, un impoverimento i cui residui vivi si ritrovano in alcuni mobili di lusso sopravvissuti alla catastrofe economica.
Il protagonista vive con la sorella “non ingombrante né fisicamente né moralmente, piccola e pallida, di qualche anno più giovane di lui, ma più vecchia per carattere o forse per destino” in un interno grigio e convenzionale e all’esterno posa da conquistatore che avvisa l’amante Angiolina della sua impossibilità ad impegnarsi “in relazioni troppo serie”, facendole capire che in fondo, per lui, è solo un trastullo nel quale però finirà per rimanere impigliato, suo malgrado.
Il suo rifiuto di vivere pienamente le emozioni, rincantucciandole in un angolo da dove pensa di poterle controllare, diventerà un’arma a doppio taglio i cui effetti nefasti verranno acuiti dalla sottomissione all’amicizia del Balli, artista fallito che colleziona donne come se fossero caramelle.
Dopo la guerra la fama di Svevo crebbe considerevolmente e oggi è considerato un classico, grazie a Joyce e ad Eugenio Montale il quale scrisse:

In “Senilità” il quadro più ristretto, che riconduce in un certo modo il pensiero al “recipe” della “tranche de vie”, dà modo a Svevo di toccare i suoi risultati maggiori e la sua più sicura originalità. Grande sapienza e insieme semplicità di costruzione, unita ad una implacabile scienza del cuore umano, fanno di “Senilità” un romanzo quasi perfetto. (Squariotti, Jacomuzzi (a cura di), Letteratura e critica, 1968, pp. 328-330).

La perfezione in letteratura non esiste.
Senilità è infatti un romanzo che, nonostante lo stile scorrevole, i flussi di coscienza e l’indagine psicologica sull’ordinarietà dell’inetto in paralisi mentale che gira a loop su se stesso e su due vite che non riesce a gestire, ha un certo tenore di stancante ripetitività per un lettore medio. Il moto intimista e soggettivo va infatti compreso a fondo.
Le tematiche psicologiche sono interessanti, tuttavia non esenti dal déjà vu che può indurre stanchezza in menti poco allenate.
Il dolore di Emilio, anche quando qualsiasi lettore dovrebbe averlo recepito da tempo, viene riproposto di continuo. Sembra quasi che l’autore si diverta a mostrare una seduta psicanalitica in cui Emilio si racconta, con le varie fasi alterne di indifferenza, negazione, sofferenza, tracollo finale.
La ripetizione è morbosamente voluta e il finale denota la scarsa fiducia di Svevo nel valore terapeutico della psicanalisi.
Che ci sia una malattia da curare è confermato dai discorsi di Emilio con il Balli che riecheggiano l’aegritudo amoris di tanta letteratura classica: “Aveva percepito con piena chiarezza quanto strana fosse stata in lui l’esagerazione sentimentale, e al Balli che lo studiava con qualche ansietà, disse, credendo d’essere sincero: – Sono guarito”.

Anche il tema dell’occultamento della passione rimanda ai classici latini o medioevali.
Soltanto che in Svevo il dramma non consiste tanto nel dolore che Brentani prova per amore di Angelina, nel suo volerlo occultare agli altri, specialmente al Balli e ai maldicenti personaggi accessori, ma nel farvi resistenza fingendo con se stesso un’indifferenza che non prova.
Emilio Brentani cerca di autoconvincersi di esser guarito da una passione che si rifiuta di vivere per vigliaccheria da alienato.
L’indifferenza diventa ai suoi occhi un valore degno di ammirazione, un traguardo da raggiungere per scansare la sofferenza. L’essere impermeabile al sentimento è ciò che invidia al Balli, altro inetto, incapace di profondità e che trova un surrogato al suo insuccesso di artista, nel recitare il ruolo di seduttore che lo fa trionfare delle sue vittime per scongiurare l’ipotesi di una seria analisi del sé devastato da superficialità e autoinganno.
Il romanzo è in buona sostanza un’allegoria dello stato patologico in cui perennemente versa l’uomo moderno e in questo senso anche il paragone con Kafka non è affatto improprio, nonostante gli esiti surreali di matrice kafkiana siano artisticamente più creativi e geniali.

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