Robert Musil, Pagine postume pubblicate in vita
Mary Blindflowers©
Robert Musil, Pagine postume pubblicate in vita, edito a Zurigo nel 1936, è una raccolta di non-racconti metaforici, polemici e così arguti che è impossibile non leggere senza farsi domande. Inutile sforzarsi di trovarvi delle trame. La preoccupazione principale di Musil non è il canovaccio ma il simbolo e il significato di una micro-osservazione del mondo utile a capire meglio certi meccanismi talvolta misconosciuti o obliati della mente umana. Ironico fino al sarcasmo, Musil, lucidissimo e impietoso, non risparmia davvero nessuno nella sua antropomorfizzazione di animali e cose che vivono in una dimensione di surreale suggestione. Scrittura raffinata e scorrevolissima, a tratti perfino ipnotica, accomuna riflessioni che raggiungono significati capaci di liberarsi dalla contingenza a cui sono legati e per cui sono stati espressi, contingenza che diventa solo pretesto per andare oltre verso l’universalizzazione. Questo fa sì che il libro mantenga quella freschezza e quella attualità che potrebbero far esclamare al lettore: “sembra scritto oggi”, in barba a certi libri di oggi che sembrano scritti ieri o forse non sono nemmeno mai stati veramente scritti.
Musil è attentissimo ai particolari, iniettando nella mente del lettore, come un farmaco, il micro-universo che analizza e riempie di sensi umani. Le mosche prigioniere della carta moschicida Tangle-foot sono in realtà donne che cercano di liberarsi dalla presa di un uomo; le scimmie del parco di Villa Borghese, riproducono le gerarchie umane; la polvere che precipita “come in piccole frane e slavine”, viene caricata di ricordi.
Musil ironizza sull’ipocrisia delle definizioni e sugli idiotismi di quello che oggi si chiama marketing, giornalismo di massa e ambiente editoriale che continua ipocritamente ancora a dire di fare cultura propinando domande inutili, prostrandosi alle esigenze “di cassetta” e percependo come fastidio chiunque non sia così mediocre da adeguarvisi pedissequamente:
Sapreste dire che cos’è uno scrittore?
Non bisogna aspettarsi però che un giornale accetti senz’altro questa proposta, e se lo facesse le darebbe una forma più piacevole. Per lo meno questa: «Chi è il vostro scrittore preferito?» Ma anche le domande seguenti: «Chi considerate il massimo scrittore vivente?» e Qual è il miglior libro dell’anno (o del mese)?» sono di una efficacia non comune.
Così l’uomo impara di tanto in tanto quali tipi di scrittori esistano, e sono sempre grandissimi, importantissimi, autenticissimi, conosciutissimi. Ma che cosa sia lo scrittore senza qualifica, quando una creatura che scrive è semplicemente uno scrittore, e non «il famoso autore di…», questa domanda a memoria d’uomo non è mai stata posta. È innegabile, il mondo si vergogna di loro… Sarebbe un compito senza fine stabilire quanta gente vive ancora dell’epiteto scrittore, sia pure lasciando da parte la strana menzogna dello Stato che sostiene di non aver altro scopo se non dare un impulso divino alle arti e alle scienze. Si potrebbe incominciare dalle cattedre e dai seminari di letteratura, e da questi passare all’insieme dell’industria universitaria con i suoi amministratori, segretari, bidelli che ne mantengono l’impalcatura. O si potrebbe incominciare dagli editori, e venire alle case editrici con i loro impiegati, gli agenti, i relatori, le stamperie, le cartiere e i macchinari, le ferrovie, le poste, le esattorie, i giornali, i referendari, gli ispettori; in breve, conforme alla sua pazienza, ciascuno potrebbe passare la giornata a stabilire queste connessioni; e il risultato costante sarebbe che tutte quelle migliaia di uomini vivono bene o male, o interamente o parzialmente, del fatto che gli scrittori esistono; quantunque nessuno sappia che cosa sia uno scrittore, né sappia dire con sicurezza di averne visto uno, e tutti i premi letterari, tutte le accademie, le distribuzioni di onorari e i ricevimenti di celebrità non possono dare la certezza di averne acchiappato uno vivo… Dopo qualche vana protesta di idealismo, le case editrici gli chiederebbero se si sente di scrivere un’opera di cui si possano vendere almeno trentamila copie; e le redazioni dei giornali gli offrirebbero di comporre qualche novella breve, naturalmente alla condizione che siano conformi alle esigenze di un quotidiano. Egli sarebbe costretto a rispondere che non se ne intende; e allo stesso modo non potrebbe destare nelle agenzie teatrali, nei consigli delle biblioteche e in altre istituzioni culturali, null’altro che una giustificata diffidenza. Perché dappertutto si è ben disposti verso di lui; e dal momento che non capisce niente di successi di cassetta, né di letteratura amena, né di scenari per film, si ha l’oscuro sospetto che… resti solo la conclusione che il suo ingegno è davvero fuor del comune. Ma allora non si può fare niente per lui; e non si dovrebbe essere un uomo, se non si finisse per aversela a male e desiderare che si tolga fuori dai piedi…
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Solo l’arte veramente grande si sottrae alla corrente della moda e del guadagno, ma non appartiene al mondo dei vivi: Un’eccezione è costituita dall’arte veramente grande, la sola che, a rigore, dovrebbe chiamarsi arte. Ma non ha mai fatto parte, in fondo, della comunità dei vivi.
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Musil distingue ironicamente “pittori” da “pitturatori” e “scrittori” e “letterati”:
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Quando per parecchi anni si è costretti a frequentare le mostre di pittura, non si può fare a meno di inventare un bel giorno la parola «pitturatore» che sta al pittore come il letterato sta allo scrittore. Il pittore e lo scrittore sono sempre e innanzi tutto, secondo i loro contemporanei, individui che non sanno fare quello che i letterati e i pitturatori fanno. La differenza si nota di solito quando è già troppo tardi. Infatti allora è già sorta una generazione di pitturatori e letterati che sanno già fare quel che il pittore e lo scrittore hanno appena imparato. Questo è il motivo per cui pittori e scrittori sembrano sempre appartenere al passato o all’avvenire: sono sempre attesi, oppure pianti come scomparsi.
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Musil non divenne mai ricco con le sue pubblicazioni, non vendette milioni di libri. Nelle sue parole da scrittore sembra anticipare il suo futuro. Oggi è infatti rientrato egli stesso, post mortem, in quelle stesse vuote definizioni che aborriva, “uno dei più grandi”, “il miglior scrittore del Novecento”, etc. Quelle definizioni ipocrite che puzzano di necrologia, le stesse che il mondo ha riservato a Kafka e a tanti altri pressoché ignorati in vita. Dopo l’entusiasmo suscitato da L’uomo senza qualità, Musil che più volte aveva rifiutato la carriera accademica, cadde nel dimenticatoio. Al suo funerale c’erano otto persone. Le sue ceneri vennero sparse al vento. E ricordatevi, quando cercherete ipocritamente di definirlo, che probabilmente se fosse ancora vivo, vi riderebbe in faccia.
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https://antichecuriosita.co.uk/il-destrutturalismo-punti-salienti/
https://www.youtube.com/watch?v=LK1d9AQtq8k
Beh, come non condividere? Si pensi a Stendhal, che i suoi contemporanei bollavano come pessimo scrittore di cose infime; nel 1830 egli scriveva a Balzac: “Penso che non sarò letto prima del 1880”; due anni dopo “Confesso che il coraggio di scrivere mi mancherebbe se non pensassi che un giorno questi fogli saranno stampati e che saranno letti da qualche persona che amo come Madame Roland o il matematico Gros. Ma gli occhi che leggeranno queste cose si aprono appena alla luce. Calcolo che i miei lettori futuri abbiano oggi dieci o dodici anni.” E incredibilmente diceva al suo editore: “I ricordi d’egotismo debbono pubblicarsi dieci anni dopo la mia morte , con i nomi cambiati; si potrebbero rimettere quelli veri se per caso queste chiacchiere fossero ristampate cinquant’anni dopo la mia morte.”