Di Mary Blindflowers©
Pettinare i capelli ai pupazzi senza capelli, limare, lucidare e smaltare le unghie alle api senz’unghie, disegnare cerchi ideali nell’aria, contare le formiche per terra, saldare certezze posticce su corde tese, contare ad uno ad uno i punti delle coccinelle in volo, poi credere, postulare, mentire, spettegolare e ruggire per finta dietro uno schermo, ecco le principali se non le uniche occupazioni dei signori no senza ragionevolezza.
Chi sono dunque costoro e come si presentano?
Si tratta di marziani scesi sulla terra ad insegnare il bon ton a noi poveri e semplici mortali soggetti all’errore?
Venusiani approdati sulle creste dei nostri articoli per seminare scompiglio secondo la logica del “vedi come ti meraviglio”?
Provocano lo sbadiglio. Ecco che ci rimangono male. Peccato.
L’effetto dei commenti no senza ragionevolezza non ha lo stesso risultato di una doccia ghiacciata ma di una risata gustosa, di quelle risate che Gargantua che “faceva perdere le staffe alle mosche”, si mangerebbe a colazione “ridendo e mordendo, mordendo e ridendo”, appena spunta il sole del mattino, quando dopo aver sfondato porte aperte, si rende conto fin da subito che un certo tipo di ominicchi è inguaribilmente e statisticamente sciocco.
Il commentatore senza ragioni ha infatti la lacuna della dialettica che non possiede, approdando talvolta alla superbia dell’insulto, isola di depressi in cui si arriva, dopo un naufragio e uno smacco del sé, quando mancano le basi culturali per poter sostenere un confronto sano e costruttivo.
Trovo stupido sottolineare i libri, e l’ho sempre trovato stupido, lo troverò stupido anche domani e dopodomani ancora, nonostante i guru della letteratura business possano sostenere l’esatto opposto. Lo sostengano, a me non importa. Non ho bisogno di sottolineare un libro per capire ciò che dice, per smontarne il meccanismo, perché ho ancora un cervello, quando inizierò a perdere qualche colpo, ricorrerò a degli appunti su un foglio a parte dove indicherò la pagina di riferimento, molto più comodo che andarsi a vedere delle pagine sottolineate con scritte varie a lato. Questo penso.
Nella società dell’usa e getta, dell’egoismo di massa, non si può pensare. È facile dire, “il libro è mio”, “l’ho comprato e ci faccio quello che mi pare, lo posso anche distruggere”. Non fa una piega, infatti. L’unico problema è che io, forse per un difetto individuale, mi rifiuto di vivere dentro una distruzione fine a se stessa, sia come destrutturalista che come persona. Destrutturare non è distruggere per buttare, ma decostruire criticamente per ricostruire. Non serve fare scempio né dell’oggetto né del non-oggetto se non si ha un fine, uno scopo ricostruttivo efficace e creativo. Non c’è scopo ricostruttivo nel sottolineare un libro scempiandolo, soprattutto considerando che quel libro potrà sopravviverci, quindi passerà in mano d’altri che moriranno e lo lasceranno o lo venderanno ad altri ancora. Amo l’usato, detesto gli sprechi, amo conservare senza ossessioni, adoro i libri antichi, anche quelli semplicemente vecchi, non sottolineo i libri perché penso che niente ci appartenga veramente e che quei libri poi saranno di altri che magari potrebbero non gradire le mie sottolineature o avere un altro punto di vista diverso su quali punti mettere in evidenza. Capisco che tutto questo discorso forse può sembrare assurdo e un poco stantio a chi invece dei libri fa scempio, ma per me non lo è. Se un libro non mi piace o lo regalo a qualcuno che mi sta antipatico oppure lo butto nel secchio della differenziata, in modo che la carta sprecata possa venire riciclata. Posso anche strapparlo e usarlo come base per dei dipinti. Questo per dire che non ho idolatria per l’oggetto in sé e per sé. Con un libro inutile non bisogna avere riguardi. Ma un libro degno di questo nome ha bisogno di rispetto. Il mio parere, il parere di una donna qualunque, giusto, sbagliato, opinabile, dialetticamente smontabile e scucibile, non deducibile da nessuna tassa. Non si tratta certamente di verità apodittiche. Tutto può essere messo in discussione. La discussione però deve essere intelligente. Se un interlocutore che non gradisce il parere altrui, e presume senza conoscere che chi esprime un parere sia superbo solo per il fatto di averlo espresso, per il fatto che non coincida esattamente col suo, direi che siamo nel bel mezzo della gratuita supponenza e si sposta il baricentro dall’oggetto al soggetto, operazione inutile perché è dell’oggetto che si parla, il soggetto non lo si conosce e non ha interesse alcuno ai fini del discorso. Giudicare senza conoscere, sviando, è come commentare e criticare un libro senza nemmeno averlo letto, il che mi sembra operazione piuttosto inutile ma a quanto pare oggi abbastanza diffusa in un mondo in cui non contano i processi di ragionamento e il confronto, ma il “se non sei del mio stesso parere sei un superbo”.
Che dialogo di marionette si può mai instaurare a questi livelli?
Rispondetevi da soli.
https://antichecuriosita.co.uk/destrutturalismo-e-contro-comune-buon-senso-psico-pillole/
https://www.youtube.com/watch?v=iywaBOMvYLI