Fallimento-successo, una contro-discussione destrutturalista

Fallimento-successo, una contro-discussione destrutturalista

Fallimento-successo, una contro-discussione destrutturalista

Di Mary Blindflowers©

Fatue glorie di ragno, credit Mary Blindflowers©

 

Nell’epoca della ridiscussione di ogni senso che prima si dava piuttosto per scontato, l’innocuità dell’arte diventa un difetto grave che viene coperto dalla bellezza estetica. Se l’incisione, la figurazione, la scrittura e la scultura del bello un tempo avevano un senso politico legato al committente dell’opera, se uno scultore doveva celebrare i fasti di un impero o di una monarchia assoluta, migliorare le fattezze di una nobildonna non proprio esteticamente gradevole all’occhio o le gambe storte di un valet de chambre du roi, oggi ci si illude di essere liberi replicando un modello del passato. La libertà nell’arte è un’arma a doppio taglio e non parlo solo di arti figurative, ma anche e soprattutto di scrittura o letteratura. La libertà è un marchio a fuoco che, impresso sulla pelle di chi vuol servirsene, costituisce oggi una sorta di segno d’infamia specificamente distintivo dell’aut. Si fa un gran parlare di autodeterminazione dell’uomo nella civiltà dell’immagine dominata dalle macchine e dallo sfrenato amore per la tecnologia esasperata ed esasperante, senza però riflettere troppo a lungo sul fattore libertà dell’artista. Un artista veramente libero da condizionamenti politici, difficilmente riuscirà a fare successo, anzi molto probabilmente verrà ostracizzato, perché, come dicevo, oggi, nonostante si pensi di aver raggiunto un grado di civiltà maggiore rispetto ai secoli passati, poco è cambiato in campo artistico. Intellettuali, scrittori, scultori e pittori, se vogliono raggiungere un certo successo oltre ad essere ampiamente e per nascita già dotati di capitali propri, devono sottomettersi al potere di chi conta e dirige i giochi, rinunciando alla loro libertà. Mentre sostengono a gran voce che l’arte e la creatività sono libere, cercano nelle loro creazioni di non urtare la sensibilità di nessuno, di pattinare su metafore che incidano poco la carne del tempo in cui vivono. Così nascono le finte rivoluzioni borghesi e nobiliari, quell’arte che contesta l’arte-mercato pur facendone parte. I contestatori infatti in quel mercato che fingono di contestare, ci sguazzano eccome, solo che dicono di non farne parte, per far parlare di sé e alzare la quotazione delle loro opere che valutate extra-contesto, appaiono ridicole. La magnifica arte antica e rinascimentale che celebrava il potere e i suoi fasti con produzioni artistiche di altissimo livello estetico, quantomeno era sincera, e nascondeva anche spesso significati nascosti dietro immagini apparentemente innocue e celebrative. Oggi l’innocuo è purissimo nella sua inane innocuità, in pratica non significa assolutamente nulla oltre ciò che vedi e quando finge di essere rivoluzionario, come certi adulati scarti d’artista in barattolo, significa ancor meno, perché viene elaborato dentro un circuito già controllato, già in. Una colomba in un bosco, è una colomba in un bosco, se fine a se stessa senza doppi sensi simbolici; una foglia è una foglia e al limite preannuncia l’autunno; una bella poesia sull’amore e sulle mamme, è retorica a buon mercato, e un barattolo “d’artista” è un barattolo contestualizzato dalla pubblicità per i polli intellettualoidi che fanno le rivolte non rivolte, le zuppe già inzuppate, le zolle già rivoltate, la novità già ordinata, etichettata ed esposta nei posti che contano e poi replicata secondo gli schemi della ridondanza celebrative di massa. Le incisioni, i dipinti o i libri degli artisti politicamente agganciati, contengono sempre una triste inanità, semplicemente perché in via definitiva, abdicando alla libertà, abdicano all’arte stessa, alla possibilità di guardare con occhi disincantati il proprio tempo, limitandosi semplicemente a subirlo e a rappresentare o con parole scritte o con immagini, solo ciò che appare in superficie. Gli artisti del passato non subivano poi così supinamente la realtà in cui vivevano, basti pensare su tutti alla Divina Commedia di Dante e alle sue possibili interpretazioni o ai dipinti di Bosch, il cui polisemantico significato supera l’immagine stessa. Oggi invece per essere artisti sembra che occorra il patentino dell’innocuità garantita a denominazione di origine politicamente controllata.

Fatta questa premessa, possiamo affermare a questo punto che perfino i termini fallimento successo, si svuotano completamente di senso in quest’etica corrotta del mondo contemporaneo, perché paradossalmente a chi rinuncia all’innocuità per vedere oltre, la politica ruba i sogni, il potere spezza le reni, impedendogli di esserci, relegandolo nell’ultimo scaffale della libreria di periferia, allontanandolo dai circuiti di vendita che si trovano nel centro delle città, e che propongono pile interminabili dello stesso libro-truffa-fuffa dello scrittore più commerciale e di fatto letterariamente più fallimentare del momento e forse del mondo.

In un universo alla rovescia come il nostro il fallito diventa così un vincente che spesso non scrive nemmeno i libri che pubblica, tanto basta il nome e la visibilità a garantire le vendite.

Per l’arte figurativa possiamo dire che vale lo stesso discorso. Per entrare nel giro che conta, occorrono soldi e politica e l’asservimento dell’artista ad un sistema commerciale che ha come base l’innocuità. Così l’arte contemporanea snatura se stessa, arrivando a negarsi. Non viviamo più nell’epoca dell’assolutismo, quando non c’era la fotografia, e ritrarre un principe aveva ancora un senso oltre che propagandistico, anche storico-simbolico, ma siamo immersi nell’epoca post-atomica, post-fotografica, una società post-tutto verso il niente che pretende di essere democratica, anche se di fatto non lo è per nulla e vive ancorata ai relitti di un passato che replicare oggi per non offendere nessuno e rimanere nel giro dei giri e dei girini sempre in giro e noti, non ha davvero più alcun senso compiuto.

https://antichecuriosita.co.uk/manifesto-destrutturalista-contro-comune-buonsenso/

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