L’ipertrofia dell’ego©

L’ipertrofia dell’ego©

Di Mary Blindflowers©

Il ritorno, credit Mary Blindflowers©

 

L’ego è un’arma a doppio taglio, affilata, sublime, mortale. Tutti hanno un ego, chi lo usa per dominare, chi per dire prego, chi lo ha gigantesco ed esagerato, chi lo ha piccolo e riservato, l’ego. Nessuno però può sottrarsi alla sua legge. Non esistono persone senza ego, l’istanza che gestisce tutte le attività psichiche, quella che ci mette a contatto col mondo, che media i rapporti col Super-ego e l’Es, è proprio l’ego, il mediatore di consapevolezza, l’ago della bilancia del vivere nel mondo. A volte però l’ago impazzisce, o perché viene sminuito, creando complessi e disagi, oppure perché, al contrario, viene sovraccaricato, smisuratamente gonfiato, dando origine a deliri di onnipotenza che possono sfociare nell’assioma individualista io uguale dio, senza rendersi conto che quest’affermazione allucinata e delirante, un fondo di verità ce l’ha, perché alla fine chi adora dio non fa che adorare se stesso sotto altra forma, ma sempre di ego reiterato si tratta, purtroppo.

Il superamento di di se stessi infatti non è operazione comune, quasi nessuno riesce a superarsi. Il trascendimento del sé presuppone anche una conoscenza di base dello stesso sé che non è tanto facile da raggiungere. Tutti hanno la consapevolezza dell’esserci nel mondo, ma pochi hanno la capacità di andare oltre, perché andare oltre se stessi potrebbe voler dire trovare il nulla, un vuoto cosmico abissale pari a zero. Così per scongiurare questo eventuale nullificante vuoto, nasce il punto d’appoggio, il puntello, il dio che consola e aiuta, così la metafisica è salva. E per il concreto, come la mettiamo? Perché rischiare anche in questo caso? Meglio addobbare a festa quel lumicino di concreta e minuscola consapevolezza che si ha, meglio vestire l’ego di colori più sgargianti da mostrare a se stessi e agli altri, gonfiarlo come un palloncino colorato, in modo da convincersi che la vita consista tutta nel “lo faccio perché mi piace e mi piace questo e non quest’altro perché io ho deciso, dato che ogni azione, ogni scelta è la conseguenza di un principio di piacere gestito da me che sono immenso”. Così l’io viene investito di un ruolo universale che di fatto non ha, ma nella mente di chi fa quest’investimento è l’io che decide ogni cosa, costruisce le cattedrali nel deserto, crea, immagina, si autoesalta, si carezza da solo e il mondo piano piano gli si adatta, come plastilina molle, salvo poi un bel giorno svegliarsi e capire che il mondo è rimasto esattamente com’è, incurante dell’ego individuale, del piacere fisico o morale di ciascuno.

All’ego in gigantografia di tanti poeti e scrittori che pensano di essere dei sulla terra, un bel giorno può capitare che gli eventi possano sussurrare in un orecchio che la proiezione mastodontica di se stessi è fondamentalmente un’illusione, che ciascuno è tutto e nessuno contemporaneamente e che perfino la fama è solo una condizione di transeunte allucinazione, generata oggi più che mai, da un insieme di circostanze che non sempre tengono conto delle reali capacità individuali. Da sempre il mondo è ingiusto, piegato alla necessità della contingenza e del potere, plasmato a convenzioni e fortune che si creano e si distruggono nel tempo di un battito di ciglia.

Così accade di leggere libri in cui il superamento del sé non è stato operato, opere di dubbio gusto in cui l’autore non solo pensa che ad un qualsiasi lettore possa importare qualcosa delle sue personalissime esperienze trasfuse sulla carta, ma è del tutto convinto che la letteratura sia sfogo di se stessi e niente più.

Mancando il passaggio del trascendimento, il testo si irrigidisce nella continua e snervante iterazione di un corposo ego che affiora a ogni pagina, si riavvolge su stesso più volte, saltella, ballonzola, fa i capricci, fa le giravolte, batte la testa contro se stesso, si accerta della sua importanza tastandosi e ritastandosi nel nulla, per poi tornare a mostrare lo stesso noioso volto di sempre che mai si mette in discussione, mai si interroga. Il risultato sarà carta sprecata, senza dubbi, senza aperture o sogni tra un rigo e l’altro.

L’ipertrofia dell’ego è la morte della creatività e dell’amore per la bellezza.

Come può un ego ipertrofico amare la bellezza se è fissato unicamente nella contemplazione religiosa di sé?

Come può un ego affaccendato a guardarsi allo specchio, accorgersi di ciò che accade intorno a lui? Come può creare se l’io è il punto di partenza e di arrivo, la meta e l’Eldorado, l’alfa e l’omega che non ha bisogno di altri, bastevole a sé?

La creazione presuppone il ridimensionamento del mondo e siccome anche l’autore fa parte di questo mondo, anche il suo io va smontato pezzo per pezzo e ridiscusso, superato, liofilizzato perfino, perché il creatore alla fine non è nulla, non è nessuno, è solo un mezzo come un altro attraverso cui passa la forza della creatività, quella forza che non si insegna in nessuna scuola, quel dono che non può essere trasmesso e che non va sprecato e impagliato nella smodata quanto futile ammirazione di se stessi, non va buttato prestandosi ad un sistema che anziché approfondire l’argomento dell’opera, cerca morbosamente stranezze nel suo autore da servire sul piatto del pettegolezzo mediatico.

Accade così che il sistema non presenti un libro ma un personaggio che lo ha scritto, definendone e accentuandone lati curiosi, vizi e manie, come se fossero veramente importanti. Così l’ipertrofia di un io diventa notizia e non si vende l’opera di quell’io ma quell’io sulla bancarella del gossip e della vanità. Capita che molti conoscano un autore solo perché ha parlato in televisione raccontando le sue manie, ma di fatto non hanno letto nemmeno uno dei suoi libri.

Sono i parti mostruosi dell’ipertrofia dell’ego. È quello che si merita una società superficiale in cui l’ego si confonde sempre più col super-ego che stimola a suo vantaggio e piacere l’Es delle masse col solo scopo di fare business.

Ma tutto questo pattinare in superficie non ha niente a che fare con l’arte né con la letteratura.

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