Il ventre di Napoli, il sangue dei poveri

Il ventre di Napoli, il sangue dei poveri

Il ventre di Napoli, il sangue dei poveri

Di Mary Blindflowers©

Matilde Serao, Il ventre di Napoli, Adriano Gallina Editore, 1988, credit Antiche Curiosità©

 

“Il ventre di Napoli” della discussa scrittrice e giornalista Matilde Serao, venne pubblicato in prima edizione dai Fratelli Treves nel 1884. Il libro descrive a tinte fosche e realistiche la Napoli di fine Ottocento, all’epoca dell’epidemia di colera. E sembra di vederli quei vicoli stretti che appena appena lasciano intravedere la luce tra i palazzi, la sporcizia dei quartieri popolari, focolaio di infezioni, malattie, sofferenze. La Serao polemizza fortemente col governo che ha abbandonato la città e il popolo di Napoli al suo destino di miseria e ingiustizia. Il testo inizia infatti con una dichiarazione polemica contro il ministro Depretis e la sua famosa frase: “Bisognava sventrare Napoli”: “Voi non lo conoscevate, onorevole Depretis, il ventre di Napoli. Avevate torto, perché voi siete il Governo e il Governo deve saper tutto. Non sono fatte pel Governo, certamente le descrizioncelle colorite di cronisti con intenzioni letterarie, che parlano della Via Caracciolo, del mare glauco, del cielo di cobalto, delle signore incantevoli e dei vapori violenti del tramonto: tutta questa rettorichetta a base di golfo e di colline fiorite, di cui noi abbiamo già fatto e oggi continuiamo a fare ammenda onorevole… tutta questa minuta e facile letteratura frammentaria, serve per quella parte di pubblico che non vuole essere seccata con racconti di miserie. Ma il governo deve sapere l’altra parte; il Governo a cui arriva la statistica della mortalità e quella dei delitti; il governo a cui arrivano i rapporti dei prefetti, dei questori, degli ispettori di polizia, dei delegati; il governo a cui arrivano i rapporti dei direttori delle carceri; il governo che sa tutto: quanta carne si consuma in un giorno e quanto vino si beve in un anno, in un paese; quante femmine disgraziate, diciamo così, vi esistano e quanto ammoniti siano i loro amanti di cuore; quanti mendichi non possano entrare nelle opere pie e quanti vagabondi dormano in istrada, la notte; quanti nullatenenti e quanti commercianti vi sieno; quanto renda il dazio consumo, quanto la fondiaria, per quanto si impegni al Monte di Pietà e quanto renda il lotto. Quest’altra parte, questo ventre di Napoli, se non lo conosce il Governo, chi lo deve conoscere? E se non servono a dirvi tutto, a che sono buoni tutti questi impiegati alti e bassi, a che questo immenso ingranaggio burocratico che ci costa tanto? E se voi non siete la intelligenza suprema del paese che tutto conosce e a tutto provvede, perché siete ministro?”

Domande ancora, purtroppo attuali, che potrebbero essere fatte anche agli uomini politici contemporanei ed estese oltre il contesto stesso in cui nascono. Chi si è occupato di risanare il meridione e con quali risultati?

Alcuni dei vicoli e delle strade descritte dalla Serao non esistono più, hanno cambiato nome, tuttavia il Sud è ben lontano ancora oggi dal risolvere i suoi annosi problemi, causa di una criminalità che è lo Stato nello Stato e di uno Stato da sempre praticamente assente, uno Stato che ha operato finti piani di risanamento speculativo, lasciando il ventre del degrado al suo destino di fame e miseria secolare. Così tutto è rimasto esattamente come prima per i poveri.

Il colera del 1884 attecchì facilmente specie nei quartieri bassi napoletani, dove le condizioni igieniche lasciavano veramente a desiderare. Un brulichio di figure, immagini, personaggi, si agitavano dunque in questo “ventre”, la parte più degradata e povera della città, in cui si praticava l’usura, si giocava al lotto clandestino nella speranza di “vincere” una vita migliore, si ingerivano cibi scarsi che venivano cucinati per strada, rendendo oleosi e maleodoranti i vicoli, si dormiva in giacigli spesso di fortuna, in locali non sufficientemente areati, si coltivava la superstizione in mancanza di un’istruzione adeguata. Le donne si prostituivano, gli uomini si davano al crimine.

Che ruolo avevano gli intellettuali in tutto questo? Cosa vedevano e cosa riferivano i loro occhi attenti? I giornalisti raccontavano storie di paesaggi e tramonti, ma non si occupavano di denunciare l’assenza dello Stato, l’abbandono del popolo al suo destino, le condizioni igieniche in cui versavano i quartieri popolari, perché a fine Ottocento il lettore medio non proveniva dal popolo ma dalle file della borghesia. E cosa poteva importare alla borghesia di gente che nella sua stessa città e sotto i suoi stessi occhi, moriva di fame, di colera e di stenti?

Praticamente la Serao ci dice che anche a fine Ottocento i giornali non riferivano quello che accadeva, ma dicevano solo quello che poteva essere detto, per non urtare la suscettibilità del potere. Ci meravigliamo? E perché mai? Non accade anche oggi lo stesso?

L’informazione è filtrata, manipolata, depurata dal gioco del potere e dei partiti.

La globalizzazione e la velocità dell’informazione non corrispondono ad altrettanta onestà intellettuale.

Anche oggi, come ieri, i poveri vengono ignorati, ghettizzati, ostracizzati dal sistema e non solo a Napoli, ma in tutta Italia. Certo non c’è più il colera, le grandi epidemie sono state debellate dal miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie, e dal progresso medico. Ma non è affatto vero che ci sono per tutti le stesse possibilità, in nessun campo, e se in altri paesi europei l’appartenenza sociale ha un peso, specie a livelli medio-alti, in Italia è peggio, perché l’Italia è un Paese in cui anche per fare lo spazzino devi avere la raccomandazione di qualcuno e per ottenere un appuntamento urgente dal medico della mutua occorre “un amico di un amico” che ti faccia impunemente scavalcare le file, in barba a gente che aspetta da mesi il suo turno. Lo stesso è per i permessi e le licenze di qualunque tipo, per la carriera, per il lavoro, insomma per tutto. Il Governo che sa sempre ogni cosa, questa “patria” che le pseudo-divette letterarie ammanicate, chiamano “matria”, sì, questa Italia di cui ci si ricorda nei mondiali di calcio o durante la festa della Repubblica, ha figli e figliastri, perché lo stivale si divide in ricchi e poveri. Ai primi si aprono tutte le strade del mondo, i secondi si aggirano al buio, tastando l’aria per riuscire a capire come vederci più chiaro, ma l’aria è buia, non si può toccare né tantomeno cambiare. C’è chi nasce con la camicia e chi nasce nudo. E c’è ancora gente che, come nell’Ottocento, rovista nei cassettoni della mondezza per cercare qualcosa da mangiare, pensionati che non arrivano a fine mese, gente che si uccide per debiti. Intanto i soliti porci si crogiolano al sole delle loro super-pensioni immeritate, mentre cardinali che vivono dentro attici fiabeschi, istruiscono il popolo sul valore della povertà che non hanno mai vissuto e scrittori mediocri fanno carriera col partito o con la Chiesa e per suo mezzo, raccontando frottole e cose innocue, all’insegna del politicamente controllato. Mal che gliene incolga. Che il sangue del popolo affamato e sfruttato ricada sulla loro testa bacata di maiali venduti.

https://antichecuriosita.co.uk/manifesto-destrutturalista-contro-comune-buonsenso/

Comments (2)

  1. Rita

    Ottimo post su un argomento che ho a cuore. E anche il libri

  2. Barbara Marenzi

    La storia si ripete e siamo in Italia!

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