Pasqua, la base arcaica

Pasqua, la base arcaica

Pasqua, la base arcaica

Pasqua, la base arcaica

Genesys, Tecnica mista su tela by Mary Blindflowers©

 

Pasqua, la base arcaica

Salvatore Dedola©

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È obbligo ricordare preliminarmente al lettore che da anni il mio impegno assoluto è quello di dimostrare (l’ho già dimostrato scientificamente con tre Dizionari Etimologici) che le lingue del Mediterraneo, dell’Europa e del Vicino Oriente hanno un’origine comune.

   Ciò significa che i radicali costituenti oggidì quel milione di vocaboli scompartiti tra le varie lingue europee nonché tra quelle del Vicino Oriente possono essere ridotti drasticamente a poco più di 50.000 radicali originari. Per “radicali originari” intendo quelli recati sul Delta dall’Homo sapiens durante la lunga marcia che lo portò al Mediterraneo scendendo dall’acrocoro etiopico. Quei radicali, espressi ovviamente in monosillabi e magistralmente conservati dalla lingua egizia e dalla lingua sumerica, si sono lentamente agglutinati in polisillabi, e spesso è intervenuta la leva della metafonesi (mutazione delle vocali entro una parola), quindi si sono moltiplicati in nomi-verbi-aggettivi-avverbi ecc. producendo varie sfumature semantiche le quali, se bene indagate da chi ha l’adeguata preparazione glottologica, aprono uno scenario spettacolare sul primitivo teatro in cui l’Homo sperimentò vivacemente la propria esistenza e la propria civiltà.

   Uno dei tanti esempi presi dall’immane “calderone” può essere il termine inglese SPRING, al quale s’affratellano oltre dodici vocaboli che sono moderni o, indifferentemente, arcaici (lascio da parte gli aggettivali e tant’altro, per non complicare). Queste parentele etimologiche mostrano luminosamente l’affiliazione delle modalità espressive tra i tanti popoli che un tempo furono fratelli e poi lentamente si separarono sino a perdere la memoria delle origini e sentirsi infine addirittura alieni e nemici.

SPRING vb. forte ingl. della III classe intr. ‘saltare’, ‘sgorgare’, ‘venir su’; springen vb. forte ted. della III classe intr. ‘saltare, sgorgare’; cfr. ags. springan, pret. sprang, sprungon, pp. sprungen; aat. springan, pret. sprang, sprungun, pp. gisprungan; asass. springan, afris. springa, ol. springen; norr. springa, dan. springe, sved. spricka, springa; assente nel gotico. Cfr. anche il nominale ingl. spring ‘salto, balzo’, ma anche ‘fonte, sorgente’, e dal sec. XVI ‘primavera’ (ted. Sprung); inoltre ingl. sprout ‘germoglio’, sprint ‘velocità’.

   Respingo la proposta assurda e immaginifica di “Avviamento all’Etimologia Inglese e Tedesca” secondo cui queste forme germaniche deriverebbero dall’ie. *sprengh– (un doppio radicale inventato con prepotente protervia, incurabilmente ascientifico). Invero, tali voci sono da confrontare col gr. σ π ε ί ρ ω ‘semino, genero, produco, spargo’, σ π έ ρ μ α ‘semenza, seme sessuale’, la cui base etimologica è l’eg. per ‘go out, forth, arise from, escape, run out’ + particella intensiva eg. s– che in questo caso rafforza il moto da luogo. In spr-ing notiamo agglutinarsi il membro –ing derivante dal sum. in-ku (dove in è particella di stato in luogo + ku ‘luogo, sito’: cfr. sd. incùe ‘lì, in quel posto’, avverbio di stato in luogo).

   Pertanto l’ingl. spr-ing significò letteralmente ‘balzare da un posto, ‘sgorgare, sprizzare da un posto’. Per questa ragione l’ingl. spring ‘primavera’ ha lo stesso profondo significato, perché essa non è altro che la “stagione delle scaturigini, ossia delle fioriture; è il periodo in cui i germogli (spr-out-s) prorompono in fiori e poi divengono semenze”.

   Stessa base di spr-ing ha l’it. spar-gere ‘gettare, lanciare qua e là’, nonché il derivato spar-pagliare, ambedue con metafonia (Umlaut). Stessa base ha pure l’it. spar-are ‘tirare o scagliare un proiettile a mano o mediante un’arma’. Identica base pure l’it. apparire (ed il contrario sparire), in virtù del ‘mostrarsi di colpo’ o ‘dileguarsi di colpo’.

   Presso gli antichi Latini la /p/ o /b/ egizia tendeva a divenire /v/ o /u/. Un esempio è velites (sd. pellitos) ‘guerrieri d’assalto’. Quindi a Roma abbiamo vēr sācrum (da egizio ber saker) che è il ‘viaggio di partenza, di distacco’ (da ber ‘exit, gateway; uscita, porta d’uscita’ + saker ‘to journey, sail’). Il vēr sācrum accadeva raramente, ma nel corso dei millenni o delle decine di millenni accadde innumerevoli volte: erano episodi di distacco forzato (sprout, gemmazione) di un gruppo dalla tribù primitiva, a causa di carestie, guerre di sterminio o altri eventi che forzavano una parte del gruppo a staccarsi dal suolo patrio o da terre divenute ostili. Esempi classici sono l’Esodo di Mosè dall’Egitto, la fuga di Enea da Troia, il distacco programmato di Tirreno dal popolo dei Lidi. Possiamo includere anche le migrazioni dei Sea Peoples nel Mediterraneo orientale avvenute nel II millennio av. l’Era volgare. E possiamo metterci anche i numerosi spostamenti dei popoli germanici, intralciati da Mario, da Cesare, da Stilicone e da altri generali romani.

   I Romani usavano un termine fono-graficamente identico, vēr, ad indicare anche la ‘Primavera’, la cui base etimologica è però l’akk. ērum ‘awake, to become awake; sveglio, svegliarsi’. Chiaramente, questo vēr indica il ‘risveglio della natura’, giammai il ‘distacco dalla tribù originaria’. Pertanto i latinisti dovrebbero ammettere il proprio errore interpretativo. Stesso processo d’indentificazione fono-grafica avvenne con l’aggettivo lat. sācrum nel senso di ‘intangibile, santo, sacralizzato, inviolabile, vietato ai profani’: esso ha per base l’egizio s-åqer ‘to make perfect, rendere perfetto’. Fu dal concetto di perfezione che scaturì l’arcaico concetto della sacralità.

   Quindi ci rendiamo conto che già i Romani (non solo gli attuali latinisti) erano incorsi nella paronomasia, ossia nell’equivoco e nella reinterpretazione del proprio vēr sācrum, che già da allora era un hapax legómenon, un termine talmente isolato e ritualizzato che nel tempo li indusse a traviarne il significato interpretandolo malamente come “Primavera sacra”.

   L’arcaico vēr sācrum inteso come ‘viaggio del distacco’ può essere esplicato anche mediante la lingua sumerica, che offre un be, ber ‘to cut off, tagliar via’, specialmente bir ‘to shred, strappare’ (ma vedi anche sum. u ‘terra, territorio’ + ere ‘to go’, akk. wārum ‘to lead, conduct’): il composto u-ere significò ‘andar via dalla terra’.

   Anche la voce ebraica Pêsach ‘Pasqua’ ha la base etimologica condivisa dal vēr sācrum. Per nozione comune, la Pêsach commemora la “liberazione del popolo ebraico dall’Egitto e la sua uscita verso la Terra Promessa”. Dal libro dell’Esodo conosciamo la lunga drammatica vicenda, cominciata col faraone che impediva la partenza, proseguita con l’inseguimento delle truppe egizie, portata allo stremo dal remitaggio nel deserto, culminata infine con l’ingresso in Canaan al di là del deserto.

   Pêsach ha base etimologica nell’accadico pasāḫu ‘to drive away, partire, andar via’. Ma a questo punto occorre un surplus d’attenzione, poiché la lingua ebraica nonché quelle semitiche orientali come l’accadico, l’assiro e il babilonese, sono di per sé delle parlate evolute rispetto alle lingue monosillabiche e agglutinanti; i quattro popoli citati han provveduto ad agglutinare i monosillabi delle lingue originarie (di quella egizia, di quella sumerica) presentando dappertutto delle parole composte, che sono bisillabe o trisillabe.

   Pertanto l’ebr. Pêsach ha la base arcaica nell’eg. per ‘to go out, depart, leave one’s country’ (cfr. ber ‘exit, gateway; uscita, porta d’uscita’) + s-ākh ‘to rise up, lift up on high; alzarsi, ribellarsi, sollevarsi’. Il composto per-s-ākh in origine significò ‘ribellarsi e partire’. Vedi anche il composto bes ‘venire, affrettarsi’, bess ‘advance, rise; pass on, passare a’ + såq ‘to collect, gather together, assemble’; il significato in questo caso è quello di ‘riunirsi insieme per passare oltre’.

   Ricordo che in Italia e specialmente in Sardegna il termine Pàsqua deriva dall’aramaico Pasḥa’ ‘Pasqua’, ed ha base nell’eg. pa ‘to fly’ o ‘ancestor’ + skha ‘to remember, commemorate’ o skhab ‘to travel’. Si può comporre pertanto un pā-skha nel senso del ‘ricordo degli antenati’; oppure un pa-skhab nel senso di ‘viaggio di fuga’. Può darsi che i due significati (quello ebraico già commentato e questo aramaico quale ‘ricordo degli antenati’) siano riemersi ed abbiano convissuto durante la cattività babilonese, cristallizzandosi in due diverse definizioni. A quanto pare, la diaspora degli Ebrei a Roma, in Sardegna, nel Mediterraneo contribuì a fissare la dizione aramaica, per cui ancora oggi abbiamo il sd. Pascha, l’it. Pasqua.

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Comment (1)

  1. Mariano Grossi

    Chapeau!!!

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