Letteratura? Principio di falsità

Letteratura? Principio di falsità

Letteratura? Principio di falsità

Letteratura? Principio di falsità

The pigeon, credit Mary Blindflowers©

 

 

Mary Blindflowers©

Letteratura? Principio di falsità

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Tutta la letteratura mondiale si base su un principio di eterna falsità. La sorte di un libro infatti dipende in minima parte dal suo contenuto, in massima parte dal nome di chi lo scrive.
Leopardi e La Bruyère lo sapevano benissimo:

Dice il La Bruyère una cosa verissima; che è più facile ad un libro mediocre di acquistar grido per virtù di una riputazione già ottenuta dall’autore, che ad un autore di venire in riputazione per mezzo d’un libro eccellente. (Pensieri moralisti greci, Laterza, 1932, p. 39).

Leopardi racconta anche nei Pensieri, che Antonio Ranieri abitava con lui a Firenze nel 1831. Una sera, mentre passava per via Buia, Ranieri vide sotto la finestra di un palazzo, adunata molta gente che gridava al fantasma. Nella finestra infatti si scorgeva l’ombra di una donna che agitava le braccia qua e là mentre il resto del corpo restava immobile.
Ranieri, avendo da fare altre cose, passò oltre, ma ripassò sotto quella finestra un’altra sera. C’era ancora più gente che gridava al fantasma e sempre la stessa donna che agitava le braccia. Ad un certo punto, uno tra la folla decise di verificare l’esistenza del fantasma. Il Ranieri gli montò sulle spalle per vedere meglio dentro la finestra e vide nient’altro che un grembiule nero, disteso sulla spalliera di una sedia. Agitato dal vento, il grembiule dava l’idea del movimento delle braccia. Sopra la spalliera c’era una rocca da filare che dava l’impressione di essere una testa. Ranieri la prese in mano e la mostrò alla folla che, ridendo, si disperse. (Ivi, pp. 7-8).

Nel secolo decimonono, dice Leopardi, nel bel mezzo di una città come Firenze, la gente crede ai fantasmi. Se Ranieri non avesse svelato il mistero, la folla avrebbe continuato tranquillamente a credere, un po’ come nel mito della caverna di Platone.
La verità per molti rimane dunque un’ombra.
Su queste basi si edifica il potere dei giornali e della critica letteraria. Se in certe università anglosassoni si studia la Rowling e il suo maghetto e si censura 1984 di Orwell, forse la verità è triturata nel meccanismo della propaganda. L’illusione ha completamente sostituito la verità e viene spacciata per tale e viene rovistata per finta, con saggi critici del tutto infondati perché in fondo, di che parlano? Dell’infondato.
Chi dunque decide quale illusione propinarci e perché?
L’arte libera dal potere, rimane utopia, quindi quando il critico manipolato dalle lobbies, decide cosa sia e cosa non sia letteratura o arte, dobbiamo fare sempre i conti col gap tra verità e finzione, tra il grembiule nero che agita le braccia e il fantasma.
Questo gap passa inosservato alla maggior parte dei lettori, ignari dei meccanismi che decidono quale libro debba stare dappertutto e quale debba essere ignorato.
La struttura che trita l’arte e la rende un falso prodotto commerciale in sintonia con le esigenze del potere, ha sdoganato però la stessa critica letteraria che ha perso la sua credibilità, se mai ne abbia avuto una.
Il critico rimane un artista fallito che ce l’ha fatta, un soggetto, generalmente di provenienza sociale alta e che discetta ampiamente di poesia dall’esterno, ossia senza mai averne scritta una, nel migliore dei casi, o aver scritto pessime poesie lodate da tutti per piaggeria, nel peggiore.
Quando un critico muore diventa automaticamente santo e viene santificato di più proprio da quelli che non lo hanno mai letto o mai abbiano, nemmeno nei sogni, pensato di leggere i suoi polpettoni. Ma tant’è, il meccanismo della buona e nota letteratura, si alimenta soprattutto di false recensioni e citazionismo diventato oltretutto molto spiccio sui social, dove diventa semplice estrarre e postare, fingendo un commosso ricordo, tanto migliaia di frammenti di testo del critico si trovano on line, dappertutto.
C’è dunque un doppio movimento strategico, uno che proviene dall’alto e che stabilisce le regole fondanti la letteratura e l’altro di derivazione, a specchio, che riproduce, attraverso l’abdicazione del pensiero, da parte dell’uomo medio, i contenuti filtrati dall’alto. Oltre questa sfera precotta non si va. E anche quelli che dicono apertamente di esser contro, si sviliscono nell’acquisto compulsivo di sottoprodotti da bancarella dell’ultimo scrittore titolato, che magari ha vinto anche il super-premio del castello fatato che più truccato non si può e della strega doc, perché pubblicizzare il pubblicizzato, per una questione di imprinting, rende il mediocre felice e appagato, sazio di niente perlopiù, ma questo poco importa in un mondo che decide sulla base di un potere sottile, capillare e mafioso, cosa sia e cosa non sia un libro o un dipinto.
Se il contenuto poi è scarso e non resisterà al tempo, avrà quantomeno appagato la voglia di credere ai fantasmi dell’utente beota.
La letteratura, a pensarci bene, è una faccenda piuttosto idiota.

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