La Gambata di Barinco

La Gambata di Barinco

La Gambata di Barinco

La Gambata di Barinco

D.M. Manni, Le Veglie piacevoli, 1815, credit Antiche Curiosità©

 

Mary Blindflowers©

La Gambata di Barinco

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Tra i poeti dimenticati, Domenico Maria Manni, in Le Veglie piacevoli, 1815, ricorda Maestro Lazzero Barbiere, noto alla sua epoca per un componimento intitolato La Gambata di Barinco.
Di questo poeta costretto per vivere ad esercitare la professione di barbitonsore, parla anche il Dizionario di Opere anonime e pseudonime di scrittori italiani o come che sia aventi relazione all’Italia di G.M. Tomo II, H-R, in Milano coi Torchi di Luigi di Giacomo Pirola, 1852, p. 71.
Sul significato del termine Gambata invece si legge in Ferrario:

Aver la gambata o la stincata, modo basso esprimente l’esclusione da matrimonio desiderato, che vien concluso con un altro; e dicesi anche Dar la gambata, cioè prender per moglie o per marito la dama o il damo altrui. Il Salvini (Ann. Sopra la Tancia) dà alla suddetta parola una spiegazione più ampia riportata dalla Crusca parlando della leggiadrissima composizione intotolata La Gambata di Barinco, ove gli si dice: fasciati lo stinco. “Credo che cià sia avvenuto (cosi egli) quando uno corre a tutta carriera verso un luogo (poiché il desiderio portato dall’ali della speranza, non è altro che una corsa) trova un inciampo tra via cade e batte lo stinco, o la gamba, e si riduce impotente a proseguire il cammino”. Così ne vennero i nomi di stincata e gambata, e semplicemente aver avuto uno sgambetto, e fatto cadere… (Poesie drammatiche Rusticali scelte ed illustrate con note dal Dottor Giulio Ferrario, Annotazioni sopra la Catrina, in Edizioni delle Opere classiche italiane dedicata a sua Eccellenza il Signor Mezzi d’Eril, Duca di Lodi, Cancelliere Guardasigilli della Corona, Milano, Francesco Fusi e C. editori de’ classici italiani, 1812, p. 32).

 

E in effetti la Gambata di Maestro Lazzero barbiere, vero nome Lazzaro Migliorucci, si concentra sulla delusione di un innamorato che vede la sua bella Caterina sposa ad un altro.
La poesia, che probabilmente in pochi conoscono, è molto divertente. Il poeta si sfoga contro lo sposo, il sensale, i genitori della donna che l’hanno data in moglie ad un altro, contro la stessa Caterina che non gli ha detto nulla, rinfacciandole un bel po’ di soldi spesi per lei.
Il dolore più grande del poeta è quello di aver saputo da altri della perdita della sua Tina, tanto che all’inizio del componimento, fa fatica a crederci e quando comprende che è vero, vorrebbe dare una testata a una colonna per la disperazione:

 

Pubblicamente in Chiesa s’era detto
Due volte già, che la Tina era sposa;
Barinco, che per lei tenea nel petto
Accesa un tempo già fiamma amorosa,
Non lo credea, sebben n’avea sospetto,
E per certificarsi della cosa,
La terza volta, che s’ebbe a bandire,
Co’ proprio orecchi si volse chiarire.
Ma quando il Prete lesse, e disse; il tale
Piglia la Caterina per sua Donna,
Se non era il timor di farsi male,
Dava del capo allor’n una colonna…

 

Subito dopo aver preso consapevolezza del matrimonio, il povero Barinco esce dalla chiesa per sfogare la sua rabbia in cui è implicita una allusione sessuale: “Subito uscì di chiesa alla bestiale / Battendo i denti come fa la Monna,/ E disperato andò pien di rovello/ lungo le mura a sfogare il martello…
Tutto il componimento è in rima talora alternata talora baciata, ed è un peccato che l’autore sia stato del tutto dimenticato.
Se non fosse stato per il Manni e per qualche documento d’archivio, probabilmente non sapremmo nemmeno che Migliorucci è esistito, il che è un poco triste perché i suoi versi non sono affatto malvagi. Del resto lo stesso Manni precisa:

 

Un ingegno bizzarro dovrà senza dubbio giudicarsi Maestro Lazzero Barbiere Fiorentno; del quale per altro così poco di memoria è a noi rimasto per essere stato persona in bassa fortuna (Manni, Le veglie piacevoli, Gaspero Ricci, Firenze, 1815, p. 121).

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