Addio Genova, mai più

Addio Genova, mai più

Addio Genova, mai più

Addio Genova, mai più

Catene, credit Mary Blindflowers©

 

Roberto Marzano©

Addio Genova, mai più

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Non avrei mai voluto venirci, a Genova. Spiarla da lontano mi sarebbe stato più che sufficiente, per ammirarne il profilo di nascosto facendo affiorare, di tanto in tanto, solo un po’ gli occhi…
Me lo aveva detto mio nonno: «Sta’ attenta: quando senti avvicinarsi il borbottio dei motori fuggi, ragazza mia, fuggi in fretta!»
Ma il suo amorevole consiglio si è rivelato del tutto inutile quando, sorpresi nel sonno, ci hanno circondati, presi e deportati di brutta maniera a Genova, la capitale del “male”.
Condotti lì a migliaia, ammassati e compressi senza alcun garbo in viscide e sozze gabbie di legno, con le mosche dai riflessi smeraldo che ci svolazzano attorno indecise se sbocconcellarci con calma o deporre le loro fetide uova nel vivo delle ferite. Una piccola buga, schiacciata tra il mio corpo e quello spappolato di un sarago, ha lo sguardo sconcertato, sperduto… Nemmeno lei riesce a capacitarsi di come abbiamo potuto trovarci, nel giro di pochissimo tempo, dalla libertà senza limiti che ci faceva vagare a nostro piacimento seguendo le correnti, la luna e il sole, a questa terribile e soffocante realtà.
Le urla e le bestemmie dei nostri aguzzini fanno da macabro sottofondo a questa situazione insostenibile, alla quale si aggiunge la greve presenza di una striscia d’asfalto appesa al cielo, sulla quale incredibili mostri metallici ruggiscono sbuffando un fumo nero che appesta ancor più l’inutile aria, già abbastanza indigesta. Sulla calata boccheggiamo disperati, le branchie sono minuscole ali impazzite che ci condurranno frenetiche a nient’altro che alla morte.
Un’assurda struttura bianca, simile a una piovra gigante con lunghe braccia tese al cielo, sembra esultare beffarda per la facile conquista del nostro branco distratto, con una fittissima rete che ci ha catturati circondandoci subdola per poi chiudersi improvvisa, non lasciando nessuna via d’uscita, se non ai più svegli, ai più lesti.
La maggior parte di noi è già nell’Olimpo con Nettuno quando occhi e mani esperte ci suddividono razza con razza in casse da morto più piccole, facendo un unico mucchio dei più deboli e scarni da vendersi direttamente a pochissimi euro all’Obitorio di Piazza Cavour, a poveri clienti scarni come noi. E, da un certo punto di vista, ci va anche bene se finiremo infarinati e fritti. Meglio certo che venire rinchiusi per anni nel famigerato Supercarcere genovese, attrazione per turisti sadicamente ansiosi di vederci scodinzolare senza soluzione di continuità in quelle anguste celle di vetro in preda alla noia e allo sconforto.
Ma ormai è troppo tardi per tutto, non c’è pensiero o ragionamento che tenga, la vita mi sta lasciando. Addio nonno, avrei dovuto stare più attenta, avevi ragione. Le ultime molecole di mare stanno ormai evaporando, tra poco sarò morta anch’io…
All’improvviso sulla scena irrompe furtivo un temerario gabbiano che fulmineo mi cattura tra le fauci, alzandosi subito in volo deciso ad inghiottirmi con tutta calma. Ecco, penso, non finirò nemmeno fritta, bensì nello stomaco di quest’uccellaccio sfacciato, che ora si allontana a grandi alate verso il mare. La città dall’alto mi appare assurdamente bella. Addio Genova, addio mondo.
Ma, complice un’inaspettata folata di teso libeccio, il gabbiano perde l’equilibrio e il colpo d’ala che dà per rimettersi in rotta gli fa miracolosamente mollare la presa. Precipito giù come un proiettile! Ormai più morta che viva, durante la caduta mi viene incontro tutta la mia pur breve esistenza.
Dopo un primo momento di smarrimento, durante il quale continuo ad avvitarmi verso il fondo, il contatto con l’acqua mi dà un nuovo impulso vitale, le pinne e la coda si rimettono in moto. Allora, pur ancora stordita dalla sorpresa, decido di fuggire via velocissimamente, il più lontano possibile. Addio Genova, a mai più rivederci!

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