Arte, sacralizzazione, critica, silenzio

Arte, sacralizzazione, critica, silenzio

Arte, sacralizzazione, critica, silenzio

Arte, sacralizzazione, critica, silenzio

Geometrie perfette, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

Arte, sacralizzazione, critica, silenzio

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Operazione frequente, modaiola ma bigottissima è la sacralizzazione di poesia, romanzi, film, arti visive in genere, nate sotto il segno del profano e poi, una volta decretate arte dai critici ufficiali, santificate proprio sugli stessi altari che artisticamente le opere si proponevano originariamente di contestare.
L’arte viene così immersa in una bolla d’aria compressa, messa sotto una teca di vetro trasparente e antiproiettile e adorata con inchini, piroette, preghierine, salamelecchi e apologie, come se fosse la madonnina di un santuario edificato per imperitura memoria di un dio che muore ma si ricorda sempre e salva gli uomini dall’errore e dalla cecità.
Si annulla così la dinamicità pulsante e vivace dell’opera d’arte che si vuole celebrare e del pensiero a cui essa stessa si ispirava, dettato dal movimento creativo, non dall’immobilità totale.
L’opera destinata dal sistema alla fama, attraversa simbolicamente quattro fasi: esposizione/pubblicazione, divulgazione-commercializzazione, apologia critica, santificazione finale con (anche se non sempre) immissione nel mondo dei classici di per se stessi intoccabili, come mummie dentro sarcofagi cosparsi di polvere santa da servire alle masse inerti e agli intellettuali di partito.
L’arte-pietra poi dopo la morte dell’artista segue due strade, o si dimentica oppure in caso di artisti particolarmente legati alla politica e alle lobbies, diventa tomba su cui posare fiori, perfetta, eburnea e su cui non si può più coltivare nessun pensiero critico.
Molti finiscono per conoscere l’opera in oggetto soltanto di fama, e condividerla nei social per nostalgico desiderio d’esserci attraverso un classico intramontabile su cui soltanto l’autorevole e a volte ciarlatanesca e politicizzata critica accademica può pronunciarsi senza paura di essere presa a sassate.
La santificazione ha inizio e con essa anche la vera morte dell’opera stessa che nata per far discutere, ora è circondata dal silenzio, attraverso un’operazione contraddittoria e controproducente che va dritta dritta lungo la strada religiosa del bigotto fanatismo intollerante.
Se qualcuno osa segnalare eventuali difetti, viene subito attaccato come anticristo che va contro la chiesa, quella dell’arte che nasce col suggello dell’antisacro ma è diventata sacra, come una reliquia, l’immaginetta di un santino da portare sempre in tasca e baciare.
Siamo al paradosso del seguace che fa morire l’opera d’arte che segue nel silenzio perché non vuole che questa crei discussione o sollevi critiche sia pur sensate o domande. L’arte nata per far discutere, ormai è imbalsamata, immersa totalmente nella veste della silenziosa intoccabile santità, la si depaupera di senso, consegnandola ai posteri sotto forma di citazioni balsamiche da adorare nell’altare dei fast-food della cultura ufficiale massificata.
In questo gioco-trappola di disvalorizzazione profonda del senso della cultura, cascano le masse ma anche persone che si ritengono colte e che pedissequamente difendono gli eroi della loro area politico-commerciale di riferimento, che diventano perfetti, dimenticando che lo scopo dell’arte non è mai la perfezione ma il suo contrario, l’imperfetta e meravigliosa sintesi simbolica del mondo.
Del resto che credibilità oggi ha la critica stessa che esalta come capolavori soltanto libri pubblicati dai grossi editori e già destinati dal marketing alla fama e ignora completamente il resto?
Di chi si occupa mai la critica? Di arte o di seguire gli imperativi categorici delle lobbies e delle società finanziarie?
Che credibilità può mai avere un critico che, abbandonandosi all’iperbole e all’apologia del tutto ingiustificata contenutisticamente e filosoficamente, grida al capolavoro indiscusso sulle pagine dei giornali non appena la prole altolocata dell’alta borghesia, partorisce a stento due righe di romanzo o di saggio?
E si grida contro il fatto che sia morta la critica letteraria mentre tutti su internet diventano recensori di libri, snocciolando il mi è piaciuto, non mi è piaciuto, indipendentemente dalla qualità letteraria del testo in oggetto, dando sfogo ad un soggettivismo dilettantistico da bar dello sport.
Ma mi domando è più da bar dello sport un lettore che recensisce un libro, magari rispolverando anche scrittori dimenticati e comunicando agli altri il suo amore per la lettura, oppure un critico ufficiale?
Prima di rispondere però valutate un punto importante.
Ultimamente la critica che conta ha preso il vizietto di recensire autori semisconosciuti che improvvisamente (eh chissà come mai) pubblicano senza gavetta alcuna, con grossi editori. E si fa più carriera a recensire questi signor nessuno sbucati dal nulla e spesso totalmente privi di genio ma cari alla politica retta dalle lobbies che non autori di talento, lasciati nel dimenticatoio.
Questa è la moda.
Chi è più deplorevole dunque?
Un recensore della domenica senza titoli per recensire se non l’amore per la lettura oppure un critico manipolato dalle società finanziarie e costretto a recensire quello che queste comandano?

Io qualche domanda, giusto di tanto in tanto, per non affaticare troppo il cervello, me la farei.

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