Letteratura, resistenza, potere, carriera

Letteratura, resistenza, potere, carriera

Letteratura, resistenza, potere, carriera

Letteratura, resistenza, potere, carriera

Allineati, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

Letteratura, resistenza, potere, carriera

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C’è tutto un filone letterario, da Boccaccio al Tassoni, da Rabelais a Swift, che possiamo definire della “resistenza”, del mondo alla rovescia e della critica simbolica ad un sistema che pure li invischiava e nel quale dovevano riuscire a barcamenarsi e dimenarsi come dentro un vestito stretto, fino ad arrivare all’invettiva contro religiosi, politici, cortigiani, giudici, inquisitori e poeti stessi.
La differenza tra il tipo di letteratura che i suindicati autori facevano e la letteratura innocua di chi invece ammetteva lo status quo, balza agli occhi e rende i loro scritti immortali perché affermano cose che potrebbero essere state scritte oggi. Per esempio, sia il Tassoni che lo Swift erano contrari al colonialismo in epoche in cui conquistare terre altrui ed appropriarsene, veniva considerato normale.
Scrive Swift ne I viaggi di Gulliver:

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Per esempio, si è dato il caso di Pirati spinti dalla tempesta verso regioni sconosciute; un loro mozzo scopre terra dall’alto dell’albero maestro; essi discendono per rubare e saccheggiare; trovano un popolo inerme che li riceve amichevolmente; essi danno un altro nome a quel paese e ne prendono possesso a nome del loro re; piantano un palo fradicio e innalzano una lapide per ricordo dell’avvenimento: ammazzano qualche dozzina di indigeni, ne portano seco uno o due come campioni, tornano in patria e ottengono la grazia sovrana. Laggiù, intanto, s’inizia un nuovo dominio fondato sul diritto divino; alla prima occasione viene mandata colà una flotta e i naturali di quella vergine terra sono scacciati e uccisi; i loro capi sottoposti ai tormenti perché confessino dove tengono i tesori; insomma accade tutto quanto può immaginarsi di crudele e di svergognato; i disgraziati aborigini arrossano di sangue il suolo del loro paese, e quella ciurma di furfanti che si è distinta in un’impresa così degna, prende il nome di “colonia” mandata per recare la civiltà tra un popolo barbaro e idolatra (G. Swift, I viaggi di Gulliver, prima versione integrale a cura di Aldo Valori con ornamenti di Enrico Sacchetti, Formiggini, 1921, p. 308).

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Una presa di posizione molto chiara, quella di Swift, che continuamente nella sua opera segnala le storture della propria epoca con sguardo disincantato e simbolico.

Nella lettera del Capitano Gulliver al cugino Sympson, Swift chiude il suo fantastico romanzo, con parole incisive e critiche, attualissime:

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Vi prego di farmi conoscere per mezzo di una lettera, se i partiti e le sette sono sparite, se i giudici sono diventati dotti e retti, e gli avvocati onesti e modesti nonché forniti di un po’ di buon senso… se le Corti e i Ministri e le loro cerimonie sono state abrogate e spazzate via; l’ingegno, il merito e la cultura ricompensate; e i cattivi prosatori e i versaioli condannati a nutrirsi soltanto dei loro fogliacci e a levarsi la sete col loro inchiostro. Io facevo calcolo fermamente sopra queste ed altre simili riforme… Al contrario, la mia attesa è stata delusa da ciascuna vostra lettera, ed anzi ogni settimana avete sovraccaricato il corriere con lo spedirmi ogni sorta di libelli, riflessioni, “chiavi”, memorie e rivelazioni, in cui mi sentivo accusare di aver offeso le autorità, d’aver degradato la natura umana… e d’aver insultato il sesso gentile. Il bello è che gli scrittori di codeste pappardelle non si trovano neppure d’accordo tra loro, perché alcuni non vogliono credere ch’io sia l’autore di questi Viaggi, mentre altri mi affibbiano anche la paternità di certi libri coi quali non ho nulla che fare.

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Lo scrittore che critica il proprio tempo non è simpatico. Swift veniva considerato intrattabile e non fece carriera proprio per il lato migliore del suo carattere, ossia la mancanza di arrivismo, servilismo e ambizione che gli consentirono di sotterrare il mondo coi suoi sarcasmi ma anche di inimicarsi per sempre i potenti di turno che si assicurarono di stroncare per bene sia la sua carriera politica che ecclesiastica.

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