Leggenda del bel Pecopino

Leggenda del bel Pecopino

Leggenda del bel Pecopino

Leggenda del bel Pecopino

Leggenda del bel Pecopino e della bella Baldura, 1932, credit Antiche Curiosità©

 

Mary Blindflowers©

La leggenda del bel Pecopino e della bella Baldura

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Se vi piacciono le favole medioevali con talismani, castelli, viaggi onirici, cavalli e cavalieri, simposi con condimento diabolico, la Leggenda del bel Pecopino e della bella Baldura, è il libro che fa per voi. Si tratta, per la precisione, della lettera XXI de Il Reno di Victor Hugo. La prima edizione di questo libro è stata stampata in tre volumi nel 1842. L’edizione completa, che comprende 39 lettere, risale al 1845.
Il leggiadro Pecopino, figlio del burgravio di Sonneck, ama e riama la bella Baldura che è figlia del re di Falkenburg. Pecopino ama però anche la caccia, pretesto mitico che muove l’azione. Hugo riproduce nel testo una vera e propria caccia infernale con gli effetti surreali di una fiaba carica di tutta una simbologia attinta dal repertorio dei racconti dell’età di mezzo. Già Boccaccio e Dante avevano messo in scena il tema della caccia infernale nelle vicenda di Nastagio degli Onesti, quindi il tema non era affatto nuovo. Hugo non sviluppa alcun tema originale, anzi si abbandona ad un certo grado di prevedibilità. Per esempio, quando Pecopino incontra nel bosco un vecchio signore con un corno d’avorio che lo invita a cacciare insieme a lui, si capisce la natura diabolica del suo interlocutore dalla sua gobba e dalla sua zoppia, tuttavia l’atmosfera fiabesca è resa bene, nonostante l’autore non riesca a creare troppa suspense.
Anche il finale è prevedibilissimo, tant’è che non suscita alcuna sorpresa nel lettore. Tuttavia la storia è gradevole per gli innumerevoli riferimenti simbolici e gli echi letterari che suscita, anche se la trama avrebbe potuto avere esiti più felicemente creativi.
Poche volte l’autore interviene con massime o sentenze, solo qualche breve considerazione en passant, che ha un neppur tanto vago sapore di ironia:

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Di fronte ai traditori e agli individui a due facce l’odio è un dovere. Tutti i parigini debbono, passando, tirare una pietra a Perinet Leclerq, tutti gli spagnoli al Conte Giuliano, tutti i cristiani a Giuda, tutti gli uomini a Satana. Del resto, non dimentichiamolo Dio mette sempre il giorno accanto alla notte, il bene dopo il male, l’angiolo in faccia al demonio. L’insegnamento austero della Provvidenza risulta da questa eterna e sublime antitesi. Sembra che Dio dica senza requie: “Scegliete!”. Nel secolo decimoprimo, in faccia al prete cabalista Gerberto mise il casto e saggio Emuldo. Il mago fu papa, il santo dottore fu medico. Di modo che gli uomini poterono vedere sotto il medesimo cielo, fra gli stessi eventi e l’identica epoca, la scienza bianca nella sottana nera, e la scienza nera nella veste bianca…

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L’aspetto positivo della storia è il continuo rimando ad una simbologia meritevole di approfondimento, in parte legata a riferimento letterari ad opere precedenti, in parte attinta dal repertorio teologico classico. Per esempio il gallo che discaccia le tenebre è un topos piuttosto frequente nella letteratura antica e nelle leggende nordiche. Il gallo, consacrato ad Apollo, era simbolo solare per antonomasia nell’epoca classica e nella tradizione nordica indica la vittoria della luce sulle tenebre. Il gallo di Hugo però mantiene sfumature inquietanti, il suo canto è come una lama:

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Ad un tratto un gallo cantò. C’era un non so che di terribile in quel canto chiaro, metallico e vibrante che attraversò l’orecchio di Pecopino come una lama d’acciaio. Nel medesimo istante soffiò un vento fresco, il cavallo scomparve, egli barcollò, e fu lì lì per cadere. Quando si raddrizzò tutto era scomparso. Spuntava il giorno.

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Formiggini negli anni trenta ha pensato di includere la Leggenda del bel Pecopino tra i classici del ridere forse per quella velata ironia che traspare da certe parti del testo. Luigi Servolini ha curato la traduzione. Il volume è impreziosito dalle xilografie di Maria Ciccotti, peraltro molto belle.
Quest’edizione ha il buon gusto di non mettere alcuna prefazione critica, così il lettore può avere la possibilità di fare da solo i suoi raffronti intertestuali. Inoltre ci sono altre due storie dai titoli lunghissimi: Storia della minuscola fata grossa come una cavalletta, e del gigante che crede portar sulle spalle un nido di diavoli; Leggenda del diavolo che è meno sciocco dei buoni borghesi e del frate più furbo del diavolo.
Anche in questo caso le trame sono piuttosto prevedibili tuttavia gradevoli e ricche di collegamenti storico-letterari e numerosi spunti di riflessione per chi gradisce perdersi dentro piani di lettura simbolica.

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