L’età dell’oro è lontana

L'età dell'oro è lontana

L’età dell’oro è lontana

L'età dell'oro è lontana

La democrazia, credit Mary Blindflowers©

 

L’età dell’oro è lontana

Mary Blindflowers©

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Esprimere senza riguardi per nessuno, senza paroline dolciastre, senza ammennicoli metrici, senza rispettare troppo le sante tradizioni, le oneste convenzioni e le stupide regole della buona società. Bisogna ridiventare un po’ barbari, magari un po’ beceri, se vogliamo ritrovare la poesia (Papini, 24 cervelli, Studio Editoriale Lombardo, 1917, p. 306).

Il becerume di oggi consiste invece nell’usare paroline dolci per coprire il nulla contenutistico, seguire sempre le regole imposte dalla buona società, abolire il barbaro che è dentro ciascun poeta, che nel momento stesso in cui entra nei canoni del potere, smette di essere poeta.

Il gap insanabile tra chi vuole dire la verità tramite l’arte e chi ci rinuncia, ha creato mostri, ha partorito dei girini dal rospo della condiscendenza. I girini si sono sviluppati, hanno affinato le doti di cortigianeria e si sono adattati ai sedili messi loro a disposizione dai signori ricchi. Questo è il vero problema della cultura. La dipendenza del poeta o dello scrittore dal potere. Un problema secolare e ineliminabile perché la società non è mai sortita dal primitivo per entrare nell’età dell’oro. Questa nascerà soltanto quando si sarà realizzata la completa indipendenza dell’artista dal potere e dal denaro. Può darsi che rimanga un’utopia, che la libertà artistica non si possa realizzare nemmeno tra un milione di anni, oppure le cose potrebbero cambiare ma di certo non in tempi brevi. Non saremo qui ad assistere a questo cambiamento epocale che segnerà il passaggio dell’uomo dall’oscurità alla luce.

L’aspetto più importante è che quasi tutta la vita culturale e intellettuale della comunità – i giornali, i libri, l’istruzione, i film e la radio – è controllata da uomini ricchi, i quali hanno tutto l’interesse a prevenire la circolazione di certe idee. Il cittadino di un paese democratico è “condizionato” sin dalla nascita in maniera meno rigida ma quasi altrettanto efficace di come lo sarebbe in uno stato totalitario (G. Orwell, Fascismo e democrazia, ed. Lindau, 2022, p. 11).

Allora le rivoluzioni artistiche? Dirà più di qualcuno.

Secondo la filosofia di Ettore Regalia, nessuno va cercando uno stato in cui già si trova. Ecco perché le rivoluzioni artistiche non sono affatto vere rivoluzioni: un borghese o un aristocratico non hanno interesse a cambiare il sistema in cui già si trovano e che esclude tutti gli altri, ergo si fanno belli con le penne del pavone infilate nel didietro. Pietro però non va avanti né indietro perché sta già in Paradiso, perlopiù si annoia, sente vaghi vaghissimi sensi di colpa sfumati nel business e finge di riformare il mondo, senza cambiare alcunché. Nascono così le icone di partito, funzionalissime al sistema che dicono di voler combattere. Si tratta di personaggi ricchi che fingono di difendere i poveri e di criticare il sistema dell’arte dall’interno. Mai accade che il sistema venga attaccato dall’esterno perché se il potere permette ad un suo simile di sciorinare le pseudo-filosofie rivoluzionarie, non permetterebbe mai ad un povero Cristo di aver voce e di rivelare il punto di vista di un soggetto fuori dal circolo canasta guasta. Questo è un fatto evidentissimo a tutti. Basta guardarsi le biografie di coloro che vengono spacciati per grandi riformatori, basta visionare i programmi delle università per capire quanto l’arte sia in mano ai ricchi. Interi corsi dedicati a installazioni di oggetti comuni dentro o fuori dai musei, che di artistico ormai non hanno più nulla, abbondano. E i curatori che dicono qualsiasi castroneria pseudo-filosofica pur di aderire al sistema del business? Con l’arte che dice la verità non si fanno soldi. I quattrini si fanno con le bugie, sia nel campo dell’arte che della letteratura. Il gap quindi tra arte e potere permane, con la differenza che mentre prima gli artisti dovevano combattere contro l’inquisizione e la censura, oggi la democrazia ci dice che siamo liberi di scrivere quello che vogliamo. In parte è vero, altro aspetto analizzato da Orwell. In un paese totalitario non si può scrivere nulla. In un Paese occidentale che si definisce “democratico” questo articolo ancora si può pubblicare. Sì, ma in quanti lo leggono, dato che non verrà mai pubblicato su canali ufficiali e ben distribuiti?

La nuova forma di censura è chiudere tutti gli spazi a chi non si adegua, a chi non si adatta al potere, soprattutto a chi non ha soldi. Mentre in un paese totalitario la censura è aperta, in un paese democratico occidentale si semina l’illusione che tutti siano uguali e godano degli stessi diritti, ma non è affatto così. L’età dell’oro è lontana in un mondo che per oro intende soltanto il vile denaro.

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

 

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