Giovanni Faldella, scrittore dimenticato

Giovanni Faldella, scrittore dimenticato

Giovanni Faldella, scrittore dimenticato

Giovanni Faldella, scrittore dimenticato

Giovanni Faldella, scrittore dimenticato, credit Antiche Curiosità©

 

 

Mary Blindflowers©

Giovanni Faldella, scrittore dimenticato

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Madonna di fuoco, Madonna di neve, l’ultima fatica letteraria di Giovanni Faldella, pubblicata in prima edizione da Alfredo Brigola & C., Milano, 1888, ripubblicata da Riccardo Ricciardi, MCMLXIX, Milano-Napoli, con la riproposizione in sovraccoperta della copertina originale e ottima carta a forte grammatura, è un romanzo poco noto ma di cui mi sento di consigliare vivamente la lettura.
Unico difetto dell’edizione Ricciardiana, la noiosissima prefazione di Gianfranco Contini, che avrà pure avuto il merito di aver “riscoperto” il Faldella e di averlo dissotterrato dall’oblio a cui il tempo lo aveva ingiustamente condannato, ma si è anche abbandonato, nel presentare il libro, ad una concione piuttosto pesante sulla letteratura italiana, parlando di tutto di più, di autori vari, con ostentato sfoggio di cultura letteraria che risulta un poco indigesto. Salverei soltanto la parte in cui cita la stampa che ha accusato il Faldella di un linguaggio “eccessivamente bizzarro”, invitandolo ad essere “più discreto” nella scelta del frasario.
Eppure è proprio la scelta del linguaggio, uno degli elementi forti dei romanzi di Faldella. Il suo stile brioso e spumeggiante anche nel descrivere le tragedie, tradisce una profonda ricerca linguistica, nel pieno recupero del meraviglioso disusato su cui innesta, come per gioco, uno sguardo da buffone che raggiunge consapevolmente l’abisso senza farsene mai travolgere. Egli non dà giudizi come il Manzoni, se ne astiene, come Verga, lascia che siano i personaggi ad animare la storia, aiutati da quella sua lingua che stupisce e mai annoia, ricca di spunti geniali e scorrevole come le battute spigolose di un buffone, e il lettore si sente un re, trascinato in un mondo antico che però per certi versi è rimasto anche com’è.
E nonostante Faldella scriva alla fine dell’Ottocento, il suo stile ibrido rimane frizzante, denso di un eclettismo che affascina e seduce il lettore dalla prima all’ultima pagina. Egli mette in luce meschinità e contraddizioni di una italietta provinciale, bigotta, arretrata, misogina e pettegola.
I personaggi del racconto sono caricature e miniature riuscitissime, caratteri in cui prevale il senso del forte contrasto emotivo e della facezia nascosta dietro l’angolo:

 

Quello che veggo comparire- sentenziava malinconicamente il signor farmacista Rolanza cavaliere chimico Nicola, – sono i nervi di Marsiglia, i barabba. Questo distinto e sospiroso farmacopola che si firma cav. Chimico (come se la chimica ci fosse entrata esclusivamente nella combinazione della croce cavalleresca, e come se il nastro fosse per lui un precipitato), aveva preso con onore l’esame pubblico all’Università di Torino, quando il pubblico era una rarità… Egli era sempre stato uomo pratico, di insigne prudenza e previdenza lontana: tanto che aveva ammaestrato i suoi figlioli, ancora piccini, a servirsi del pappagallo di vetro, dicendo: ciò potrà poi tornare a loro provvidenziale anche da grandi nella lunghe malattie che costringono a letto.
In opposizione all’indole riserbatissima del farmacista, il piccolo veterinario Salacci… alterna volentieri i pettegolezzi rustici con l’espettorazione dell’ammirazione più cordiale e dell’apostolato più convinto per la celebrità e la benemerenza mondiale di Pasteur; ha continuamente in bocca i virus, i fermenti, le muffe, le spore, i bacterii, i bacilli, i microbi, e perfino imicrococchi del diametro di cinque diecimillesimi di un millimetro. Vorrebbe coltivare, innestare e poi estirpare a suo talento anche i bacilli dell’erotismo indigeno… Ludovico Gallaro, il fornaciaio, era un uomo ormai sistemato nel sacrificio di se stesso… Essendosi i celibi del paese riuniti in occasione della festa di San Luigi, avevano nominato il fornaciaio a presidente perpetuo della Compagnia dei Muli… La leonessa (così avevano nominato in paese la vedovella Pardi-Necca Speranza) era il carattere opposto del fornaciaio… calore e pubblicità… Pettoruta, tornita, pastosa, con certe spalle levigate, degne di un angelo rubesto… Speranza divenne una bellezza vieppiù spiccata e interessante: una rosa irradiata dal sole e chiusa in una busta nera… spiegando un talento amministrativo sbalorditoio, ottenne facilmente di governarsi da sé… era un portento di economia domestica e di follia amorosa. Non teneva mai il cuore vacante e non dimenticava ma un centesimo di interesse…

 

Speranza, che è la protagonista del racconto, è una donna sincera fino alle lacrime, passionale in tutto ciò che fa, nell’amore come nella devozione a Dio. Ha un tipo di fede umanitaria e pietosa, tutta tesa al bene e all’aiuto del prossimo, una fiducia incondizionata e sincera nelle possibilità che ogni essere umano possa essere di aiuto all’altro. Ma il suo mondo ingenuo di fare, la sua fiducia tendente agli eccessi emotivi, si scontra con la meschinità e la sordidezza del parroco che non aiuta i reietti disinteressatamente, perché è un uomo completamente privo di umanità, esattamente come la sorella del fornaciaio, Fede, un nome una garanzia, una velenosa bigotta che finge svenimenti e deliqui, pur di evitare che il fratello sposi Speranza.
La lotta tra quest’ultima: Madonna di fuoco e la bigotta: Madonna di neve, non è soltanto una questione privata, ma si universalizza nello scontro tra la passione della modernità, incarnata da Speranza, donna indipendente e volitiva, e la bigotteria di un mondo femminile arcaico, frustrato e cattivo che non vuole evolversi, non vive e non lascia vivere. Fede è infatti una ricattatrice emotiva che gestisce totalmente la vita del fratello, lo imprigiona in un mondo di sottomissione ai suoi capricci di donna irrealizzata. Il fornaciaio è a sua volta, un debole, un pusillanime totalmente incapace di prendere in mano la sua vita, schiavo dei deliqui e dei finti svenimenti della sorella.
E Speranza, la donna che spaventa gli uomini con il suo carattere intraprendente e passionale, trafitta, spererà e attenderà fino all’ultimo che Fede non trionfi sul fornaciaro, che l’oscurità non superi la luce.
Un piccolo gioiello letterario, quello di Faldella, un racconto meraviglioso, sia per lo stile che per i contenuti. Troppo spesso accusato e a torto da molti ciechi, di tratteggiare solo figurine, di essere frammentario, e di offrire una serie di dati senza approfondimento psicologico, Faldella andrebbe riletto con più attenzione e rivalutato perché è, al contrario, un autore che merita e che ha rivoluzionato il linguaggio della sua epoca innestando neologismi e arcaismi nella scatola del brio e dell’ironia più sottile e tragica insieme. Una tecnica geniale sconosciuta a molti polpettoni ottocenteschi, leggibilissima ancora oggi.

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