Se c’è la guerra

Se c'è la guerra

Se c’è la guerra

Se c'è la guerra

Se c’è la guerra, credit Antiche Curiosità©

 

Paolo Durando©

Se c’è la guerra

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Se c’è la guerra

 

Se c’è la guerra e io vado, mi imbosco.
Cerco frutti di rovo.
Mi impallo, mi sgrano.
Rincorro le molli moltitudini
lungo i paradisi di frasche.
Mi ritiro, mi stropiccio,
perché mi avvedo del non vedo,
del non so nei tramonti così distanti.
Se c’è la guerra allora non esisto.
Mi indovo dove sono, mi incastro.
Perché ogni parola sarebbe di troppo,
ogni ostensione di forza un insulto.
Non esisto nel mio ritrovarmi,
perché nulla conta se per altri la terra è fango,
discese nei seminterrati delle metropoli,
ospedali sguarniti, malattie sospese
in un’apnea di gesti spuri
per giorni ponte, giorni latrina,
prima dell’assetto nuovo di poteri vecchi,
prima dell’urlo che ci incista, ci sprofonda.
Plastilina di noi stessi,
di scintille strame.

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Attesa

 

Dicci quanto manca alla fine,
all’apertura delle cateratte.
Rovesci di risa e luce attendiamo.
Spiegaci quali sono le imprese e le moratorie
che ripagano la morte sul bordo della strada,
in una scuola, in una Chiesa.
E ritroviamoci poi a ringraziare il disegno di Iddio.
Annuncia il risvolto secretato,
l’algoritmo sepolto
che spalanchi i mondi e li ricopra
di verde e di musica
in una premessa di idillio
sognata dai primi tempi,
dalle prime risposte ai bivi,
sbagliate, pavide o temerarie,
che non saldavano i conti,
né ricucivano gli strappi
nel tessuto delle parole disperse.
Facci trovare l’inesistito in noi,
la faccia nascosta della luna.
Le danze sul filo del pudore,
viatico di scommesse in forse,
di tenuta e vita.
Di amore.

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Distanze

 

Ci sono le distanze tra i luoghi,
tra persona e persona,
tra presente e passato.
Boccheggiamo in una bolla che fluttua
tra le altre bolle nel silenzio.
Prigionieri della separatezza,
precipitati di coscienza.
Sentiamo i nostri frammenti ribellarsi,
assurgere alla memoria di sé
tra false impronte,
ricostituite solarità di poco momento.
Impacchettati, più o meno preziosi,
nel confine pelle. Confezioni regalo
o improvvisate saccocce,
siamo umani alla ricerca
di un protagonismo a venire,
di una parola stagliata,
di un’esistenza imperitura tra le carte,
tra le finestre di un sito.
Cerchiamo il nostro urlo,
una speranza accolta,
come se in ogni caso contassimo
e lo spazio si deformasse
alla nostra presenza, curvatura einsteiniana
nel mistero della multidimensionalità
di lontananze primarie.

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Rivista Il Destrutturalismo

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