Poesia sdoganata, mai letta

Poesia sdoganata, mai letta

Poesia sdoganata, mai letta

Poesia sdoganata, mai letta

L’unica credibile penna, credit Mary Blindflowers©

Mary Blindflowers©

Poesia sdoganata, mai letta

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Farsi un nome con un’opera perfetta non è così facile come far valere un’opera mediocre con il nome che ci si è già fatti.
(Jean de La Bruyère, I caratteri, 1688).

 

Poesia sdoganata, mai letta, negletta e trascurata, ampiamente vista, ritritata e ripresentata come nuova ma vecchia e con la testa dentro una secchia di guano, oggi con la poesia non si può andare lontano, ma perché?
Chi ha fatto in modo che il lettore non compri più poesia, chi l’ha resa la cenerentola con la c piccola della letteratura che, a sua volta, drammaticamente, rantola, balbetta e non dice nulla?
Il potere delle relazioni che stanno alla base delle pubblicazioni oggi è fortissimo. La fama non si costruisce sul talento ma sulla conoscenza.
Professori universitari che non hanno mai scritto una poesia, o meglio ne scrivono tante e tra queste non è rinvenibile nemmeno un componimento che possa a ragion di logica e di illogica, essere chiamato poesia, uomini di chiara fama che danno lezioncine stucchevoli su cosa sia e cosa non sia poesia, dall’alto di cattedre ottenute con la politica, gente che pubblica subito con la grossa editoria e poi ancora e ancora con altri, continuamente. Ecco capolavori d’innocua atonia che non si vendono e non si vendono perché sono pallosi e dicono sempre le stesse cose in perfetto allineamento con il potere dominante, ossia non dicono nulla perché nulla si può dire.
E questi fini dicitori del nulla poi te li ritrovi a dirigere collane di poesia e altro, sono direttori editoriali che lavorano per editori grandi e piccoli, perché l’acqua corre al mare e la fama che questi personaggi, perlopiù sempre gli stessi, si sono costruiti relazionando, è grande, per cui te li ritrovi sempre tra i piedi in grandi e piccole realtà.
Poco importa se nessuno poi li legge ma tutti li conoscono per averne sentito il nome. Se leggessero veramente, più di qualcuno si stupirebbe dell’inutilità dei contenuti.
Il professorone che scrive poesie che nessuno compra, tanto che le collane di poesia falliscono e ben gli sta, che crollino tutte come tanti mattoncini lego, poi dirige la collana di poesia cippa lippa e giudica, chi è poeta e chi no, chi è scrittore e chi no, sulla base di una fitta trama relazionale.
Quindi tutte le volte che si manda un lavoro a una casa editrice, anche non di poesia, ma di saggistica, di narrativa o altro, si ha a che fare con questi personaggi. Sono loro i guru dell’editoria.
Avete presente quei giochini animati in cui il re, la regina e il fante escono da un castello girando su se stessi sotto una lucina e con la musichetta? Stessi personaggi, stesso giro, stesse luci, stessa musica. Se la ballano e se la suonano da soli, demandando parte dello spartito ai loro amici che poi li recensiscono ovviamente, e non vendono in realtà perché non hanno nulla da offrire tranne un nome che però alla lunga non regge, perché chi compra un libro e vuole seriamente leggerlo non sa che farsene del nome.
Le relazioni possono incrementare la fama momentanea, una sorta di prestigio fittizio, ma non instillare talento in chi non ce l’ha. Alla lunga il risultato di tutto questo innesto forzato di personaggi del tutto inadeguati e privi di talento nel mondo editoriale, ha un solo risultato preciso, lo sdoganamento della poesia, la sua umiliazione totale con conseguenze disastrose sul piano culturale. La poesia diventa innocua, non segnala, non denuncia più, il mondo crolla e il poeta parla di fiori profumati, dato che chi ha un nome costruito sulle relazioni importanti, non può ovviamente poi criticare lo stesso sistema che lo nutre. Il poeta sta a catena, e spesso non è nemmeno un poeta, ma viene presentato come tale.
Leggendo alcune poesie o certi romanzi di molti direttori di collana, ci si rende veramente conto dello sfascio totale in cui oggi è immersa l’editoria.
Mentre un atleta non può barare più di tanto, perché se non sa giocare a calcio o ad altro, si vede, se ne accorgono tutti, e le Società non possono investire in un ronzino che perde tutte le gare, perché perderebbero soldi, l’editoria continua a bluffare, proponendo come poeti e scrittori e direttori editoriali, personaggi che spesso e volentieri, non sanno neppure allacciarsi le scarpe, basta leggere i loro libri.
Si tratta spesso di vecchie glorie mezzo rincitrullite che però hanno un nome!
Anche se in altro contesto Giovanni Boine, in Frantumi, 1918, scriveva: “Ho scordato il mio nome: ho perduto i miei passaporti in un paese nemico”.

 

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