Magrelli, scivola la penna?

Magrelli, scivola la penna?

Magrelli, scivola la penna?

Magrelli, scivola la penna?

Terre secche, credit Mary Blindflowers©

 

 

Lucio Pistis & Sandro Asebès©

Magrelli, scivola la penna?

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Valerio Magrelli, cattedratico, classe 1957, a detta di alcuni pare sia un poeta. Ha infatti pubblicato diverse raccolte di poesie con grossi editori. Questo signore pubblica con Feltrinelli, Einaudi, Fazi, etc.
Ecco qua:

 

(scivola la penna)

Scivola la penna
verso l’inguine della pagina,
ed in silenzio si raccoglie la scrittura.
Questo foglio ha i confini geometrici
di uno stato africano
in cui disegno
i filari paralleli delle dune.
ormai sto disegnando
mentre racconto ciò
che raccontando si profila.
E’ come se una nube
arrivasse ad avere
forma di nube.

Da Ora serrata retinae (Feltrinelli 1980)

 

Totale assenza di rima come scelta stilistica fondamentale, la chiosa a loop gira su se stessa in modo piuttosto atono, il contenuto è totalmente innocuo e acritico.
L’antropomorfizzazione della pagina non tradisce profondità di significato, quindi rimane inerte, un’operazione banalmente fine a se stessa. Inertemente ermetica infatti la metafora dell’inguine del foglio: ci vuol dire il poeta che sta arrivando a metà pagina, vista la collocazione fisica di un inguine? La scrittura che si raccoglie nel silenzio è immagine nota, strausata e priva di qualunque metro di originalità contenutistica.
Il poeta racconta ciò che raccontando si profila, paragonando i confini del foglio a quelli di uno Stato africano, la nube ha la forma di nube (la scoperta del secolo!), anche l’acqua ha la forma di acqua e la sedia forma di sedia, lo sa il professore? Caspita! Dovevamo leggere questa poesia per capirlo! Resta da comprendere la ratio della similitudine della raccolta silenziosa dello scrivere, che già appare al poeta il disegno di ondulazioni desertiche, a una nuvola che assume la sembianza di se stessa. Questa esponenzializzazione delle similitudini a noi pare una allucinazione. Ma cosa dice infine? Nulla! Perché questo vuole la grossa editoria, poeti di sistema, perfettamente inquadrati nel mainstream che, mentre il mondo crolla, pensano a dirci che la nube ha la forma di una nube! Sembra incredibile, ma è così!

 

In altre occasioni il poeta tenta un buonismo sociale:

 

Riposa tutta quanta la Penisola
avvolta da una trepida collana
di affogati. Ognuno di loro è una briciola
fatta cadere per ritrovar la strada.

Ma i pesci le hanno mangiate e i clandestini,
persi nel mare senza più ritorno,
vagano come tanti Pollicini
seminati nell’acqua torno torno.

Da Disturbi del sistema binario (Einaudi 2006)

 

Qui il tentativo di rima alternata è infantile, (ritorno/torno, clandestini/Pollicini), mal riuscito (penisola/briciola) e incostante (collana/strada rappresenta una semplice assonanza e non una rima!) il resto è tutta prosa. Non esiste omogeneità metrica, vengono mescolati dodecasillabi a endecasillabi e tridecasillabi. La rima con torno torno costituisce una brusca caduta nel gergalismo. I primi quattro versi sono prosa e nemmeno poetica, edulcorati in un populismo servito per le masse e copiato dalla favola di Pollicino. L’ambientazione non offre all’occhio del lettore la soddisfazione di un’elaborazione artistico-creativa, si attinge al repertorio di Charles Perrault e alla sua immagine delle briciole che vengono mangiate, così non si ritrova più la strada. Il poeta non fa altro che collocare la storia di Pollicino nel mare perché i novelli Pollicini sono i clandestini, uno spostamento dunque, e niente più. Troppo poco per definirsi poeti. Nessuna idea nuova. Nel complesso la poesia è deludente. Stilisticamente primitiva e contenutisticamente ricalcata.

 

Poi lui da ricco e buon borghese radical chic, inizia a parlare di ciò che non conosce, ossia la disoccupazione:

 

“Giovani senza lavoro”

I.

Giovani senza lavoro
con strani portafogli
in cui infilare denaro
che non è guadagnato.

Padri nascosti allevano
quella sostanza magica
leggera e avvelenata
per le vostre birrette.

Condannati a accettare
un regalo fatato
sprofondate nel sonno
mortale dell’età,

la vostra giovinezza,
la Bella Addormentata,
langue nel sortilegio
di una vita a metà.

II.

Giovani senza lavoro
chiacchierano nei bar
in un eterno presente
che non li lascia andar.

Sono convalescenti
curano questo gran male
che li fa stare svegli
senza mai lavorare.

Di notte sono normali,
dormono come tutti gli altri
anche se i sogni sono vuoti
anche se i sogni sono falsi.

Falsa è la loro vita,
finta, una pantomima
fatta da controfigure,
interrotta da prima.

Da Il sangue amaro (Einaudi 2014)

 

I giovani senza lavoro sono evidentemente figli di papà che paga loro le birrette e li fa dormire lo stesso, esattamente come chi lavora, “come tutti gli altri”. Si segna un discrimine tra due categorie di giovani, gli altri sono quelli occupati e i convalescenti con un gran male, sono i disoccupati. Il valore dell’uomo è dato dunque dal lavoro. E questi giovani che sono svegli senza lavorare, ma di notte dormono, che fanno? Chiacchierano nei bar e conducono una vita falsa. Eh sì, sta parlando dei figli della sua stessa classe sociale, quelli mantenuti dai genitori che non si affannano mica a cercare lavoro, tanto c’è papà che paga i conti, perché quello che il poeta, chiamiamolo così, non sa, è che non tutti i giovani passano la giornata a chiacchierare al bar, perché non tutti hanno un padre ricco come lui che paga e non tutti infilano denaro non guadagnato dentro portafogli gonfi. E se ci sono giovani che non lavorano forse il problema non sono i giovani, ma il sistema che questo tipo di poesie non critica mai perché scritte evidentemente da uno che nel sistema ci ammolla i piedi e tutto il resto.
Stile ancora una volta assente. Quel “condannati a accettare” senza nemmeno la d eufonica davanti a parola che inizia con la stessa vocale della preposizione semplice grida vendetta. La rima incostante costituisce spia di desuetudine all’omogeneità formale. Definire questo elenco di critiche bacchettone e puerili, una poesia, è ridicolo. Siamo al nulla, all’atonia più totale, alla mancanza completa di genio, di quelle immagini sperimentali e frizzanti che ti fanno dire: “Però! Qui il però diventa un pero che fa cascare il lettore nel sonno!”

Per la rubrica Great Masters’ Junk, è tutto!

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