Elizabeth Bishop, integralismo yankee

Elizabeth Bishop, integralismo yankee

Elizabeth Bishop, integralismo yankee

Elizabeth Bishop, integralismo yankee

Fiori finti, credit Mary Blindflowers©

 

Lucio Pistis & Sandro Asebès©

Elizabeth Bishop, integralismo yankee

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Elizabeth Bishop (Worcester, 8 febbraio 1911 – Boston, 6 ottobre 1979), poetessa, pittrice e giornalista statunitense, pubblicò le sue poesie grazie ad un’altra poetessa modernista, Marianne Moore, già famosa all’epoca. Una mano lava l’altra, come si dice…
La Bishop ha dato alla luce poco più di un centinaio di poesie, quindi possiamo tranquillamente parlare di scarsa produzione letteraria. Se è vero che un poeta non si misura su un piatto di bilancia, che le poesie non sono prosciutto da valutare un tanto all’etto, è pure vero che la storiella propagandata dal mainstream circa il fatto che la poetessa fosse una perfezionista e che quindi producesse poco per questo motivo, analizzando con accuratezza le sue poesie, non regge. La struttura infatti è semplice, quasi elementare. Alcune rime zoppicano vistosamente e possono essere definite poco riuscite. Del perché questa autrice abbia vinto un Pulitzer per la poesia, noi non sappiamo nulla, vediamo soltanto che il suo è un parto men che modesto in cui descrive i suoi viaggi dal punto di vista di un’americana bianca e snob.
In tutta la produzione della Bishop traspare un integralismo yankee intriso di superiorità e spocchia verso l’humus e naturale e sociale che la viaggiatrice nordamericana incontra fin dal suo approdo in Brasile, terra che non immagina nemmeno dotata di bandiera e che comincia a darle fastidio e delusione sin dal primo contatto sia coi mozzi della nave sia con gli Ufficiali di dogana. Un diario di viaggio pregno di puzza sotto il naso e ostentazione di provenienza da una civiltà superiore. E in tale ottica il lettore non viene affascinato neppure dalla forma delle poesie che indulgono alle rime facendo ricorso sovente anche all’enjambement, un conclamato limite nel confezionamento di rime ed assonanze.

Nella poesia in cui racconta l’arrivo a Santos il paesaggio è descritto con accenti critici in modo da sottolinearne l’estraneità. Le montagne sono impraticabili, tristi e aspre, la vegetazione frivola, le palme alte, ma instabili:

Ecco una costa, ecco un porto;
ecco dopo una scarsa dieta d’orizzonte un po’ di panorama;
montagne modellate in modo non praticabile e, -chissà?- autocommiseranti,
tristi e aspre sotto la loro frivola vegetazione

con una chiesetta in cima a una di esse. E magazzini,
alcuni dipinti di un rosa tenue, o azzurro,
e qualche palma alta e instabile. Oh, turista,
questa è la maniera in cui questo Paese risponderà a te…

La parte peggiore della poesia è come si è accennato, quella in cui la poetessa si chiede odiosamente se quel Paese straniero abbia una bandiera e dice di presumere che abbia anche monete e soldi cartacei:

Così questa è la bandiera. Non l’avevo mai vista prima.
In qualche modo non avevo mai pensato che ci fosse una bandiera lì,

ma naturalmente c’era, da tempo. E monete, presumo,
e soldi di carta; restano da vedere.

Si scoccia perfino per i francobolli che per via del caldo non incollano bene:

quando imbuchiamo le lettere che abbiamo scritto a bordo
sia per il fatto che la colla era troppo poca
sia per colpa del caldo. Lasciamo subito Santos:
siamo dirette nell’interno.

Tra le sue poesie più odiose ricordiamo Squatter’s Children, Figli di abusivi:

Sui fianchi privi di respiro delle colline
Giocano, una ragazzina e un ragazzino simili a granelli,
soli, ma vicini a una casa simile a un granello.
L’occhio sospeso del sole
Lampeggia saltuariamente ed allora essi guadano
Gigantesche onde di luce e ombra.
Un puntino giallo danzante, un cucciolo,
li segue. Le nuvole si stanno accumulando.
(rime alternate a consonanze: hills/house, boy/eye, wade/shade, pup/up)
Una tempesta monta dietro la casa.
I bimbi giocano a scavar buche.
La terra è dura, essi provano a usare
Uno degli attrezzi del padre,
una zappa col manico rotto
che entrambi riescono a malapena a sollevare.
Cade e fa un rumore assordante. La loro risata sparge
splendore sulle teste dei tuoni,
(nel testo originale rime alternate a consonanze: house/use, holes/tools, haft/lift, spreads/thunderheads)
Deboli lampi di indagine
diretto com’è l’abbaiare del cucciolo.
Ma alla loro piccola, solubile,
non garantita arca,
apparentemente la replica della pioggia
consiste in ecolalia,
e la voce della Madre, terribile come il peccato,
continua ad esortarli ad entrare.
(rime non costanti: bark/ark, reply/echolalia, sin/in)
Bimbi, la soglia della tempesta
è scivolata sotto le vostre scarpe fangose;
bagnati e divertiti voi state in piedi tra
le residenze che potete scegliere
fuori da una casa più grande della vostra
la cui legittimità perdura.
I suoi umidi certificati contengono
i vostri diritti in stanze di pioggia battente.
(rime non costanti: storm/among, shoes/choose, yours/endures, retain/rain)

Riteniamo che “Figli di abusivi” sia la più odiosa, non tanto in quanto tecnicamente zoppicante nelle rime e consonanze sovente forzate e non perfettamente riuscite (a volte alternate a volte baciate, sintomo di scarsa levigatezza della forma), ma soprattutto perché gravida di intento fittiziamente consolatorio per la sorte dei due bambini figli di abusivi di favela.
Il tentativo dei due ragazzini di giocare innocentemente a scavar buche viene irriso con l’immagine della zappa che cade loro fragorosamente dalle mani, altrettanto dicasi per la voce della madre che, preoccupata per la pioggia tropicale imminente, li chiama: il suono le appare odioso come un peccato (attribuire questa caratteristica a una voce di madre è quanto meno stomachevole oltre che incongruo!). Il sarcasmo circa la verosimile mancanza di certificati di legittimo possesso della casa, garante del diritto a inzupparsi di pioggia, a nostro giudizio rappresenta il reiterarsi della spocchia del turista nordamericano che prende le distanze da una civiltà troppo inferiore alla sua.
Le poesie sono solo fredde attestazioni della supponenza dell’autrice che a noi francamente non piace.
Nemmeno i suoi disegni ci fanno cadere dalla sedia perché sono, nel complesso, piuttosto ordinari e abbozzati pure peggio.

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