Tassoni, lettere senza eufemismi

Tassoni, lettere senza eufemismi

Tassoni, lettere senza eufemismi

 

Tassoni, lettere senza eufemismi

A. Tassoni, Opere minori, vol. III, 1926, Credit Antiche Curiosità©

 

Mary Blindflowers©

Alessandro Tassoni, lettere senza eufemismi

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Più che da certi saggi accademici in cui gli autori fanno il frusto gioco di rincorrersi a vicenda citandosi compulsivamente soltanto tra loro e in modo ossessivo, appesantendo spesso e volentieri la scrittura di continui riferimenti ad altri accademici che si riferiscono a loro volta ad altri, e così via, in una catena di Sant’Antonio che sa di infinito tormento ma che è molto utile agli scriventi per acquisire crediti universitari, si possono scoprire informazioni utili su ciascun autore semplicemente leggendolo o leggendo le sue lettere.
La corrispondenza di Alessandro Tassoni, non solo rivela uno spirito caustico e geniale, beffardo e simpaticamente prepotente, ma svela anche la qualità dei suoi rapporti familiari e l’esistenza di un figlio naturale, avuto secondo alcune fonti da una domestica e di nome Marzio, che egli riconobbe come legittimo. Alessandro però si rese conto che il figlio crescendo, era diventato un debosciato cronico e irrecuperabile, “un manigoldo vituperoso” per usare le stesse parole di Tassoni in una sua lettera da Roma, del 13 novembre 1619, inviata ad Annibale Sassi a Modena. L’epistola è un vero capolavoro in prosa. Tassoni racconta senza mezzi termini o eufemismi, le ruberie di Marzio che gli aveva sottratto, a suo dire, perfino “le fibbie d’argento da serrar l’ufficio”, “quattro o cinque paia di lenzuoli”, “diversa altra biancheria”, ma non solo…
Durante una domenica in cui Tassoni stava fuori con l’Ambasciatore di Savoia, Marzio, approfittando della sua assenza forzò la porta della camera e con tenaglie e martello sfondò un baule, rubando camicie, fazzoletti, una saliera d’argento dorata, una zuccheriera e un portapepe, quattro o sei cucchiai e altrettante forchette d’argento, 23 o 24 scudi d’argento che si trovavano riposti dentro una borsa. Messa la refurtiva dentro una saccoccia, se la diede a gambe. Il padre chiamò gli sbirri per cercare di trovarlo, ma si era dileguato. Alessandro, denunciando il figlio al governatore di Borgo, si accorse che il giovane aveva sul capo già altre querele.
Tassoni è irritatissimo nella lettera e dice al destinatario della missiva di stabilire il provvedimento che gli sembrerà più adeguato al caso, o far mettere in prigione il figlio e “farvelo marcire”, oppure levargli il maltolto, la saliera, gli argenti, i denari, e farlo bandire, forse l’azione più sicura, dice, contro “l’infamissima peste” del figlio.
La lettera è divertente e svela la principale preoccupazione di Tassoni che è quella di recuperare gli argenti, specie la saliera che valeva parecchio, la genuina collera contro il figlio e il tedio di dovergli pagare pure le spese nel caso venisse messo in prigione:

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A Modana nol conoscendo gli userebbono sempre misericordia, e chi volesse mantenerlo prigione bisognerebbegli fargli le spese; però V.S. vegga se può ricuperar la saliera che pesa 18 scudi e vadasi a far impiccare altrove; percioché sicuramente o una forca o una massa di stabbio non gli può mancare alla morte sua.

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Poi, sempre nella stessa lettera, racconta un episodio sulla sporcizia del figlio che dormiva con un cane che cacava e pisciava dentro il suo letto, senza preoccuparsi dell’igiene:

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Dirò a V.S un caso solo della sua poltroneria e sporcizia, e giudicherà il resto. Erano in casa quattro paia di lenzuoli di canape di tela assai buona che il Grassetti m’avea mandati nuovi prima che morisse, e questi stavano a sua divozione; egli n’ha venduti tre paia, i più usati, e un paio, i più nuovi, gli ha tenuti tanto nel letto, che non vi è rimasto d’intiero se non quello che avanzava fuori del letto, tutto il resto è squarciato e infranto insieme co’ materazzi e con puzza tale che ha abbisognato gettargli a fiume e gli staffieri del Sig. Ambasciatore andavano a veder per miracolo quei lenzuoli, ch’erano nuovi attorno attorno, e dentro non ce n’era pezzo, e hanno trovato che teneva una cagna seco a dormire, che cacava e pisciava nel letto ed egli stava colcato con molta quiete in quella puzza, senza aver mai in 19 mesi scopata quella stanza e rifatto quel letto. E con questo finisco credendo che V.S. mi ami s’ella non coopera meco a cacciar del cospetto e della memoria de’ nostri amici questo nefandissimo mostro della natura umana.

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Anche la lettera al Can. A. Barisoni del 5 agosto 1616, rivela la schietta opinione che Tassoni aveva in materia di censura e sugli inquisitori:

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Ora io vorrei che mi dicessero cotesti teologi da uva secca, che hanno veduta la Secchia, che cosa ci trovano di ripugnante alla fede e ai buoni costumi… manderò il libro a stampare in Alemagna e vi aggiungerò una coda contro quelli che l’hanno veduto, di sorte che correranno al Palio de’ coglioni con Calandrino del Boccaccio. Per Dio, è vergogna enorme della città di Padova così famosa in lettere che vi siano così solenni coglioni…

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Le lettere del Tassoni rivelano molti tratti interessanti della sua beffarda personalità.

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Rivista Il Destrutturalismo

 

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