Scrittura, massa, preveggenza chiaroscurale

Scrittura, massa, preveggenza chiaroscurale

Scrittura, massa, preveggenza chiaroscurale

Riflessioni sulla letteratura di massa

Pinocchio, credit Mary Blindflowers©

 

Riflessioni sulla letteratura di massa

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Mary Blindflowers©

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Si scrive in solitudine e si lascia scorrere materiale conscio e inconscio che si attacca sulla carta, sporcando col segno quell’apparente nulla che è la realtà materiale di una superficie bianca, incolore dunque. Tante sono le ragioni di questa “colorazione” su carta, ma pochi scrivono per la sola giusta ragione accettabile, la scrittura stessa vissuta come disastro personale che si universalizza, condanna non augurabile, dono non voluto né cercato. Che questo concetto di scrittura che si flette sinceramente su se stessa per celebrare il proprio inferno, non implichi poi l’esclusione e il desiderio dello scrivente di richiamare un pubblico, è il grande paradosso della scrittura.
Chiamiamo chi scrive semplicemente “scrivente” limitandoci all’atto, evitando il termine “scrittore” che implicherebbe una iper-valutazione critica dello stesso.
Ogni scrivente vuole avere il suo lettore ma questo non è la molla, è un puerile pretesto di autogiustificazione alla dannazione della scrittura stessa, per sollevarla dalla sua sostanziale inutilità di fondo: “io scrivo per gli altri”, niente di più falso, ma anche “io scrivo solo per me” suona ingenuo e inconsistente. Non esiste al mondo nessuno che scriva solo per sé, nemmeno il diario intimo adolescenziale si scrive per non essere letto, perché è alimentato dalla masochistica speranza che qualcuno ne violi il segreto e lo legga. Ma in fondo anche quella preghiera reiterata che Kafka rivolse a Max Brod di bruciare ogni suo scritto, non tradiva la consapevolezza che l’amico avrebbe fatto tutto il contrario? Se Kafka non avesse voluto pubblicare avrebbe potuto bruciare i suoi scritti da solo prima di morire. Ma non lo ha fatto. Evidentemente la volontà di scomparire del tutto non era in lui così forte come la previsione del futuro.
La scrittura è infatti preveggenza chiaroscurale, sintesi paradossale degli opposti, volere e non volere, contraddizione autoreplicantesi che anticipa la vita e spesso anche la scienza.
Nessuno scrivente si augura povertà e oscurità, e quelli che non hanno successo e fanno spallucce dicendo, tanto io mi accontento, mentono. Ma d’altro canto, nessuno scrivente che si rispetti e che non sia un venduto pennivendolo da quattro soldi, ha come primo movente della scrittura, il vile denaro e il successo, questi dovrebbero essere soltanto i naturali effetti collaterali dell’atto dello scrivere in libertà, effetti che tutti si augurano ma in pochi ottengono. La libertà è un fattore che non aiuta molto il carrierismo, anzi lo ostacola.
La molla della scrittura nasce in collaborazione con un mondo altro, su un piano parallelo dell’essere e del non essere mischiati, contrapposti e intersecantesi, un piano che finisce col conficcarsi inevitabilmente sulla terra perché sulla terra nuda e cruda viviamo. Alcuni scriventi svaporati di stampo metafisico-religioso, direbbero di esser mossi dalla musica delle sfere celesti, altri da una non ben precisata e definibile forza interiore giudicata buona e sana, quando la scrittura è invece una disgrazia assoluta per chi la pratica in modo naturale e senza forzature, specie se è povero e non ha mezzi per affermarsi in un mondo che privilegia il denaro al talento. Altri ancora sfondano le porte dell’inferno e parlano di demone che li possiede mentre scrivono. Ma sono tutte pose più o meno ostentate, come quella di dire che si scrive fin dalla culla, per darsi un tono da scrittori nati. Che dire poi del chiacchiericcio infantile sul fatto di essere in fase di blocco della scrittura, come se la stasi fosse un vanto, anche se magari nessuno si è mai nemmeno accorto che lo scrivente “bloccato”, abbia scritto qualcosa. Affinché il mondo si accorga ci vuole molto rumore, non il rumore delle macchine che girano per strada o lo sbadiglio del passante casuale o la noia abituale della donna e dell’uomo della porta accanto, occorre un ingranaggio più complicato di reti e conoscenze unite a un cachinno continuo, un suono irremovibile di cembali, uno strepito bacchico, orgiastico, impudico, un movimento mostruoso e barocco. Occorre lo sguardo di dio posato sullo scrivente che una volta toccato da quello sguardo solo apparentemente cosmico ma in realtà molto materiale, sotto forma di un politico o di un contatto editoriale procurato da un amico, diventa “scrittore”. Ecco siamo al punto di passaggio scrivente-scrittore, il gran salto precluso al povero diavolo.
Lo scrittore non è più un semplice scrivente, perché scrive per la massa laddove lo scrivente scrive per la scrittura nella speranza che qualcuno dotato di cervello, lo legga. Allo scrittore occorre la fanfara del marketing, l’appoggio del dio di turno e i non-lettori, tanti non-lettori, infiniti non-lettori che non leggono un fico secco ma sono numeri che fluttuano e si convertono in strepitosi successi e moneta sonante. È la massa di non-lettori a segnare la differenza tra uno scrivente e uno scrittore. Lo scrivente cerca il lettore. Lo scrittore deve soggiacere ai desideri della massa perché la massa ha potere d’acquisto. E il paradosso è che diventando scrittore abdica alla scrittura. Il suo libro vende non perché sia valido o perché soddisfi le menti ma perché soddisfa l’emozione. E non si parla qui di emozione al “bello”, il vero “bello” poi non emoziona mai, semmai disturba e invade lo spazio con arroganza, non si parla di emozione rivolta al libro e al suo contenuto, ma di emozione tra non-lettori. La massa di non-lettori compra un libro perché vede che lo comprano gli altri non-lettori e si emoziona nel condividere la stessa lettura non solo con il dirimpettaio ma con qualsiasi sconosciuto che incontri sull’autobus. C’è come un tacito assenso al ripudio del libro in sé. Non è il contenuto, peraltro spesso banalissimo nella spazzatura di massa, ad emozionare il non-lettore, ma l’idea da pollaio globale di flusso emozionale che unisce un non-lettore ad un altro come in una grande catena di montaggio deficienti che si amano l’un l’altro pur non conoscendosi affatto e senza capire neppure il motivo di questo grande amore.
Il libro passa in secondo piano, è un fatto puramente accessorio, una costruzione artificiale di pagine unite insieme che pare si debbano sfogliare, così almeno si dice. Non c’è bisogno di cercare quest’ammasso di fogli, sta già là, presente dappertutto, lo ha pubblicizzato la tv, lo ha commentato la radio, lo si vede esposto in primo piano in libreria sotto luci sciroppose e attraenti, lo ha letto pure il cugino del parente del nonno, che non legge mai, e lo ha mostrato in una trasmissione di regime quella giornalista che ride sempre oppure quell’altra che non ride mai, non può per via del botox, se no le si scuce la faccia. Caspita, allora bisogna comprarlo, per creare un’affinità collettiva, una grande anima votata all’idiozia, per non sentirsi soli, ma parte di un gruppo umano solidale nella scemenza, una collettività di idioti che abolisce la lettura rendendola un fatto pubblico e sottraendole un senso. La lettura è infatti un’operazione che andrebbe consumata in solitudine. Si nega così il libro nel momento stesso in cui si pensa di affermarlo, il libro scompare e appare uno scrittore che, tronfio, col petto gonfio per aver animato la suindicata corrente di emozionante emozione collettiva, si bea nel pronunciare le sillabe del suo nome, nel vantarsi con affettazione dei suoi milioni di fans, delle sue vendite mirabolanti e diventa tuttologo, depositario della saggezza del mondo, perché nel cervello dei pubblicitari e dei media, chi riesce a promuovere la cecità della massa in un pan-movimento d’amor demente, ha diritto all’incontrastata tuttologia, amplificata poi da giornali, social e tv. Così lo scrittore parlerà audacemente di politica senza capirne un tubo, perlopiù ripeterà a pappagallo le indicazioni del suo partito; in occasione di un disastro proporrà i suoi balsami curativi a base di peace and love universali, senza ovviamente mai criticare i pessimi governi o il potere. Proporrà qualche erbetta per la digestione collettiva, unita a un poco di moralismo travestito da indignazione che sta bene su tutto. Così mentre una classe politica vergognosa ha reso un certo stivale la barzelletta d’Europa, il grande intellettuale dentro la sua megavilla, si preoccuperà di moralizzare sui canti alle finestre di un popolo in gabbia e si indignerà per la mancanza di rispetto delle suddette stonate melodie. Fare costantemente finta di indignarsi per qualcosa di innocuo è un topos frequentissimo e molto apprezzato dal pubblico pagante. La clac è pronta con il suo movimento da marionetta. I fili sono tirati, i movimenti dello scrittore filtrati, la pubblicità assicurata, ecce homo, è oro quello che cola dalla chiostra dei suoi denti, il dio ha parlato.
Lo scrittore sa tutto, lo si ascolta come un oracolo ma è destinato a morire.
Lo scrivente invece non sa nulla, ha solo un indefinibile senso del futuro come qualsiasi altro mortale e un’idea costante che la verità sia depositata dietro un filtro magico attraverso cui non si vede nulla.
Kafka non sapeva nulla, infatti, per questo non è mai morto.

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https://antichecuriosita.co.uk/il-destrutturalismo-punti-salienti/

https://www.youtube.com/watch?v=3ofFlavTH6o

 

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