De Coureil, Monti, Manzoni, Leopardi

De Coureil, Monti, Manzoni, Leopardi

De Coureil, Monti, Manzoni, Leopardi

De Coureil, Monti, Manzoni, Leopardi

De Coureil, Monti, Manzoni, Leopardi, credit Antiche Curiosità©

 

De Coureil, Monti, Manzoni, Leopardi

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Mary Blindflowers©

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M. Barbi e F. Ghisalberti nel 1943 pubblicano un estratto dagli Annali Manzoniani, vol. IV, pp. 185-201 che si intitola: Ancora per il carteggio manzoniano, Milano, Casa del Manzoni, 1943. All’interno dell’estratto è rinvenibile il riferimento ad una chiara polemica tra Monti e De Coureil il quale così scriveva nel Nuovo Giornale dei letterati di Pisa:

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Sono informato per lettera che il Signor Professor Monti ha pubblicato un opuscolo sul Cavallo alato d’Arsinoe, ov’egli ha scaricato una folla di ingiurie e di villanie contro di me. Lo leggerò tranquillamente e con moderazione ne darò conto, tantopiù che se per rispondere alle mie obiezioni sul Persio, sulle Prolusioni, e sul Teseo, egli sceglie, invece delle ragioni, la strada delle villanie, il pubblico disappassionato e imparziale ha giù deciso tra noi…

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De Coureil si era reso colpevole di lesa maestà, ossia di aver criticato Il Teseo del Monti. La critica era sensata, per questo la bile di Monti non ebbe il coraggio di attaccare direttamente il recensore ma si scaricò in 4 lettere filologiche sul Cavallo Alato d’Arsinoe, dirette a Paradisi e corredate di tante belle offese: malcapitato, pazzo, vil cosa, animale, briccone, campione dello straniero e detrattore dell’italiano. Il De Coureil rispose con una lettera del 1805: Lettera all’Illustrissimo signor Vincenzo Monti, professore emerito dell’Università di Pavia, celebre autore della cantica basviliana. Un’epistola intelligente e pacata in cui si difese dall’accusa di mediocrità alludendo alla conquistata ricchezza del Monti. Si sapeva infatti che la moglie di Monti, Teresa Pikler, lo introdusse nel bel mondo che contava:

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Voi ben sapete che le nozze sono per alcuni una sorgente di ricchezze, e per altri di affanni e miserie. Io appartengo agli ultimi, voi avete felicità, per quanto odo dirsi, di essere del numero dei primi; e buon pro vi faccia, io non sono ricco ma godo d’una onesta mediocrità.

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Nemmeno Leopardi amava Monti. Scriveva infatti il 17 settembre al conte Francesco Cassi di Pesaro:

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Appena arrivato (a Milano), vidi Monti. Da quella volta in qua non l’ho mai veduto, e credo che non lo vedrò, perché in quella prima visita volli propriamente sputar sangue per parlargli in modo che egli mi potesse intendere; e in verità non ho forza di petto che basti per conversare con lui neanche un quarto d’ora. Eccetto quella sordità spaventosa, che me lo rende inutile, mi parve che stesse bene.

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Monti era un poeta allineato, succube dei potenti, salottiero e insofferente a qualunque critica. Il Manzoni sostenne il Monti nella disputa contro il De Coureil, lo esortò a non raccogliere le basse critiche altrui. C’è un cameratismo costruito nella solidarietà del Manzoni al Monti, e il primo trae conclusioni senza nemmeno aver visto la critica. Scrive Manzoni nella lettera ad Andrea Mustoxidi:

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… benchè io non abbia veduta ancora questa critica, pure parmi di potere dalle antecedenti arguire con sicurezza di che natura essa possa essere.

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Arguisce, dunque, senza aver letto. Un vizio che molti letterati conservano ancora oggi. Dopo un profluvio di lodi al Monti, Manzoni lo paragona ad Ulisse mentre il De Coureil diventa Tersite e un cane che si mette in mezzo alla via davanti ai cavalli che corrono, poi rinfaccia al De Coureil il fatto di non essere famoso:

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e io voglio esser condannato a legger tutte le rime degli Arcadi, s’io sapeva che costui esistesse, prima che il Monti gli desse quella celebrità, che esso ha al presente…

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Rimprovera il Monti di essersi abbassato al livello di uno sconosciuto e lo colloca sopra un piedistallo classista con una retorichetta stantia e banale e uno stile da chierichetto che predica, unito ad una stucchevole falsa modestia e reverenziale piaggeria verso un poeta già affermato:

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Non mi arrogo già di giudicare il Monti; che attesa la mia poca età e il mio pochissimo ingegno, e la fama ed autorità di lui, sarebbe assunto ridicolo…

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Emerge un quadretto idilliaco e mafiosetto Monti-Manzoni, quadretto ancora molto comune tra i letterati odierni che si sa, formano una casta, quando spesso per merito del denaro e delle conoscenze, entrano nel Paradiso ufficiale delle lettere e diventano per forza di cose, intoccabili e divini come Monti, che dei salotti milanesi era il re.

E vogliamo rimproverare Leopardi se finì con l’odiare il Monti e quei salotti? Monti per Manzoni era  “poeta dell’orecchio e della immaginazione, del cuore giammai”.

Scarse poetesse contemporanee hanno affermato che Leopardi fosse invidioso del Monti ma noi non ci crediamo perché Leopardi rimane insuperabile, mentre Monti era più interessato a frequentar salottini dando risposte biliose ai critici, per affermare con la solidarietà degli amici, il mito dell’intoccabilità del poeta, che ad approfondire la levatura sentimentale dei suoi testi così mollemente arcadicamente melodiosi, ma in buona sostanza, vuoti.

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https://antichecuriosita.co.uk/il-destrutturalismo-punti-salienti/

https://www.youtube.com/watch?v=w854FbDn3Fc

 

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