Intervista a Giorgio Moio

Intervista a Giorgio Moio

Intervista a Giorgio Moio

Intervista a Giorgio Moio

Lucifer’s Scream, mixed media on canvas by Mary Blindflowers©

 

Intervista di Mary Blindflowers a Giorgio Moio, direttore editoriale di Frequenze Poetiche.

Come è nata e perché l’idea di una rivista di poesia e letteratura?

Le riviste letterarie hanno sempre fatto parte del mio percorso letterario, al punto da esordire proprio sulle pagine di alcune di esse: «Offerta Speciale», diretta da Carla Bertola e Alberto Vitacchio; «La Parola Abitata», diretta da Enrico Fagnano. Era il 1988, pochi mesi prima che uscisse il mio primo volume di poesie: “Scritture d’attesa”. Ancora riviste sul mio percorso: entro a far parte delle redazioni di «Altri Termini», fondata e diretta da Franco Cavallo; «Oltranza», diretta da Ciro Vitiello. Nel frattempo collaboravo ad altre riviste e pubblicavo qualche altro volume. Poi, nel 1998, per le Edizioni Riccardi, di cui ero il direttore editoriale, fondai e ho diretto per 23 numeri, fino a marzo 2017, anno della sua cessazione per mancanza di fondi, la rivista «Risvolti», che è stata anche argomento di tesi di laurea. Quindi, ho sempre creduto nel ruolo delle riviste all’interno del panorama letterario, ma solo in quelle che hanno un progetto, una programmazione e non sono semplici contenitori. Con queste linee guida, già portate avanti con «Risvolti», ho pensato di riprendere il discorso con la fondazione di «Frequenze Poetiche» pochi mesi dopo (in agosto), aprendo maggiormente alla letteratura straniera, alle proposte della giovane poesia, cercando di dare voce a chi non ce l’ha, con scelte meno tendenziali rispetto alla precedente esperienza, ma sempre con le migliori proposte possibili che si presentano.

Quali criteri usi per scegliere i poeti e gli scrittori che di volta in volta collaborano alla rivista?

Se questa domanda me l’avessi fatta durante le pubblicazioni di «Risvolti», ti avrei risposto che scelgo i poeti e gli scrittori dell’area sperimentale e di ricerca. Oggi le scelte sono più eterogenee, ma sempre antagoniste alla cultura dello status quo, con testi che guardano avanti e non ad un passato amorfo e pacifico. Insomma li scelgo in base alla qualità dei testi che mi propongono e non i base ai nomi o al pedigree.

Il senso e il valore della poesia per te oggi.

Oggi la poesia sta attraversando un periodo buio, direi “anonimo”. Soltanto qualche decennio fa le case editrici major avevano nei loro cataloghi numerosi volumi di poesia: oggi possono contarsi sulle dita di una mano. Se la poesia resiste è grazie alle medie e piccole case editrici che pubblicano ‒ non sempre, per la verità ‒ buoni libri di poesie. Ma qui il problema diventa economico: molte di esse si mantengono sui contributi degli autori sotto forma di un certo numero di acquisto copie preventivi che vada a coprire le spese. Con questi presupposti pare che il senso e il valore della poesia abbiano raggiunto la propria fine. Ma per me il senso e il valore della poesia resta; anzi si rafforza proprio in queste condizioni contaminate dall’aspetto puramente economico e invertebrato, analizzando la realtà che ci circonda, destabilizzandola da un punto di vista esterno, ai confini del centro della spettacolarizzazione e del qualunquismo, pescando tra anfratti “dimenticati” o non funzionali all’apparire a tutti i costi, con una poesia che si pone come resistenza e antagonismo al già dato, alla pacificazione del pensiero. Forse sono nato per rompere gli schemi, con il senso e il valore della contraddizione controcorrente. Controcorrente vedi cose che gli altri, presi dalla voglia di arrivismo, non vedono. Insomma: il senso e il valore della mia poesia è una variante libera di allofoni per una diversa combinazione di fonemi, col tentativo di farla uscire dal letargo tradizionale e ripetitivo. Spesso mi domando perché scrivo se scrivere è condannarsi al dolore, allo strazio del delirio, anche quando gioco con le parole, uso il nonsenso o l’allegoria tra i tratti trattabili del sole e i tratti intrattabili del vento. Come una donna alla quale si toglie la sua parte migliore: la curiosità, sudario gest/azionale della parola in una fronte d’eterne rughe per una storia intrigante.

Che cosa pensi dell’editoria italiana?

A quello che ho detto nella risposta precedente, aggiungo che oggi l’editoria italiana ha perso la sua consistenza perché, invece di proporre testi contro l’inerzia del pensiero che vaga tra vuoti e solitudini, ha scelto il “politicamente corretto”, la facile fruizione con la pretesa di essere compresa da tutti. Cosa assurda e impossibile: la matematica la comprende chi ha studiato la matematica; la chimica la comprende chi ha studiato la chimica; l’ingegneria la comprende chi ha studiato ingegneria, etc.! Perché per la poesia dovrebbe essere diverso? La poesia non è una estesa di parole, magari semplici con la speranza di farsi comprendere da tutti. Ma la poesia è espressione della condizione umana che non è mai semplice. E l’editoria dovrebbe tener da conto questo principio, non limitarsi alla pubblicazione di volumi di personaggi televisivi o dell’establishment dello spettacolo, che sempre più spesso ricorrono ai cosiddetti ghostwriters per farsi scrivere insulsi dattiloscritti che, una volta letti, se non si è affetti da disturbi di stomaco, ti viene voglia di buttarli nell’indifferenziata della carta anziché trovargli un posto nella tua libreria. Libri tutti uguali, senza variazioni, senza intraprendenza, senza cambi di rotta. Si tende a pubblicare volumi come passatempo. Del problema della piccola editoria ne abbiamo già parlato, cioè quello economico, ma in questa realtà ancora ci trovi libri degni di essere letti.

Che valore dai alla sperimentalità in letteratura?

Da quando ho iniziato a scrivere ho sempre sperimentato linguaggi. Quindi, le do un alto valore, l’unico che conosca, che vale la pena scrivere. Di fronte a un quotidiano nostalgico, a una scrittura esaurita storicamente da un imperante perbenismo restaurativo, va da sé che per un’apertura plurima dell’universo discorsivo, di uno specifico dove abbia ancora valore la ratio, si debba rilanciare la consapevolezza storica in opposizione a qualsiasi moderatismo trascendentale e riconciliarla col ritmo straziante delle infinite molecole creative. Sperimentare, vale a dire ancora operando lo scarto dalla norma, ma non come puro gusto di rompere, di azzerare le forme evanescenti, insignificanti, bensì come consapevolezza di trovarvi in esse un infinito enigma da esprimere: insomma, dapprima una pars destruens, poi una pars construens con i migliori cocci che ci si trova davanti. La domanda potrebbe essere un’altra: linguaggio pacifico o linguaggio trasgressivo? Ad ogni modo linguaggio che si sottragga a punti fissi, a concezioni predeterminate, con le parole che non diano tregua al feticismo di un’aura mitologica, a una verità strettamente legata al concetto di Grazia e di Bellezza. Insomma, il valore della mia sperimentazione è dato da una scrittura che si costituisce come visione dinamica della realtà, come costruzione di un qualcosa in continua evoluzione, come linguaggio intraverbale che cambia continuamente. Costruire una poesia equivale a confrontarsi con qualcosa che giace aldilà della scrittura, sull’asse del vivre dove il nome è senz’altro un altro nome, dove il segno è un altro segno. Questo è il valore che do alla sperimentazione in una realtà odierna che tende a deturpare ogni linguaggio sperimentale, contraddittorio, di rottura, in quanto le teorie “complesse” son viste come forzamenti, come gioco artificioso, praxis fuorviante dall’interesse e dagli agi di una quotidianità mercificata che, tutto sommato, emoziona e “rifocilla” anche stando assenti con la sua offerta di feticci misteriosi, di una merce consumistica che t’intrappola magistralmente nel suo spettacolo illusorio.

Scrivi: “Sperimentare, vale a dire… una pars destruens, poi una pars construens con i migliori cocci che ci si trova davanti. Un’operazione destrutturalista. Cosa pensi del Destrutturalismo?

La convinzione che mi sorregge e mi affascina è che nessuna parola, nessun verso hanno il privilegio di essere immodificabili, immortali, codificati per volere e/o per piacere di chi scrive: sarà questo che tiene a bada la “follia” di dedicarsi alla poesia. Cosa penso del Destrutturalismo? Solo bene. Ho sempre destrutturato il linguaggio che tende all’appiattimento, alle fasulle certezze con la convinzione che alla poesia basterebbe poco per rendersi efficace, basterebbe sostituire il già dato con una “dinamica” visione del reale; cioè, partire da un testo e, una-due-tre-quattro volte tagliare, cesellare, cucire, scucire, sezionare: è ciò che dovrebbe fare un poeta per rendere vitale una parola, un testo, per rivelare le sue infinite complessità, cioè le sue infinite realtà e verità. Destrutturare, appunto, riportando in superficie il magma del contrario, evitando di entrare nell’ovvio, con un accumulo inesauribile e sempre diverso; è ciò che mi capita quasi da sempre, da quando ho imparato che una parola è destinata a morire e a rinascere (come ogni cosa vivente), che un testo racchiude numerose altre parole, numerosi altri testi, in quanto – e nonostante gli sforzi non riesco a controllarla – ogni qualvolta la penna e/o il pennello si appropria del foglio, la parola muore, si nullifica per gradi, comparazioni, per riapparire poco dopo o molto dopo, in punti diversi, in modi diversi, in altra struttura o in altra “nullità”, in simbiosi con la prima solo apparentemente e per taluni tratti semiotici (ma pronti ad esplodere), pronti a mutarsi col gesto della mano. Destrutturando, per quanto possibile, il già dato.

https://antichecuriosita.co.uk/destrutturalismo-e-contro-comune-buon-senso-psico-pillole/

https://www.youtube.com/watch?v=xwtdhWltSIg

Comment (1)

  1. Ilia Tufano

    Leggo poesia proprio per destrutturare il linguaggio comune, quello di superficie, per interiorizzare e problematizzare, quindi mi ritrovo in quello che scrivi ed in quello che fai, quindi ritengo una lettura importante il tuo saggio sulle riviste d’avanguardia.
    Credo di fare qualcosa di analogo confrontando pittura e parola.

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