Scrittura e nevrosi, la poesia non salva nessuno

Scrittura e nevrosi, la poesia non salva nessuno

Scrittura e nevrosi, la poesia non salva nessuno

Di Mary Blindflowers©

Scrittura e nevrosi, la poesia non salva nessuno

Autoritratto, acrylic on paper by Mary Blindflowers©

 

“Il temperamento nervoso” di Alfred Adler, pubblicato nel 1912 e più volte ristampato, con uno stile ripetitivo e un po’ pesante, illustra la tesi che la nevrosi sia più che una malattia un atteggiamento, uno stile di vita che permea un uomo asociale, segnato da difficoltà fisiche che acuiscono la sua inclinazione verso la volontà di potenza. Lo studio si concentra sulla inferiorità di base degli organi che causerebbe un senso di inferiorità tale da far insorgere l’impellente desiderio di una meta alta che dia una direzione all’esistenza individuale, che rappresenti una sovrastruttura ideale guscio. Il nervoso tenta di esaltare la sua personalità ma si trova in una condizione di tensione, dato lo iato tra realtà e obiettivi perlopiù irrealizzabili e lontani che Adler definisce fittizi e che orientano la nevrosi perennemente verso l’avvenire, trascurando la godibilità del qui e ora. Il nervoso “è inchiodato alla croce della sua finzione”, vive nell’attesa della realizzazione di uno scopo che lo astrae dalla realtà, creando disadattamento e un esagerato sentimento di personalità. Tratti del comportamento nervoso possono presentarsi in persone “normali”. Nell’uomo sano però non c’è derealizzazione ma un maggiore adattamento alla realtà la cui chiara visione corregge i sintomi nevrotici che si avvicinano ad una dimensione concreta del mondo. Nel temperamento nervoso invece la realtà diventa un progetto secondario come anche una valutazione obiettiva di se stessi e del proprio valore. Il sentimento di inferiorità provato in età infantile richiede una compensazione attraverso una meta collocata più in alto possibile, in modo che egli possa affermare il valore e la potenza della sua personalità:

Le deficienze costituzionali e gli altri stati analoghi dell’infanzia fanno nascere un sentimento di inferiorità che esige una compensazione nel senso di un’esagerazione del sentimento di personalità. Il soggetto si crea uno scopo finale, puramente fittizio, caratterizzato dalla volontà di potenza; scopo finale che acquista un’importanza estrema e attrae nella sua sua tutte le forze psichiche. Nato esso stesso dall’aspirazione alla sicurezza, esso organizza i dispositivi psichici in funzione di questa sicurezza, e si serve principalmente del carattere nevrotico e della nevrosi funzionale. La finzione dominante è costruita secondo uno schema semplice e infantile e influisce in modo nocivo particolare sul modo di appercezione e sul meccanismo della memoria” (Adler).

Tratti di carattere nevrotico si rilevano continuamente in improvvisati poeti social e non solo, che, convinti di perseguire la meta alta della poesia, postano liriche su liriche stantie per stare al centro di un’attenzione che richiedono come se fosse dovuta, inoltre sono grandemente infastiditi da qualsiasi opinione negativa che non blandisca la nevrosi ossessiva della loro personalità di artisti intoccabili. Il problema è che criticando le loro liriche si sentono defraudati dello scopo, della meta fittizia che perseguono da tempo, crolla improvvisamente l’apparato di certezze d’ovatta dentro cui si cullano da secoli, si sfaldano le pareti del guscio d’uovo in cui riposano e percepiscono l’interlocutore critico come un nemico da abbattere, da eliminare, perché costituisce una fastidio per l’imposizione della loro volontà di potenza e per la falsa immagine che si sono creati.

Tra arte e nevrosi in realtà esiste un confine. Il genio creativo è sempre padrone delle proprie fantasie, non ne è dominato ma le domina, mentre negli stati patologici il paziente ne è completamente dominato, dunque è chiaro che ogni critica viene vissuta in modo doloroso, come atteggiamento di aggressione alla volontà di potenza della propria esaltata e ingigantita personalità, perciò il nevrotico reagirà con aggressività contro chiunque osi criticarlo e lo farà spesso in modo istintivo, irrazionale, sconnesso.

La poesia non è una cura per stati psicopatologici, e nemmeno una meta finale di affermazione personale, o una dea intoccabile seduta su un trono di ghiaccio, non è nemmeno un mezzo per attirare simpatie o attenzioni fittizie per soggetti nervosi desiderosi di commenti solo positivi. Il poeta non è un dio, ma perlopiù un minchione come tutti gli altri, fatevene una ragione. E se avete problemi a capire questo, se vi sedete davanti al pc e non avete già ma cercate la parola giusta per sporcare il foglio bianco, lasciate perdere, la poesia non ha bisogno di sforzi, quelli fateli eventualmente quando andate al bagno. Se non è la poesia a cercare voi con idee che vi assalgono e vi dicono “ora scrivimi, idiota, scrivimi anche senza ragione, buttami sulla carta anche se non ci guadagnerai nulla, anche se ti criticheranno e sputeranno sulle tue parole”, evitate di investire energie nella scrittura.

Se scrivere non vi viene naturale come bere un bicchier d’acqua o respirare, non intaccate la purezza della carta; se non vi viene spontaneo pensare che a qualcuno quello che scrivete potrebbe anche non piacere o disgustare o dispiacere o far ridere o sorridere o lasciare indifferente, non scrivete, perché state solo perseguendo la meta fittizia della vostra volontà di potenza che non è la strada dell’arte ma della parte malata di voi. E non speriate di salvarvi con la scrittura. Fior di scrittori si sono fatti saltare le cervella, volontariamente. La poesia non salva nessuno .

https://antichecuriosita.co.uk/manifesto-destrutturalista-contro-comune-buonsenso/

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