I Buffoni poeti©

I Buffoni poeti©

Di Lucio Pistis & Sandro Asebès©

Il buffone, credit Mary Blindflowers©

 

Abbiamo scoperto Franco Buffoni quest’estate, in una libreria del centro della nostra città natale. Stava in vetrina, il libro di Buffoni, lucido, invitante. La copertina non era male, così, abbiamo avuto la sventurata idea di comprarlo. Abbiamo letto e siamo andati in biblioteca a cercare altri suoi lavori, semplicemente per avere la conferma che non fosse peggiorato col tempo. Leggiamo alcune sue liriche.

Vorrei parlare a questa mia foto accanto al pianoforte,/Al bambino di undici anni dagli zigomi rubizzi/Dire non è il caso di scaldarsi tanto/Nei giochi coi cugini,/Di seguirli nel bersagliare coi mattoni / Le dalie dei vicini/Non per divertimento/Ma per sentirti davvero parte della banda./Davvero parte?/Vorrei dirgli, lasciali perdere/Con i loro bersagli da colpire,/Tornatene tranquillo ai tuoi disegni/Alle cartine da finire/,Vincerai tu. Dovrai patire.

L’autore di questa “poesia” è considerato dalla critica che conta uno dei luminari della letteratura italiana odierna; nessuno qui osa contestare il magisterium dei critici e degli editori che gli han dato l’imprimatur in tal senso, ma, fremant omnes licet, dicam quod sentio. Dovrai patire, chiosa usata per far rima con colpire... Il problema autentico della maggior parte delle liriche di Buffoni è che non si avverte alcun pathos, vibra piuttosto un senso di sdegnoso e rassegnato appartarsi naïf ad auto-consolare il diverso rifiutato dal gruppo. Si tratta nel caso della poesia sopraindicata di uno sciatto resoconto di riflessioni auto-indotte su una foto d’infanzia, con indulgenza a termini arcaici e un poco ottocenteschi. Non solo non c’è nulla di nuovo dal punto di vista prettamente stilistico, ma il diverso pare ergersi a creatura superiore e incomprensibile all’aggressività bandesca degli altri così definibili “normali”; traspare quasi un disvalore nella descrizione dei giochi prettamente maschili del resto della ciurma e la dicotomia omo/etero pare riecheggiare le tematiche un po’ melense dei Pooh in “Pierre” senza il sostegno di alcuna melodia di fondo. E la clausola quasi epitaffica “Vincerai tu. Dovrai patire”, indugia su una frattura che sa tanto di autocommiserazione.

Una lunga sfilata di monti/Mi separa dai diritti/Pensavo l’altro giorno osservando/Il lago Maggiore e le Alpi/Nel volo tra Roma e Parigi/ (Dove dal 1966 un single può adottare un minore)./Da Barcellona a Berlino oggi in Europa/Ovunque mi sento rispettato/Tranne che a Roma e Milano/Dove abito e sono nato./

C’è in questa poesia un semi-voyeurismo complice che ricalca i temi del resoconto giornalistico, ma il sentimento non spicca il volo, non dispiega le ali. Si comunica una sensazione di frigida freddezza cronachistica che non riesce a coinvolgere, poiché batte tra le righe il concetto della superiore sensibilità dell’animo gay rispetto ai volgarissimi etero. Rischia questo di divenire un locus communis non sempre suffragato da argomentazioni congrue. In Saffo e Lorca questo disprezzo per i diversi da sé non traspare mai: la sofferenza e il dolore dell’incomprensione tracimano direttamente dal vibrato degli effetti del turbamento amoroso tra i due amanti. E chi legge ne è avvinto. Ci dispiace per Buffoni, ma non è in grado di far lo stesso e ci chiediamo se oggi la definizione di grandezza non possa essere condizionata dal fatto che Buffoni appartenga alla casta dei docenti universitari che, come sappiamo bene, ha gioco facile con le case editrici che contano, oppure se il suo successo non dipenda dal fatto di essere stato presentato fin dal 1978 da un nome come Raboni. Non lo sappiamo, sono giochi di potere che non ci interessano. Quel che resta è soltanto una poesia tristemente inutile che non coinvolge, fredda, cronachistica, a tratti anche noiosa, di un’ampollosità che esclude qualsiasi ritmo innovativo, e che ricalca semplicemente vecchi triti metri stilistici. La costruzione del verso appare spesso elementare e prosaica: 

Sotto la statua del costruttore di navi da guerra/ La più grande canoa ha il motore diesel/ Attraversa persino il canale/ Il ponte basso coi segni dei camion/ Che tentarono di passare/…

La poesia dov’é? È andata a spasso, si era stancata forse di aspettare che l’autore fosse colpito dalla grazia dell’ispirazione.

Buffoni imperterrito, da anni, pubblica coi grandi editori la sua prosa muffosa spacciata per poesia. Ma siamo davvero sicuri che basti farsi presentare da un critico per poter essere definiti “poeti”, siamo sicuri che sia sufficiente, per rimanere nella storia, il suggello dei grossi gruppi editoriali che ti pubblicano perché sei un signor qualcuno presentato da un altro signor qualcuno?

Se la risposta è sì, siamo davvero nei guai. Buttiamo i libri nel secchio allora e torniamo alla clava, perché se questa è l’arte che la critica propone, bisognerebbe riscrivere tutta la storia da capo e fingere che nulla di quanto stiamo vedendo oggi, stia realmente e tristemente accadendo.

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