“Nepotes dei”, 2017, Prologo

"Nepotes dei", 2017, Prologo

“Nepotes dei”, 2017, Prologo

"Nepotes dei", 2017, Prologo

Guergana Radeva, “Nepotes dei”, 2017, disegno in copertina, Massimiliano Ruffino.

Guergana Radeva©

Prologo

(Da Nepotes Dei, Amazon KDP 2017, romanzo satirico noir. Edizione rivisitata di Amalgrammer, Ed. Akkuaria 2012. Premio Fantasy Way 2011).

 

Non c’era una volta sulla route 96 un motel, ovvero c’era, ma stava sulla route 69 che poi era identica alla 96. Quasi. Ma non del tutto. Come tutto il Fiction World.

L’insegna sputava neon catarroso e sulla collinetta, nella vecchia casa dal tetto spiovente, ogni tanto si illuminavano due finestre. Occhi gialli senza palpebre che scrutavano l’oscurità, la pioggia, la route 69… O forse era la 96?

Era tutto maledettamente dark. E gothic. A parte il motel che era squadrato e provinciale al punto di rovinare la suggestiva atmosfera noir. Intirizzita sotto l’acqua in attesa dell’ennesimo cortocircuito, l’insegna calcolava le probabilità di avere un trasferimento. Magari sulla collinetta, all’ingresso della casa nobilmente trasandata, rifulgendo una frase in latino, invece del prosaico Bats Motel. Le probabilità erano infinitesimali, ma le speranze sono dure a morire, specialmente le speranze di un’insegna innamorata.

Le finestre nere della casa fissavano con altera indifferenza un punto imprecisato ben al di sopra di ogni neon profano e, in preda a fitte intermittenti di gelosia, l’insegna pensò agli abitanti della stanza buia che fra poco avrebbero goduto della sensuale luce gialla. Gli abitanti in questione comprendevano un corpo su una sedia a dondolo e una dozzina di topi o forse più. Con i topi si perde sempre il conto, specialmente in una vecchia casa gotica. Quello che l’insegna non sapeva era che i topi non condividevano il suo amore per la luce. Sarebbe stato nell’ordine naturale delle cose che un neon s’innamorasse di una lampadina: delle sue curve trasparenti e del delizioso filamento di tungsteno incandescente. Il neon in oggetto, però, aveva l’animo di un poeta e sangue blu di nobile gas argon, perennemente eccitato dai vapori di mercurio, quindi osservava con freddezza le lampadine bruciate che periodicamente finivano nella spazzatura. Perché un corpo valeva l’altro e quello che il neon amava era la Luce! Nel paese delle lampade probabilmente l’avrebbero dichiarato pervertito e gli avrebbero amputato entrambi gli elettrodi, ma sulla route 69 “perversione” era un termine assai elastico.

I topi, dal canto loro, odiavano la luce e avevano fame. Fiutavano odore di cibo. Di sangue coagulato in bocconcini gelatinosi, di gustosa carne morta. Il topo più coraggioso o forse il più affamato, di certo non il più furbo, si staccò dalla parete, attraversò di corsa il pavimento e si appiattì vicino al piede nudo, muovendo i baffetti in attesa d’illuminazione. Mordo o non mordo? Il Dio dei topi rimase in silenzio ma una voce dall’alto strillò comunque la sua:

«Che schifo! Sferragli un calcio!»

«Sono innocui, ce n’erano tanti nel pagliericcio su cui dormivo» fece annoiata la stessa voce.

Il topo schizzò nell’istante in cui la mano si mosse. Fu come il passaggio di un ultrasonico. Prima si sentì lo squittio, un istante dopo, quando la realtà tornò a fuoco, si materializzò la mano che stringeva la coda del topo. Le mani d’argento vivo sanno essere incredibilmente veloci.

«Che topolino appetitoso!» si congratulò la voce.

«Ma che schifo!» la voce non sapeva decidersi.

La mano d’argento che prediligeva il silenzio, essendo già abbastanza stressata per cavoli suoi, disegnò un arco lucente e infilò il topo nella bocca chiacchierona.

«Gnam gnam» approvò la bocca. Dopodiché disse hrrrr e grrrr e qualcos’altro simile a una bestemmia, infine tossì. Il topo aveva smesso di graffiare la trachea ed era passato oltre.

Libera di sfogarsi la voce riprese a discutere con se stessa: «Fate uscire quella bestiaccia!»

«E dai, un po’ di divertimento, stiamo chiuse qua tutto il santo giorno!»

«Nella casetta dei nani c’erano topi nani e uno mi ha morsicato. Quando l’ho schiacciato, fece una chiazza come un lampone peloso.»

«Ti sei fatta fare l’antirabbica?»

«La rabbia fa parte del patrimonio storico-sanitario del Mad’eval district, come la peste, la lebbra e la sifilide.»

«Che schifo!»

«Se sei cosi schifiltosa, cara, dovevi startene nella tua torre, invece di gironzolare per i motel.»

«State zitte! Mi fate venire il mal di testa!»

«Tanto non è la tua testa!»

«Siamo un mostro!»

«Semmai siamo una gnocca con la sindrome delle personalità multiple.»

«Silenzio, porca fata!»

In quell’istante il topo che stava girando dentro la cassa toracica, trovò il buco del cuore mancante e schizzò fuori. Era stato veloce, ma non abbastanza. Squittì zrrrgrrrrzrr che nel topolese significava esattamente: Olè, sono Ratman! Poi nell’oscurità si materializzò una virgola d’argento che produsse una scia grigiastra, infine si sentì uno splioc seguito da un clic e da un tonf e la luce gialla inondò la stanza.

L’interruttore, impiastricciato di sangue, pelo e altri puzzolenti residui organici, ebbe un conato di nausea e il neon fuori eiaculò un ghiribizzo blu che diceva: Bats Motel.

Poi tutto tornò alla normalità.

La route 69, la pioggia e l’oscurità sotto lo sguardo vigile di due occhi gialli senza palpebre. 

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

 

 

 

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