Campanile, Leopardi, asparagi, ravanelli

Campanile, Leopardi, asparagi, ravanelli

Campanile, Leopardi, asparagi, ravanelli

Campanile, Leopardi, asparagi, ravanelli

A. Campanile, Gli asparagi e l’immortalità dell’anima, UTET 2006, credit Antiche Curiosità©

 

Mary Blindflowers©

Campanile, Leopardi, asparagi, ravanelli

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Gli asparagi e l’immortalità dell’anima, titolo quantomai suggestivo per un libro di racconti di Achille Campanile, edizione dell’ormai defunta UTET, 2006, prefazione di Francesco Piccolo che subito subito, fin dalla prima frase, sbaglia i congiuntivi, et voilà:

Si può dire, in modo sbrigativo ed esemplare, che i libri di Achille Campanile sono stupidi?
Si può dire che i libri di Achille Campanile richiedono al lettore una grande intelligenza, una propensione alla complessità, un ampio retroterra culturale e una capacità di concentrazione al di sopra dell’ordinario?

Si può dire, domando invece io, che la prefazione sia piuttosto stupida e che al posto di sono io avrei messo siano, al posto di richiedono, richiedano?
Se si esprime possibilità o probabilità (facile, possibile, presumibile, probabile, ecc.) è meglio usare il congiuntivo, anche perché quegli indicativi: sono-richiedono, suonano davvero male.
Ma la prefazione non è stupida per il fatto che rovini fin dall’inizio la musica che il lettore deve sentire leggendo, bensì perché dice al lettore che per leggere Campanile occorra comprendere la complessità e avere una capacità di concentrazione al di sopra del consueto. Non so quale sia il consueto di Piccolo, né cosa intenda per grande intelligenza, ma io senza sentirmi particolarmente intelligente, trovo che sia una lettura non difficile. In Campanile non c’è nulla di complesso, nulla di complicato. Tutto scorre e non occorre rileggere. È tutto maledettamente semplice e talvolta perfino semplicistico. L’autore ha infatti uno stile reiterativo, il trucco di ripetere in avvolgimento le stesse frasette per creare filosofie a volte perfino inesistenti, come nel racconto che dà il titolo a tutta la raccolta, racconto il cui pregio principale è proprio il titolo, dato che di base lascia interdetti per l’assenza totale di contenuti. È un innocuo divertissement. Dopo che comunica che gli asparagi si mangiano e l’immortalità dell’anima no, e che l’immortalità dell’anima è una caratteristica peculiare dell’anima, ci si aspetta una conclusione sorprendente e nulla, il tutto si risolve più in uno spirito di patata che di asparagi. E abbiamo fatto la zuppa.
Ne Il celebre scrittore la trama è molto più intrigante, peccato che poi scivoli in un certo snobismo mainstream:

Floro d’Avenza suppose per un attimo che fosse uno dei molti dilettanti che circolano per il mondo; quelli che mandano agli scrittori illustri un libriccino stampato a loro spese, chiedendo un giudizio. Spesso questi libriccini hanno anche una tavola fuori testo con la fotografia dell’autore che è di solito un bel tipo di poeta dall’atteggiamento fiero di ribelle inseguitor di sogni e di chimere fuggenti. Tuttavia lì s’era parlato di nome che circolava. Vero è che questi geni in incognito hanno una cerchia entro la quale circola il loro nome (p. 33).

Qui c’è tutta la boria dello scrittore arrivato che disprezza quelli che fanno parte della schiera degli illustri sconosciuti, la posa autobiografica di colui che si ritiene un grande scrittore. C’è un ridimensionamento nel finale, ma non sufficientemente convincente perché giocato solamente sull’inferiorità estetica del presunto grande che però anche alla fine mantiene la sua superiorità intellettuale. Del resto la grandezza sembra sia scordarella. Si scorda infatti, Campanile, che anche lui si è appoggiato a scrittori noti come Pirandello e Montale, altrimenti… Anche lui è stato presentato e introdotto e ha mandato il suo libriccino, altrimenti coi suoi libri avrebbe potuto fare solo bellissimi aeroplanini di carta o al limite un brodino.
Poco gradevole anche lo sfottò verso Leopardi, giocato su un motivo piuttosto trito e abusato dalla borghesia salottiera, la gobba:

A Recanati il gobbino Leopardi s’avviò tutto fiero: “sono l’unico monumento del mondo che abbia la gobba”, ripeteva.

Toni sprezzanti, uno sfottò fuori luogo per un autore che meritava un maggiore rispetto ma che, inviso agli scrittori laureati, è sempre stato poco mondano, poco propenso a risparmiare critiche ai mediocri. Un autore, Leopardi, di fronte a cui gli asparagi di Campanile diventano ravanelli.
Ovviamente il libro contiene anche racconti apprezzabili, piccole perle in cui lo scrittore si riscatta. L’avventura di viaggio, Il Gazzettino natalizio e Il biglietto da visita, per esempio, sono gustosissimi, tanto quanto altri racconti sono sciaparelli perché basati su giochi di parole meno convincenti e su stereotipi abusati o su falsi concetti, come quando associa antico a muffoso:

… le era piaciuto prima il nuovo di zecca, il lustro, il luccicante, le apparve detestabile; e bello e apprezzabile le parve soltanto quello che prima le sembrava da buttar via: il vecchio, il tarlato, il muffito, lo sconquassato; in una parola l’antico (Il trumeau, p. 60)

Qui confonde il concetto di antico addirittura con sconquassato, in modo semplicistico, volgare, denotando pure una bella dose di ignoranza. Ma non tutto suscita lagnanza, avanza anche, come ho detto qualche racconto più che degno. Ritengo sia un autore da leggere. Anche i ravanelli possono essere gustosi. In ogni caso, se trovate l’edizione UTET, saltate la prefazione, è del tutto superflua oltre che scritta male.

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

 

 

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