La paura delle parole

La paura delle parole

La paura delle parole

La paura delle parole

Il sentiero dei fagiani, credit Mary Blindflowers©

 

La paura delle parole

Mary Blindflowers©

.

Il dato fondamentale del presente è la paura delle parole, la reiterata, smaccata finzione che diventa menzogna muovendosi dall’interno verso l’esterno e trasformandosi. Per interno intendo l’opera d’arte in sé. Questa richiede un certo grado di finzione affinché la storia si metta in moto. Se la finzione però supera i confini del testo letterario o della produzione artistica, diventa menzogna. Così per vendere la loro finzione, gli autori mentono e lo fanno di continuo. Ecco che a questo punto scatta l’emulazione definente. Quelli che hanno successo possiedono titoli più o meno altisonanti costruiti perlopiù a tavolino dal marketing e dalla politica. Quando intervengono nei dibattiti televisivi, prima ancora che aprano bocca, sotto la loro faccia, compare una scritta-etichetta: filosofo, specialista in, scrittore, etc. I falliti emulano, a loro volta si definiscono critici letterari, attori teatrali, critici d’arte, poeti, scrittori, filosofi, saggisti, anche se di fatto non li conosce nessuno. Stanno mentendo e imitando. Dovrebbero scrivere accanto ai titoloni auto-attribuiti, la parola “falliti”, così sarebbero più sinceri, più veri. In alternativa forse non usare ridicole etichette aiuterebbe molto ad evitare un reato di omissione che è sotto gli occhi di tutti. La menzogna viene esercitata con stile imitativo “dei grandi”, di coloro che invece il successo lo hanno avuto, eccome. L’etica contemporanea non ama i falliti perché si basa sul successo a tutti i costi, modello anglosassone, felici per finta e vincenti per forza. Chi non ha successo, ossia la maggior parte della gente, deve fingere di averlo o di essere contenta così come sta e bla bla… È infatti inconcepibile per la mediocrità di una mente comune forgiata dal sistema, che si possa mantenere un certo grado di autostima se non si ha successo, così, non avendolo, lo si inventa. Lo scrittore diventa da esterno alla storia, da agente, agito, come un personaggio fittizio, immaginario, e inizia a inventare se stesso, a raccontarsela per poi raccontarla pure agli altri. Le quarte di copertina di illustri sconosciuti sono piene di toni altisonanti, propagandistici, del tipo: ha venduto migliaia di copie, scrittore di grande successo, pluripremiato in vetta alle classifiche, grande artista, assai noto. Ma noto a chi? Pluripremiato da chi? Dagli amici del bar e della bruschetta? Famoso tra i pochi contatti Facebook che nemmeno si comprano i suoi libri anche se dichiarano di conoscerlo? Tutti sanno che non è noto, anche perché uno che ha già la notorietà, non ha nemmeno bisogno di sciorinare la propria biografia, visto che la sanno già tutti. E il termine fallito è diventato sinonimo di uomo mediocre, anche se di fatto persone mediocrissime hanno talvolta un successo strepitoso mentre altre molto più profonde e con più talento, sono sconosciute. La verità è che il modello made in U.S.A., con quei film dove tutti gli scrittori sono ricchi, felici e pieni di problemi inesistenti dentro le loro ville con piscina, ci ha abituati a usare parole come best-seller, capolavoro, in testa alle classifiche, grande affresco, uno dei migliori scrittori contemporanei… etc., etc. Sono le stesse parole che usa la propaganda dei grossi editori per pubblicizzare scrittori spesso inutili. Non ci crede nessuno però se le usa un perfetto Pinko, ma tutti fingono di crederci, in primis chi si autoetichetta. Questo movimento di autoincensazione ha due conseguenze gravi: la prima è che anziché combattere la fondamentale immeritocrazia del sistema, lo scrittore vi si adegua, adottando gli stessi toni della propaganda che a parole vorrebbe combattere; la seconda è che, anziché creare spazi alternativi in cui valorizzare se stesso e altri stimabili autori, creando un fronte comune, vorrebbe entrare nel sistema già dato, proprio per questo motivo ne imita toni, retorichetta e motivi, corre a comprarsi pacchetti finti di like su Facebook o di feedback su Amazon, per poi dire, il mio libro scala le classifiche. Sono moti di pena, messe in scena pedestri per ingannare un eventuale lettore. Addirittura una pagina di grande successo su Facebook pochi giorni fa pubblicizzava un libro e aveva tantissimi commenti, gente disposta a giurare di averlo letto, di averlo trovato meraviglioso, ma ecco il link di vendita, ops, era in pre-vendita, non era ancora stato pubblicato. A questo punto… (Continua su Destrutturalismo n. 5)

.

DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

 

Comment (1)

  1. Mariano Grossi

    Appiedato oppure in bike
    io mi compero dei like!
    Me li compro da fregnon
    sia sui social e Amazon!
    Anche se non vendo un cazzo
    sembro un uomo di Palazzo
    ed in questo mondo boia
    sarò un dì nuovo La Gioia:
    finirò su ogni giornale,
    piova o in caldo torrenziale!!!

Post a comment