Winston tu non esisti!

Winston tu non esisti!

Winston tu non esisti!

Winston tu non esisti!

Il cane, credit Mary Blindflowers©

 

Winston tu non esisti!

Mary Blindflowers©

.

Nessuno scrive per sé, chi dice così mente spudoratamente cercando una consolazione fittizia, raccontandola perfino a se stesso in modo anche piuttosto banale. Da che mondo è mondo scrivere è comunicare. Non si scrive per rileggersi, anzi molti autori confessano perfino di provare noia nel rileggere i propri libri, dato che sanno già la trama. Che poi non si riesca nell’intento di esser letti per mancanza di distribuzione editoriale, riservata in grande stile a pochi, e di attenzione da parte di un pubblico obnubilato dal marketing e dalla propaganda, non inficia affatto l’intenzione né l’afflato.
Tuttavia scrivere non significa esistere nel mondo letterario, infatti la scrittura non sancisce una reale ed effettiva esistenza come autore, tutt’altro, è proprio se non si scrive nulla, o meglio nulla che vada oltre il senso comune e l’autorità del Super-Ego, che troppo spesso si esiste. Se si pensa in autonomia e ci si libera dall’orpello di dover scrivere quello che potrebbe piacere agli altri, alle mode, ai tempi che corrono senza andare mai da nessuna parte, un po’ come i criceti in gabbia, scatta un meccanismo a tagliola. La non esistenza di un autore si può dichiarare infatti in molti modi, sia ufficiosamente che ufficialmente, sia da lontano che da vicino, sia da parte di “amici” che di nemici. I meccanismi sono sempre gli stessi. Se un autore è troppo critico, gli “amici” tenderanno a pronunciare il suo nome in pubblico il meno possibile, dopo un monte di nomi e chiacchiere su altri e su se stessi, poi se proprio necessario, perché magari proprio quel cavolo di autore che si inimica editor e gente in, ha curato una prefazione o le illustrazioni dei loro libri, gli “amici” lo citeranno come en passant, a mezza bocca, giusto un accenno senza importanza, per non essere giudicati male o infidi, e ovviamente non accenneranno a nessuno dei progetti comuni con l'”amico”, perché il loro scopo è autopromuoversi, non promuovere un’idea nuova di editoria meritocratica e inclusiva. La maggior parte degli scrittori che desiderano affermarsi, ha come un gap nel cervello che crea una parete divisoria tra i loro interessi particolari e il fine comune di un progetto più generale. La maggior parte di loro, a parte alcune mosche bianche di splendida rarità che forse verranno un giorno esposte in qualche angolino sempre nascosto nel museo delle cere perpetue, partecipa a riviste e antologie con un solo obiettivo: farsi notare e far girare il proprio nome. Del resto non si ha contezza. Se chi organizza una rivista ha un’idea generale che può essere valida, quella di riunire penne decenti che hanno poca voce per dimostrare che non sempre chi non ha troppa visibilità è una schiappa; per dimostrare che si può ancora conservare lo spirito critico e leggere sul serio la letteratura, alla maggior parte dei partecipanti, specie quelli temporanei, non importa un fico secco di queste cose, a loro importa avere un altro spazio che li renda visibili, il nome che gira. Non capiscono che un treno non ha solo una vagone ma tanti vagoni tutti collegati, se si pubblicizza un solo vagone, il nostro, oltre a fornire una visione parziale del mondo, impedisce al treno di partire. Se invece di sciorinare le proprie biografie, per un attimo questi pensatori decidessero di pensare alla valorizzazione di un progetto comune che potrebbe recar vantaggi anche a loro stessi, forse le cose migliorerebbero, probabilmente tante piccole voci sconosciute, avrebbero più voce perché si sono unite in un progetto potenziato che va al di là dell’individuo-autore in sé. Ma questo non può accadere né forse mai accadrà perché prevale l’egoismo, la voglia di essere i più furbi, i migliori, i più bravi. Questo sentimento così stupido e distruttivo, è lo stesso che porta il proprietario di un cane a far defecare il proprio animaletto su una strada pubblica, tanto che fa? Mica è il salotto di casa mia, pensa, il genio, senza valutare che poi, questo fulmine di guerra, su quella strada ci ripasserà e si ritroverà le deiezioni del suo cane e di altri cani, sotto i piedi. Si consolerà forse dicendo che porta bene, un altro modo per distorcere la realtà e raccontarsela per non sentirsi come la sostanza inavvertitamente calpestata, ma alla fin fine che rimarrà? Una strada sporca per tutti, e tutti a lamentarsi del disastro a cui hanno contribuito, soltanto perché c’è la cronica incapacità di capire che un libro come un cane, ma si spera non scritto da un cane, non può essere affatto un fenomeno isolato e fine a se stesso, un modo per attirare simpatie e ammirazione generale sull’autore, ma la base di un miglioramento auspicabile.
Anche i nemici saranno i portatori del vessillo della invisibilità perpetua da paria degli autori non innocui. Questi verranno costantemente e “terapeuticamente” ignorati dal sistema. L’uomo che pensa tuttavia, Thinking Man, non può impedire che un assurdo sorriso salga alle sue labbra, un sorriso inevitabile come una storia già scritta: “Winston tu non esisti!” (Orwell, 1984).

.

DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

 

Comment (1)

  1. Mariano Grossi

    Pur se scrivi con decoro,
    scatolato pomodoro
    della terra che è Flegrea,
    il tuo apporto è da diarrea,
    perché la tua reticenza
    non ti dà la remittenza
    pei peccati tuoi di ingrato
    specie quando sei prefato.
    Se non dici manco un grazie
    la coscienza tua ha le emazie!

Post a comment