Rivista come progetto comune

Rivista come progetto culturale

Rivista come progetto comune

Rivista come progetto culturale

Le vuote porpore, credit Mary Blindflowers©

 

Rivista come progetto comune

Mary Blindflowers©

.

Che cosa differenzia le riviste specificamente letterarie del passato dalla marea di riviste e rivistine che circolano oggi on line e su cartaceo?
Il progetto comune.
Le riviste di un tempo, nel bene e nel male, riunivano persone animate dal comune desiderio di diffondere una certa idea del mondo e della letteratura, potevano esservi divisioni interne, incomprensioni talvolta, discussioni più o meno lunghe e animate, attestate dalle lettere che i partecipanti si scambiavano e che ora costituiscono documenti storici e testimonianze di un tempo perduto.
Oggi che di lettere nessuno ne scrive quasi più, oggi che abbiamo una tecnologia avanzata, e-mail con cui comunicare in tempo reale pensieri, opere ed omissioni, spesso manca del tutto il progetto. Il novanta per cento delle riviste letterarie attuali che fioriscono come funghi, raduna gente diversissima sia per formazione che per esperienze che per idee e butta tutto in un calderone. Il multiculturalismo, la pluralità di opinioni, direte voi, certo che sì, ben vengano, ci mancherebbe! Il problema però è che ciascuno di questi partecipanti, non essendo sostenuto da un’idea base di fondo, pur nella diversità delle sfumature, non ha la più pallida coscienza di cosa significhi creare un’idea e diffonderla perché spesso la rivista stessa non ne ha una. L’obiettivo di ciascuno diventa così egocentrico, io partecipo perché così ho uno spazio in più per pubblicizzare me stesso. Il ragionamento generale e diffusissimo è questo. E quando ho detto a qualcuno che non funziona esattamente così, sono stata vista come un marziano. E anche i direttori delle riviste seguono le stesse logiche, radunare più persone possibili che saranno gli acquirenti stessi della rivista, creando così un laghetto che poi è una triste pozzanghera di autoreferenza inutile. Cosa fai un prodotto editoriale per venderlo a te stesso? Ha senso? No.
La rivista Destrutturalismo (sarebbe meglio dire Destruttural’ismo) è un quadrimestrale nato invece da un progetto, quello di decostruzione e ricostruzione di una letteratura nuova, sperimentale, meritocratica e contro-antropocentrica che valorizzi un individualismo attivo non egoista e il recupero di autori anche dimenticati o sconosciuti, sia del passato che del presente. Individualismo attivo significa che ognuno può esprimersi secondo la sua personale esigenza creativa, ma lavorando contemporaneamente affinché il messaggio passi oltre il circoletto chiuso di amici e zii e divenga progetto comune. Il circoletto mi fa tristezza, perché è un vecchio sistema per lasciare tutto com’è. Il 99,9 per cento degli intellettuali però ama visceralmente lo status quo, salvo poi lamentarsi in rete che questo non va, quell’altro non funziona, che il sistema è immeritocratico, che i nuovi autori non hanno possibilità alcuna di farsi conoscere, che tanto è inutile anche solo parlare di certi argomenti, che c’è la censura, non si può dire più nulla, etc. etc. Quando a questi stessi lamentatori si dà uno spazio da condividere per comunicare, partecipano però con la filosofia dell’io, addirittura fotografano solo la pagina della rivista in cui compare il loro articolo, dimenticandosi perfino della copertina, forse la considerano superflua? E considerano inutili gli altri interventi? Oppure mandano articoli stancamente dicendo che non ricordano nemmeno se me li hanno già mandati, e poi, “controlla”, dicono. Ma è una barzelletta o uno scherzo? O ancora si offendono a morte se gli dici che l’articolo è pieno di refusi, che magari una controllatina non farebbe male prima di inviare. Oppure sbattono la porta perché non gli ho impaginato e pubblicato un libro di cento paginette spacciato per saggistica. O ancora vanno alle presentazioni di libri e non nominano mai nemmeno una volta la collaborazione con la rivista, come se scriverci dentro fosse un reato penale, qualcosa di cui vergognarsi per non urtare la sensibilità degli amici.
Una rivista per come la concepisco io, non deve essere una vetrina ma uno spazio comune che ha lo scopo di rompere l’inanità di un sistema che non funziona. Se nemmeno chi ci scrive ci crede, condivide, ne parla, e finge che tutto vada a meraviglia per non inimicarsi l’editore o lo scrittore noto che potrebbero non gradire certe critiche, come si può pretendere che lo facciano gli altri? Se uno spazio non esiste, te lo crei. Non è difficile da capire. Eppure un concetto così semplice non viene percepito dai più come fondamentale. Gente che si vanta di aver letto diecimila libri, di essere colta, intelligente, sensibile e bla bla, non riesce a comprendere un concetto così semplice. Ma non ci riesce o non lo vuole capire? Non c’è forse peggior sordo di chi non vuol sentire? Questa incapacità di creare un fronte comune che è tipicamente italiana, è generata dall’essenziale schiavitù ad un sistema che ci impone di vendere i nostri prodotti creando competizione, la famosa guerra tra poveri. Il mainstream così bello, splendente, roboante nella sua sicurezza granitica, sfotte autori che potenzialmente avrebbero tanto da dire e da dare, ma vogliono restare chiusi in un orticello perché si fanno la guerra tra loro, partecipano ad antologie e riviste con la stessa verve di un bradipo che racconta di aver appena fatto una corsa ad ostacoli e poi si rifugia nella sua tana-salotto a lamentarsi che la gazzella vince tutte le gare di atletica.
C’è fiacchezza, lassismo, egocentrismo, bradipismo (concedetemelo), c’è un egoismo cosmico di chi non riesce a rendersi conto che chi pensa solo per sé non pensa per tre ma nemmeno per se stesso; c’è inerzia, filosofia da divanetto e cataletto smorto, pedanteria del corto riflesso condizionato che elabora un solo dato, esserci tanto per fare senza condividere mai nulla se non i propri contenuti privati, particolari e settari. Ci sarà mai un risveglio? O come si dice nella favola di Pinocchio, “sono tutti morti”? A me più di certe volte pare di sì.

.

DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

 

 

Post a comment