Quevedo, Vita del Pitocco

Quevedo, Vita del Pitocco

Quevedo, Vita del Pitocco

Quevedo, Vita del Pitocco

Quevedo, Vita del Pitocco, Formiggini, 1917, credit Antiche Curiosità©

 

Quevedo, Vita del Pitocco

Mary Blindflowers©

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Vita del Pitocco di Francesco de Quevedo, prima versione italiana di Alfredo Giannini, con disegni di Plinio Nomellini, Formiggini 1917 è un libro picaresco che sotto il gusto della caricatura, dell’iperbole, dell’inverosimiglianza, nasconde l’intento satirico dell’autore che mette in ridicolo molte figure e istituzioni del suo tempo con fare innocente e ridanciano. La satira colpisce i poeti, l’inquisizione, i magistrati, gli educatori, i frati, i medici, i preti, etc.
Soltanto apparentemente ingenua, la narrazione di Quevedo, descrive tutto un mondo in movimento visto dagli occhi di Paolo, figlio di un barbiere e di una strega-prostituta.
Attraverso un linguaggio allegorico e in parte sfrontato, il lettore assiste ad una sorta di carrellata di tipi umani descritti fin nei minimi particolari. Le descrizioni, perfettamente funzionali al testo e alla trama, sono molto visive, puntigliose ma anche geniali nella loro esagerazione. Il lettore non rinvenirà nulla di pacato, di ordinario, di contenuto in questo testo antico. Anche la fame è indicizzata al massimo fino a che la tragedia non sfiora la commedia, dato che il riso e la morte sono fratello e sorella. La descrizione dell’indimenticabile precettore Capra, un nome una garanzia, e delle condizioni in cui riduce il povero protagonista, è caricatura finissima:

 

Capra ci chiamò a lezione e tutti andammo a sentirla. Ormai e le costole e i fianchi mi sguattavano nel giubbone, altre sette paia di calzonetti avrebbero potuto rivestire le mie gambe, e i denti mettevo in mostra pieni di tartaro, gialli, vestiti a disperati. Mi si ordinò di leggere agli altri la prima declinazione, ma tanta fame avevo che mi sdigiunai mangiando la metà delle parole… (p. 23).

 

La fame è occasione per accostamenti arditi, descrizioni di pericolanti destini appesi al filo della meraviglia con tendenza costante verso il basso tipico di tanta letteratura picaresca. Il linguaggio riesce, nonostante l’incursione nel mondo degli odori e degli umori corporali, la descrizione dei buchi e dei rammendi sui vestiti e di un clistere operato in piena regola e contro la volontà dei pazienti-studenti, a mantenersi pulito, senza indulgere nel turpiloquio. Dopo aver detto di non essere andati di corpo, Capra escogita un rimedio efficacissimo, secondo una ricetta del padre. Chiamata una vecchia, dunque si procede:

 

Un dolor di capo e di denti era incomodo di poco dunque dicemmo che ci dolevano le budella… Capra aveva una ricetta lasciatagli da suo padre che era stato speziale. Venuto a sapere del male, preparò un certo rimedio e, chiamata una vecchia di settantant’anni, zia sua, che gli serviva da infermiera, le disse che ci rivogasse parecchi tentativi. La funzione cominciò da Don Diego. Il disgraziato non voleva saperne, e la vecchia invece di cacciarglielo dentro, glielo scaricò tra la camicia e il filo delle reni, su fino alla nuca, sì che servì per guarnizione esteriore quel che doveva far da fodera per il dentro. Si mise a urlare il povero ragazzo, accorse Capra e, al vederlo, ordinò che intanto mi facessero l’altro… Io feci per vestirmi ma poco mi valse, perché tenendomi fermo Capra ed altri, la vecchia me lo infilzò, ma io glielo riscaricai tutto in faccia… (p. 25).

 

Quevedo non si limita a caricaturizzare i precettori, ma ha una buona parola anche per i poeti. Quando Paolo incontra per strada verso Madrid un letterato, un vecchione che si lamenta di non essere mai stato premiato per aver composto le sue poesie che si ostina a leggere per forza.
Le pessime rime del poeta offrono occasione di scherno, soprattutto perché il poeta non si rende conto che le lodi del suo interlocutore sono fasulle e che questi non vede l’ora che smetta di recitar versi.
In pieno delirio egocentrico-narcisista, il poeta continua a declamare su ogni cosa che viene casualmente nominata, sostenendo di avere una rima per tutto, anche per ciò che non conosce:

 

«… Ecco qui novecento e un sonetto, più dodici quartine… in lode delle gambe della mia donna». Gli domandai se gliele aveva viste e mi rispose che se n’era ben guardato per via degli ordini sacri ch’egli aveva ma che però aveva espresso i pensieri dalle sue supposizioni… lo supplicai di smetterla, facendogli presente che, se fiutavano il poeta, i monelli, non ci sarebbe rimasto torzolo di cavolo che non avrebbe preso la nostra direzione… (p. 79).

 

Quevedo era un cortigiano e un uomo politico, oltre che un letterato, e come anticipa nella nota ai lettori parla di ogni genere di bricconi che doveva conoscere bene, dato che era uno di loro.

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

 

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