Solenoide di Mircea Cărtărescu

Solenoide di Mircea Cărtărescu

Solenoide di Mircea Cărtărescu

Solenoide di Mircea Cărtărescu

Solenoide di Mircea Cărtărescu, credit Paolo Durando©

 

Paolo Durando©

Solenoide di Mircea Cărtărescu

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La storia della letteratura ha sempre compreso tentativi di opera totale, di libri-mondo. La “Commedia” di Dante è un esempio, come “Don Chiosciotte” di Cervantes, fino ad arrivare a “Ulisse” di Joyce o “L’uomo senza qualità” di Musil. E, nell’ America di oggi, a Edgar Forster Wallace con “Infinite Jest” o De Lillo con “Underwold”. Queste narrazioni sono sforzi considerevoli per aggredire da ogni lato l’epoca in cui si vive, nella necessità di metabolizzarla e superarla.
Nel panorama della letteratura italiana attuale Antonio Moresco è stato probabilmente lo scrittore che più ha voluto avvicinarsi a questa impresa titanica, nella trilogia de “I canti del caos”. Purtroppo la sua potenza immaginativa non trova riscontro nella scrittura, inficiata da insufficienti capacità espressive, da un ventaglio limitato di registri, lessico, articolazioni sintattiche. Non basta essere un maratoneta della scrittura per raggiungere lo scopo che ci si è prefissati. In particolare l’ultimo volume della trilogia, “Gli increati”, si riduce ad una inesausta, ripetitiva litania, che vorrebbe essere ipnotica, quasi a richiamare le percussioni degli sciamani, ma che ci induce inevitabilmente ad abbandonare la lettura.
Tutt’altro va detto per Mircea Cărtărescu, che con “Solenoide”, affrontando a sua volta il caos dell’increazione, ha forse superato se stesso.
Si tratta di un libro-monstre, per la precisione di un’autofiction, tipologia che oggi suole ricorrere in svariate declinazioni. Le oltre 900 pagine di questo romanzo non-romanzo sono un rigoroso compendio di Cartarescu su se stesso, in quanto umano, in un’autocoscienza biologica, onirica, iper-realistica.
Il protagonista in effetti ha alcuni tratti dell’autore reale, ma in un mondo trasfigurato e in una condizione esistenziale di non-scrittore. Ciò che scrive si limita a quaderni di diario, in cui annota sogni, percorsi di lettura, descrizioni della sua città, Bucarest, sfondo costante delle sue stralunate appercezioni. Questo nel tempo libero lasciatogli dall’odiata professione di insegnante di romeno in una scuola media, concentrato della mediocrità umana e culturale di una società ancora “comunista”, tra gli anni ’70 e ’80. Questo professorino perso nei corridoi della scuola, tra colleghi e colleghe lunari, sfibrati, feroci, come in un ulteriore labirinto che va ad aggiungersi a quello della sua casa “a forma di nave”, e alla stessa fatiscente, stancamente barocca Bucarest, avrebbe preferito senz’altro essere uno scrittore, magari di successo.
Le sue ambizioni, purtroppo, erano state distrutte quando, da studente, aveva sottoposto la lettura di un suo poema a un circolo di lettura dell’università e questo non era piaciuto, venendo severamente giudicato non all’altezza. Da quel momento, il solitario studente pieno di ideali e appassionato di letteratura avrebbe abbandonato ogni iniziativa in questo senso, chiedendosi spesso come sarebbe stato se le cose fossero andate diversamente, se gli fosse stato riconosciuto del talento. Avrebbe avuto tutt’altra vita, più lusinghe, soldi e più donne. Quel suo alter-ego di successo resterà sotto traccia per tutta la sua vicenda successiva, perduto in un universo parallelo, probabilmente il nostro dove, in effetti, Mircea Cărtărescu è uno scrittore affermato.
Che gli universi paralleli siano spesso presenti alla sua attenzione è evidente nel romanzo, dove la tesi di fondo è che l’essere umano è costretto a fermarsi alla terza dimensione, pur essendo capace di slanci immaginativi e affettivi verso la quarta. É la contraddizione leopardiana tra la nostra natura finita e l’infinita capacità di desiderare. Ne consegue un’irrimediabile sensazione di impotenza.
Agli occhi di colui che si trovasse in un mondo a quattro dimensioni “(…) il mio mondo sarà eternamente immobile, privo di libertà di movimento e coscienza, privo del libero arbitrio, la più disumana tra le segrete di un diavolo sadico e perverso. Mi vedrà rinchiuso nella goccia d’ambra del mio destino, rinserrato nella mia stessa statua, una mente viva in un corpo eternamente paralizzato, simile alle figure fissate in una foto o in un film in cui, per quanto spesso tu possa vederlo, non accade mai nulla di nuovo. É il mondo terrificante da cui occorre fuggire, la tomba in cui marcisci da vivo, la crisalide che devi spezzare per diventare farfalla”.
É questo lo scopo della letteratura, quindi, cercare di aprire una crepa nell’angusto angolo del multiverso che ci tocca abitare, ma questo può essere soprattutto il compito di uno scrittore fallito, che, non annebbiato dalla mondanità e dal piacere di essere se stesso, può dedicare ogni risorsa interiore a questo obiettivo.
La convinzione di Mircea è che esperienze oniriche, ricordi reali o presunti, soprattutto dell’infanzia, conoscenze laterali, preconscie, siano altrettanto e più rivelatorie della realtà ordinaria. L’uomo è sostanzialmente, un essere multidimensionale.
“Reale è anche il sogno, reali sono anche i primi ricordi, reale (quanto reale!) è anche la finzione, e nonostante ciò li sentiamo alieni rispetto alla patria grigia, dura, ostinata, impietrita, priva di immaginazione, di senso o di salvezza, la cella in cui siamo stati gettati, dopo avere assaggiato le acque tenebrose del fiume Lete.”
Uno strumento insperato di elevazione si rivela essere una speciale tipologia di solenoidi, invenzione presunta di Nicolae Borina, allievo di Nikola Tesla. Essi sono dei centri di energia, generatori di campi gravitazionali, costituiti essenzialmente da grosse bobine di cavo spesso di rame intrecciati in maniera complicata. Incastrati nella struttura della realtà, sono parte intima di Bucarest, città tentacolare nata dall’aggregazione disordinata di mura scrostate di palazzi neoclassici, fabbriche abbandonate, automobili sgangherate, linee sconnesse di tram, prodotti stantii, cibi scarsi ottenuti dopo lunghe file in negozi squallidi. Il solenoide rappresenta la misteriosa, minacciosa e, al contempo, risolutiva irradiazione che alimenta la storia, spingendola in alto, verso le aspirazioni, gli ideali. Ce n’è uno proprio sotto casa sua, in linea con la camera da letto e questo gli permette, nei momenti più coinvolgenti del sogno o dell’amore fisico con le donne che attraversano la sua vita, di fluttuare nell’aria libero dai vincoli della gravità e del senso comune. Mircea ne immagina cinque sepolti in ordine simmetrico nei sotterranei di Bucarest, in corrispondenza di luoghi chiave e il cui scopo ultimo verrà rivelato alla fine della vicenda.
Grazie ai contatti di una collega, Cathy, può frequentare i così chiamati Manifestanti, un’organizzazione che, sotto la guida di Virgil, il cui nome evoca l’indispensabile mentore di Dante nell’aldilà, protesta contro la condizione umana, prendendo posizione contro le malattie, le sofferenze, confluendo nella richiesta ossessiva, a non si sa chi o a che cosa, di un aiuto impossibile. “Invecchiamo, aspettiamo tranquilli nella sequenza dei condannati a morte. Veniamo giustiziati uno dopo l’altro nel più sinistro lager di sterminio. Veniamo spogliati dapprima della bellezza, della giovinezza e della speranza. Veniamo avvolti nella veste dei penitenti, delle malattie, della fatica e della putrefazione”.
Ancora una visione Leopardiana, in chiave espressionistica e grottesca.
A concretizzare la consapevolezza e l’ineludibilità della nostra condizione sacrificale, ricorre un oggetto che richiama, tra l’altro, l’omologazione e l’irreggimentazione sanitaria di una società collettivistica, ossia la poltrona dentistica, dove sin da piccoli, costretti all’immobilità e passività, non resta che “subire”. Ce n’è una anche nella torretta della casa polimorfica dove Mircea vive e si smarrisce ogni volta, tirando le somme dei suoi tentativi di decifrazione, del passato e del presente, descrivendo minuziosamente i suoi percorsi, a partire da alcune letture che gli indicano la direzione.
Intricati rimandi collegano le opere di Nicolae Minovici, medico romeno, esperto di autosoffocamento e impiccagione controllata, del padre Mino, scienziato forense, studioso di cadaveri, malattie mentali simulate e antropologia criminale, di Nicolas Aschide, psicologo romeno che si interessò di metapsichica e occultismo, con particolare riguardo alla natura dei sogni, di Charles Hinton, il matematico britannico che provò a descrivere la quarta dimensione attraverso l’ipercubo o tesseratto.
Ha un ruolo anche il manoscritto Voynich, a cui lo introduce l’enigmatico bibliotecario Pamar, che lo segue nel suo cammino sin da quando, bambino, era l’unico a chiedergli libri in prestito. Si tratta di un codice risalente al XV secolo, scritto con un sistema di scrittura che non è stato ancora decifrato.
Non mancano un accenno a Raymond Moody e ai suoi studi sugli stati di pre-morte e alle opere dei teosofi e antroposofi, di cui è vorace lettrice la collega di chimica Irina, che diviene la sua amante, dopo il fallimento del primo matrimonio. Mircea non asseconda questi riferimenti, non dà mostra di prenderli molto sul serio, quasi volesse cogliere in contropiede il lettore che, probabilmente, si aspetterebbe un’apertura di credito nei confronti di certe esperienze di confine. Non intende, evidentemente, dare risposte, ma vivere, agire le domande, coltivando il “limine”, senza mai tirarsi indietro.
E sono frequenti, in questo straniante scandaglio dell’esistente, dell’ordito indomabile, oscuro e ermetico del mondo in cui siamo stati gettati, i riferimenti agli insetti, gli esseri più estranei agli umani, di cui Bucarest, e non solo, sembra brulicare in ogni anfratto, che concentrano nel loro mistero materialità bruta e raffinatezza, alienità e profonda, viscerale familiarità. Ancora di più la fascinazione si fa strada per quelle creature che stanno tra gli insetti e i bacilli, come le varie tipologie di acari.
A questo punto si pone l’ipotesi quanto mai spiazzante che il nostro mondo, nei confronti di quello degli acari, si ponga nella stessa relazione di incommensurabilità del mondo divino – dal quale sarebbe disceso il Cristo redentore, incapsulandosi in un guscio miserrimo – e quello umano. Può quindi essere concepita l’incarnazione di un umano, di Mircea stesso, su invito del bibliotecario Palamar, in un acaro della scabbia preservata sul dorso della sua mano, per diffondere a sua volta tra questi sarcopti, ciechi e sordi, aggirantesi nelle polveri di lande desolate del derma, con le loro proboscidi, le loro escrescenze e la lentezza dei gesti, la buona novella e la promessa dell’assunzione a una dimensione molto più elevata, quella di esseri aperti ai colori, ai suoni, all’articolarsi del pensiero.
La grandiosa epifania dell’incarnazione è rivissuta infine da Mircea quando mette incinta Irina, ritrovando attraverso di lei la vertiginosa casualità che ha portato uno spermatozoo, proprio quello, a incontrarsi con l’ovulo per formare lo zigote che avrebbe configurato, sviluppandosi in embrione, lui, e nessun altro.
Da lì era iniziato il viaggio dolente ma determinato, nelle tre dimensioni, della sua essenza forse increata, come sarà per sua figlia, come è stato e sarà per tutti noi.
In questa avventura dove ogni vittoria contingente si rivelerà una sconfitta, ci si dovrà ingegnare, con l’arte, con la scrittura, nelle condizioni che ci saranno date, nel tempo e luogo assegnato, per trovare una via di fuga, per evocare, intuire e vivere, a sprazzi, la vera realtà che sta dietro a tutto, che semina tracce, simboli che noi dovremo sforzarci di collegare e comprendere, in una sorta di cosmica caccia al tesoro, per ritrovarci, non si sa quando né dove, a ricongiungerci con la nostra origine.

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

 

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