Tutti parlano di poesia

Tutti parlano di poesia

Tutti parlano di poesia

Tutti parlano di poesia

Tutti parlano di poesia, schizzo su quaderno degli appunti, by Mary Blindflowers©

 

 

 

Mary Blindflowers©

Tutti parlano di poesia

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Tutti parlano di poesia, la poesia viene dal cuore, la poesia è la moltiplicazione del sé, perepeppé, pinfete, panfete, la poesia è l’eversiva liberazione dell’ego, e poi grazie, prego, inchino, minuetto, sorrisi, pose, aria fritta e condita con vento di definizioni sempre più inutili, ammennicoli del nulla, orpelli che servono a condire l’insalata dei capelli d’angelo e mangiarseli in brodo, riflessi dentro uno spicchio di specchio opaco in cui l’immagine del sé ingigantito e impanato, arriva deforme e deformata.
Il trascendimento? Roba d’altri tempi!
Il poeta in primo piano, al centro del mondo. Un antropocentrismo sfrenato che induce moltissimi a parlare di poesia senza saperla fare, sì, perché è proprio chi non scrive poesia a parlarne più spesso, come se fosse un esperto.
Di poesie invero se ne vedono pochine ma di espertoni dell’ontologia tantissimi, e più o meno dicono tutti la stessa cosa, ribadendo il valore terapeutico della poesia come se fosse una cura per depressioni croniche, per malattie insanabili, uno sfogo emotivo per implosi, oppure una pateticamente soggettiva dimensione riflettente. Che poi cosa rifletterebbe questa benedetta poesia, la superfetazione di ego distonici?
Siamo al nulla tinto di zero, zero poeti, tanti esteti, si pattina sulla superficie, sempre.
C’è chi la butta su dio, chi sui sentimenti e chi sull’io che si trasforma nello ìo che però non è la luna di Giove ma un sottopianeta scaduto e marcito nel più loopposo (non credo si possa dire, ma lo dico) sé condito di sé caramellato e colore artefatto.
Poi ci sono gli esperti dell’imitazione, quelli che dicono che la poesia è sostanzialmente un moto imitativo e che per esser divo basta riprodurre la realtà così com’è, soprattutto se stessi s’intende, quella la prima cosa, ovviamente in un mondo di personalità fuffose. La riduzione della poesia a imitazione, la impoverisce totalmente di senso logico, perché l’imitazione scimmiotta, la poesia dovrebbe conficcarsi nell’abisso della profondità, che parolone ottocentesco! E giù litigi tra chi sostiene la teoria imitativa e chi la detesta! Si fa a capelli, si litiga, bellissimo! Almeno si è vivi! le mummie si sono mosse nelle tombe!
Tutta questa gente che s’accapiglia per stabilire chi dà la migliore definizione di poesia, fa ridere, perché non scrive poesia, chi la scrive non ha ansie definitorie, non ha bisogno di ridicolizzare l’inspiegabile, di intorcinarsi nelle catalogazioni, di immiserire l’universo e cercare di imprigionarlo dentro una bottiglia di plastica, anche perché qualsiasi cosa può essere poesia e qualsiasi uomo può essere un poeta. Con questo non voglio dire che siano tutti poeti, ma il contrario, che può esserlo soprattutto chi non te lo aspetti, non il critico, il letteratone, il guru dell’editoria, il filosofo, l’erudito, il cattedratico, ma chi è spesso fuori da queste logiche, chi non sente su di sé il peso di tutte queste definizioni da manuale, chi vive nel suo mondo che non è piatto e non è tondo.
Spesso gli accademici e i critici scrivono brutte poesie, sgorbietti innocui definiti poesia dai compagni di merende con cui insieme banchettano a pranzo e a cena. Poi tanto si fanno gli articoli sui giornali importanti lisciandosi a vicenda, lodandosi in modo stralunato e falso. E insomma, tra la massa dei plaudenti, ogni tanto, più di qualcuno si accorge che certe produzioni dei soliti noti non sono nemmeno poesia. Per questo la poesia non vende? Uno dei motivi.
Ma senza fare un minestrone, e mischiare troppe carte in tavola, e senza ritornare alla testa dell’avola o dell’alzavola che sfugge, il risultato è sempre lo stesso. Nessuno legge o fa poesia ma tutti parlano di poesia, per fare i tipi tosti e intellettuali, gli uomini e le donne che non chiedono mai ma affermano, quelli che conoscono i meccanismi della grande poesia, come se la poesia avesse meccanismi e ci fosse differenza tra grande e piccola poesia. Ma stiamo parlando di un vestito dalle misure differenti? Di un paio di scarpe? Cos’è forse la poesia, una macchina? Un orologio? Un computer che ha bisogno di pezzi di ricambio per tornare ad essere operativo ed efficiente?
E che dire degli adoratori della poesia, quelli che la poesia non si critica mai perché è come criticare Dio, ci mancherebbe! Come profanare il dito di Santa Caterina o l’osso del costato di Cristo crocefisso, intoccabile da tenere sotto una teca di vetro come uno stoccafisso salato. Siamo all’idolatropoesia, alla concezione muffosa e mummificante dei versi come un oggetto poco volante ma sempre non identificato, estraneo dalla vita e dal mondo, appartenente alla sfera divina e iperdefinito per dispetto!
Ripigliatevi!
La poesia non ha alcuna pretesa di essere adorata, vezzeggiata, nasce per essere criticata, stracciata. Mettetevela dunque sotto i calcagni, digeritela, scomponetela, stracciatela, fatela a pezzi se necessario. Basta con la mummificazione della poesia! Basta con la pretesa che rappresenti solo e soltanto il poeta senza alcun trascendimento, finitela con la negazione del talento istintivo a favore della lima che costa fatica. Il poeta non fa fatica a creare, la limatura del lavoro viene dopo l’atto istintivo della creazione. Veramente si fa fatica a sopportare tutti i pareri sulla poesia da parte di chi non fa poesia e probabilmente non sa nemmeno cosa sia.

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Rivista Destrutturalismo

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