Baccano da quelle parti

Baccano da quelle parti

Baccano da quelle parti

Baccano da quelle parti

Catene, credit Mary Blindflowers©

 

Giuseppe Ligresti©

Baccano da quelle parti

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L’area quasi trapezoidale di Stalingrado
ci dice appena che c’è stato un baccano da quelle parti,
qualcuno pensa subito alle catastrofi bibliche,
ad un’Apocalisse che include più che Sodoma, Gomorra.
Le bombe se non accecano spostano il tempo vicino all’Origine,
vicino alla creazione, ad Adamo con la clava,
a Dio – quando si lambiccava nel cercare
la soluzione ideale per costruire Agrigento.
Sono vivi nell’afa come nel gelo i mulinelli di vento
tra quel che rimane dei templi e degli edifici bombardati.

***

Sai come ronzano le bombe a Kabul,
e che frastuono fanno adesso le mosche
sui quei due corpi abbattuti due ore fa?

Sai come bestemmia un padre
quando le mosche si portano in bocca una cucitura di pelle?

Sembra orgoglioso, intanto, l’ordigno appena esploso
sopra una manciata di case,
quasi al pari del tuo cane quando gli sradicammo i testicoli.

***

La statua dei dannati è caduta per ultima,
prima hanno abbattuto quella della Luce
e quell’altra del San Michele.
Le giugulari erano di gesso da tempo,
le nubi del Castello inquinate,
hanno fatto bene a fare piazza pulita,
tra le mura – bibliche –
adesso hanno ripreso a ricamare le maglie per i morti.
Restano i tedeschi e qualche rimanenza di francesi
sulla panchina dei tisici ad immortalare i cormorani,
i giardini del Getsemani e gli infanti estratti dal rogo.
Tra i dormienti – rintanati con le bestie –
si fa largo – zoppicante – la luna,
dal Bosforo dettano ancora leggi
ed esplodono furiose le risa e le bombe,
ed io, che ho fatto fuori una bottiglia e un lenzuolo rosso sangue,
tossisco e sputo abbattendo le ali di un corvo, di un angelo,
come un cratere ubriaco.

Chi ha esteso il dolce suono della lira
accanto al canto per le salme?

Nella polvere – solitari – ci curviamo come i cani
al secondo rintocco di campana.

***

Oggi è un giorno buono per passare dal ponte
e scrivere dei fortunati (che restano a galla),
per oltrepassare le porte segrete che danno ai luoghi dell’infanzia:
mi rivedo con i denti marci,
con gli occhi fiondati sui culi appiccicati al jeans,
con la gola sfondata dai corvi in picchiata
– un missile colorato che dà allegria alle nere viscere.
Da lontano i carri passano in parata,
non distinguo se è ancora la guerra o ancora carnevale,
esco tra le fiamme dei bengala
che nel cielo nero sembrano un bel giorno dell’eternità.

Mi appaiono tutti i personaggi,
passano accanto di corsa, mi sfiorano le calcagna;
non mi vedo più, esco di scena
con – a malapena – il peso di quaranta sassi sulle spalle.

***

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