Galeazzo Gualdo, memoria, morte

Galeazzo Gualdo, memoria, morte

Galeazzo Gualdo, memoria, morte

Galeazzo Gualdo, memoria, morte

Galeazzo Gualdo, l’uomo chiamato alla memoria…, 1671, credit Antiche Curiosità©

 

Mary Blindflowers©

Galeazzo Gualdo, memoria, morte

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Reperito L’huomo chiamato alla memoria di se stesso e della morte. Memento Homo qui pulvis es, e in Pulverem reverteris, in Vienna, appresso Leopoldo Voigc, 1671, opera di Galeazzo Gualdo Priorato (Vicenza, 23 luglio 1606 – Vicenza, 1678), mi accorgo che è un testo sulla morte e sull’aleatorietà dell’esistenza umana.
L’autore, secondo le cronache, ebbe vita avventurosissima fu infatti scrittore, militare e storiografo di corte, viaggiatore instancabile e curioso. Del resto egli stesso ce lo dice nel suindicato libro nella parte dedicata al lettore:

 

Ho peregrinato molti anni il Mondo. Ho osservato gl’accidenti a giorni nostri in questo occorsi, li ho registrati con la penna e n’ho tramandato con l’Historie le notitie a chi vive e a chi nascerà dopo di Noi. Ho fatto pure le relationi particolari di molte Provincie, di varie Corti de’ Principi, de costumi di diverse nationi da me pratticate. In effetto trovo non esser nell’Universo che vanità, apparenze et ombre fugaci.

 

Guazzo aveva combattuto fin dai quindici anni nelle Fiandre e successivamente in tanti fronti di guerra e Paesi differenti su cui scriveva con curiosità di viaggiatore. Scrisse molto infatti e veniva ammirato nelle pubbliche Accademie letterarie e nelle corti dei principi. Insomma era un uomo molto popolare alla sua epoca. Sic transit gloria mundi. Oggi chi lo conosce? Giusto qualche bibliofilo.
In L’huomo chiamato alla memoria di se stesso, enuclea, con scorrevole semplicità retorica, una tesi filosofica centrale: il mondo dei beni terreni, del potere, della fama, della gloria, è fasullo. E fin qui possiamo anche essere d’accordo con lui. Gli uomini sono disposti a tutto pur di raggiungere notorietà e successo, ma l’essenza della vita forse sta altrove.
Galeazzo però utilizza queste popolari verità di base, per fare la predica ai singoli e mai alla struttura. Critica dunque, senza misericordia gli avidi, gli irriconoscenti, i falsi, gli adulatori, i maldicenti, etc. per concludere religiosamente, tanto da sembrare un predicatore, che soltanto l’amor di Dio consente all’uomo di viver bene e morir meglio.
Lo stile non è noioso, anzi, è piuttosto accattivante e ricco di esempi tratti dal mito, i contenuti però sono piuttosto stereotipati, filosofia spiccia, predica e condanna con soluzione finale aperta verso il pio pio della religione salvifica e balsamica. Il potere non viene mai intaccato. Gualdo non è così avanti, è pur sempre un cortigiano. Definisce la Chiesa di Roma un esempio da seguire:

 

Serva l’esempio di Roma dove per povero e volgare, che sia un Ecclesiastico viene nondimeno riverito e considerato, vedendosi per esperienza, che più trionfa l’humiltà, che l’alterigia, più la virtù, che le ricchezze, per ascendere alle principali, e più sublimi dignità.

 

In realtà la Chiesa Romana nel Seicento, epoca in cui scrive il nostro autore, era corrottissima e tutto tranne che umile e povera. Aveva accumulato enormi ricchezze con la vendita delle indulgenze, criticata da Martin Lutero nelle sue 95 tesi. I roghi dell’Inquisizione erano ancora belli vispi e scoppiettanti. Papi e alti prelati vivevano nel lusso, dimentichi della povertà dei fedeli e molto impegnati ad esercitare la loro avidità.
Fin dal Medioevo la critica alla corruzione di Roma, era diventata un vero e proprio topos letterario.
In Decameron (I,2), il personaggio di Boccaccio, Abraham ebreo, dice comicamente di volersi convertire al cristianesimo perché, se nonostante tutta la sua corruzione, ancora la religione dei Papi, poteva resistere, giudicava che ironicamente valesse la pena convertirsi:

… niuna santità, niuna divozione, niuna buona opera o esempio di vita o d’altro, in alcuno che chierico fosse, veder mi parve; ma lussuria, avarizia o gulosità, e simili cose e piggiori (se piggiori esser posson in alcuno) mi vi parve in tanta grazia di tutti vedere, che io ho più tosto quella per una fucina di diaboliche operazioni che di divine… e perciò che io veggio non quello avvenire che essi procacciano, ma continuamente la vostra religione aumentarsi, e più lucida e più chiara divenire, -meritatamente mi par discernere, lo Spirito Santo esser d’essa… Per la qual cosa, dove io rigido e duro stava a’ tuoi confronti, e non mi volea far cristiano- ora tutto aperto ti dico, che io per niuna cosa lascerei di cristian farmi.

Cattolicesimo e verità storica non sono mai andati molto d’accordo.

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