Anita Seppilli, senso perduto?

Anita Seppilli, senso perduto?

Anita Seppilli, senso perduto?

Anita Seppilli, senso perduto?

A. Seppilli, Alla ricerca del senso perduto, Sellerio, credit Antiche Curiosità©

 

Mary Blindflowers©

Anita Seppilli, senso perduto?

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Anita Seppilli, Alla ricerca del senso perduto, pubblicato da Sellerio, 1986, è davvero uno di quei libri di saggistica, chiamiamola così, per cui ti chiedi, “ma come hanno fatto a pubblicarlo?” Un testo totalmente incoerente, senza capo né coda, che inizia ex abrupto in questo modo: “La carica emozionale dell’intera Iliade sembra convergere tutta come un torrente dai mille rivoli, verso la scena delle onoranze funebri rese a Patroclo dopo la morte dell’eroe”, e già dici: “ma cosa sta dicendo?” poi continui a leggere e ti accorgi di essere immersa fino al collo dentro un minestrone contenutistico che sembra una dispensa per studenti universitari un po’ tonti. L’autrice ripropone infatti vari pezzi presi dall’Iliade sul “dono”, giusto perché il capitolo si intitola “Donare in Grecia”. Non c’è prefazione, nulla, non si ha il minimo sentore che forse il lettore andrebbe preventivamente informato sulla tesi che il saggio vorrà sostenere, magari con due note di introduzione, giusto per capire di cosa si stia parlando. La Seppilli butta sulla carta la frase sulla centralità emotiva dell’uccisione di Patroclo e poi continua, imperterrita, come se stesse parlando da sola, e passa dalla circumambulazione, ai Giochi Olimpici fino all’ambiguità di certi episodi dell’epica greca, senza un ordine, senza un senso, lo stesso forse che dichiara di voler ritrovare nel titolo.

Il lettore vorrebbe capire qualcosa.

Dopo un’arida carrellata di esempi classici, si parte con le citazioni accademiche sul dono, citando Germain, Mauss, tanto per allungare il brodetto, poi Senofonte e Tucidide, Tolstoj, un po’ di tutto, in una confusione espositiva e con una prosa talmente noiosa e piatta, che andare avanti diventa una sofferenza. Quindi per la gioia del vero masochista, passa alle domande oziose che necessiterebbero di un saggio psicanalitico soltanto per capirne l’utilità:

 

Come dunque riscattare il significato originario delle istituzioni esimendosi dall’ampliare drasticamente – anche tuttavia con attenta circospezione – i nostri orizzonti? Senza almeno interrogare il tesoro di esperienze relative a culture più arcaiche della nostra, conquistato dall’etnologia? Senza tentar di illuminare anche nel fascio di queste luci – e più ancora di quanto sino ad oggi non si sia fatto – problemi ed episodi considerati di fantasia? Una loro comprensione più profonda, avvierebbe anche ad una più intensa fruizione estetica…

 

Ma passiamo al capitolo secondo dedicato a Prometeo. Apre il capitolo spiegando cosa ha fatto nel primo, non poteva dircelo direttamente nel primo? Misteri! Poi salta subito al Nord-America, convintissima di aver sorpreso il lettore con interpretazioni audaci e insolite:

 

Nel primo capitolo abbiamo cercato di sorprendere in atto nella sua complessa rigogliosa fioritura, uno schema di rapporti sociali e di comportamenti che reggono l’intera vita comunitaria nell’epica omerica; essi risultano inattesamente simili a quelli documentati dagli etnologi rispetto ad un’ampia area abitata ancora da gruppi etnici indiani del Nord-America… un parallelismo non certo meno esteso si riscontra nel linguaggio simbolico dei miti, parallelismo, che può suggerire interpretazioni diverse da quelle comuni per ciò che riguarda il complesso mito di Prometeo…

 

Peccato che l’autrice non aggiunga niente di nuovo all’abusato mito prometeico, tranne minestronosi quanto improbabili accostamenti, i “parallelismi” appunto, tirati veramente per i capelli che le sono rimasti in mano a ciocche. Dopo aver copincollato un pezzo della Teogonia tradotto da Ettore Romagnoli, cita Rabelais, ma lo cita non perché possa collegarlo al testo di cui parla ma perché, udite, udite, “la parte da Prometeo destinata agli dei è davvero la migliore!” un po’ come il sostanzioso midollo rabelaisiano.
Non posso fare a meno di ridere,  specialmente quando passa da Prometeo a Rabelais e poi al midollo che Astianatte mangiava assieme al grasso di becco (Iliade XXII, VV. 500-501) o alla Genesi, (45, 18) in cui si parla del midollo della terra o all’Odissea che alludendo al pane, parla di pane-midollo, (Od. II, 290), e ancora, per il tormento del lettore, a Euripide che parla dell’intimo midollo dell’anima (Ippolito 255). Poi si lancia in una disquisizione sul midollo e sulla carne che, con Prometeo non c’entra proprio nulla, ma riempie le pagine per essere pubblicata, perché pubblicare è utile agli accademici.
E ho come il forte sospetto che questa “ricerca di senso perduto” fosse solo una serie di appunti buttati giù senza troppa coerenza, per gli studenti, appunti che Sellerio ha pensato bene di pubblicare soltanto perché scritti in ambito accademico. Si vede che il criterio di selezione anche negli anni 80 era quello del conta chi lo scrive non cosa c’è scritto.

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Comments (2)

  1. Mariano Grossi

    I funerali di Patroclo fulcro dell’ispirazione omerica sin dal primo libro. Boh? Ma i funerali di Patroclo sono al massimo una delle conseguenze, forse la più grimaldellica per la risoluzione dello stallo decennale del grave sgarro fatto da Agamennone all’amasio di Patroclo. La scena rebellistica di Tersite, quella di Ettore tra Andromaca ed Astianatte, l’afflato materno di Teti per far costruire nuove armi da Efesto al figlio a me sembrano i pezzi più coinvolgenti, assieme alla preghiera di Priamo ad Achille per riottenere le spoglie del massacrato Ettore. Li cita sti pezzi la Seppilli?

  2. GIANCARLO

    Ci vuole un nome, senza un nome l’editore non pubblica, non gli conviene. Bisogna farsi tante domande.

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