Camporesi, Le officine dei sensi

Camporesi, Le Officine dei sensi

Camporesi, Le officine dei sensi

Camporesi, Le Officine dei sensi

Camporesi, Le Officine dei sensi, 1985, credit Antiche Curiosità©

 

Mary Blindflowers©

Camporesi, Le Officine dei sensi

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Piero Camporesi, Le Officine dei sensi, Il corpo, il cibo, i vegetali. La cosmografia interiore dell’uomo. Le meraviglie degli elementi archetipi. Un’avventurosa esplorazione fra iconologia e antropologia, Garzanti, serie Saggi blu, prima edizione maggio 1985, 236 pagine.
Il titolo e il sottotitolo non deludono le attese. Con il suo stile scorrevole, ricco di aggettivi e citazioni prese direttamente dai libri antichi, Camporesi accompagna il lettore nell’analisi delle suggestioni simbolico-religiose del cibo e non solo, spostando l’attenzione dalla medicina alla religione, dal tavolo dove si eseguivano dissezioni anatomiche, all’anticucina dei santi, vissuta come deliziosa malattia privativa, avidità del dolore.
Un’indagine sul corpo e sulla sua scoperta, dunque, dalla mela, al formaggio, dai cibi come sentore d’ogni vizio per gli anacoreti, fino all’assassinio a scopi di studio.
Si legge facilmente, Camporesi, inoltre evita il citazionismo di altri accademici, moda invece oggigiorno molto in voga tra i cattedratici che, come formiche impazzite, si citano continuamente tra loro, finendo col ripetersi a loop ed elaborando saggi tutti uguali in cui l’uno cita l’altro e l’altro cita l’uno, circolo vizioso da cui il lettore non riesce a uscire senza stancarsi. Camporesi invece preferisce sempre fonti di prima mano che dal vivo offrono l’idea precisa di ciò che vuole comunicarci.
Il messaggio è preciso, alieno da tecnicismi o ipotesi fantascientifiche. Altro pregio dell’autore è quello di attenersi ai fatti, di non ipotizzare sulla base di assonanze linguistiche o di labili tracce, ma di utilizzare sempre fonti certe ed esplicite, col risultato di offrire al lettore una saggistica precisa e frizzante, apprezzabile anche stilisticamente e ricca di curiosità. Per esempio, oggi si parla tanto di criogenesi, ma non è una invenzione recente. Già in tempi antichi si fantasticava di ibernazione collettiva, sospensione della vita poi ripresa al disgelo:

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Alli 27 di novembre per l’eccesso della freddezza brumale, cadendo come morti, giacciono per tutto l’inverno fino al fine d’aprile, e così per lo spacio di cinque mesi congelati e dormenti, con pituita stillatagli dalla testa e agghiacciatagli sott’il naso, e così d’ogni cibo digiuni, sin che disciolto il gelo dell’aria ch’occupa li lor membri e riaperte le porosità del corpo, che chiuse il nativo calore tengono nelle viscere concentrato, ritornano a i soliti uffici della vita, coll’alzare quasi resuscitando il capo e col riassumere le pristine usanze loro, tanto del cibare, quanto d’ogni altra faccenda… (Camporesi cita G. Imperiale, Le notti beriche overo de’ quesiti, e discorsi fisici, medici, politici, historici, e sacri libri cinque, Venezia, P. Baglioni, 1663).

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Molto interessante anche il paragrafo dedicato alle dissezioni anatomiche. Il Rinascimento che, nell’immaginario collettivo, suscita idee di raffinata opulenza e splendore dell’arte, specialmente in Italia, è stato però anche il secolo delle sperimentazioni sui vivi che venivano drogati e incisi sul tavolo dell’anatomista, il quale non aveva alcuno scrupolo morale a incidere o avvelenare la carne viva di un condannato e la Chiesa non aveva nulla da obiettare, anzi incoraggiava la faccenda: “L’assassinio a sangue freddo perpetrato su gens sans aveu, su criminali, uomini di strada e di forca, non era affatto sentito come azione infamante… Questa triste chirurgia praticata sui vivi e i paralleli esperimenti chirurgico-farmacologici a base d’oppiacei e d’altre sostanze narcotizzanti sperimentate sui condannati a morte che affidati… al coltello settorio, venivano sezionati e smembrati durante il greve sonno indotto dalle pozioni soporifere, per quanto possano sembrare agghiaccianti, aprirono tuttavia la strada verso le dolci e indolori anestesie dei nostri giorni”.

La dissezione su uomini e donne vive faceva parte dei disegni del ricercatore capace di trovare Cristo nei meandri del corpo umano: “Il vicario di Cristo, il medico Clemente VII, fu tra questi solerti osservatori dei micidiali effetti dei veleni sulla pelle di gente sventurata e disperata:

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Fra Gregorio Caravita bolognese… comandò che fosse dato il veleno a due corsi assassini, i quali dovevano essere impiccati e che con costoro se ne facesse l’esperienza. De’ quali quello che più napello si mangiò in un marzapane, volsero i medici che fosse unto nell’olio; e quello, che meno, volsero per vedere l’effetto del veleno, lascia morire senza rimedio alcuno. E così in termine di poche ore. Questo se ne morì miseramente, con tutti quei crudelissimi accidenti che Avicenna scrive fare il napello, de’ quali quantunque ne venissero assai a quello che fu unto, nondimeno fu egli per tal unzione liberato in tre giorni (Camporesi cita P. A. Mattioli, Discorsi ne’ sei libri di Pedacio Dioscoride Anazarbeo della materia medicinale, Venezia, Niccolò Pezzana, 1744).

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Dall’ambiente anatomico si passava a quello culinario. Nel Cinque e Seicento non si aveva l’impressione di un cambiamento d’ambiente perché sia l’anatomista che il cuoco, usavano gli stessi strumenti, per spellare, sminuzzare, sbudellare, incidere, disossare, etc. Così tormento ed estasi si congiungevano. I piaceri della tavola nascevano dalla tortura e dalla dissezione di carne morta o viva. Gli anacoreti rifiutavano il contatto con la sensualità della cucina, arrivando all’anticucina, la condizione patologica del santo che rifiutava il cibo considerato veicolo di peccato. Si arriva così a un San Vincenzo di Paolo, per citarne uno, un esaltato della fede, un malato in Cristo, che sacrifica la salute alla tetra religione della sofferenza, come è scritto in Ludovico Abelly, Della vita di San Vincenzo di Paolo:

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V’è ancora una certa passione che domina in molti, alla quale dobbiamo rinunziare, ed è il desiderio smoderato di conservare la salute e star bene, e la cura eccessiva di fare il possibile e l’impossibile per la conservazione del proprio individuo; imperocché questa sollecitudine instancabile e questo timore di soffrire un qualche incomodo che si vede in taluni… sono grandissimi impedimenti al servizio di Dio.

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Un viaggio interessante. Non perdetevelo.

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Rivista Il Destrutturalismo

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