Morti di fama, morti di fame

Morti di fama, morti di fame

Morti di fama, morti di fame

Morti di fama, morti di fame

Rabelais, Gargantua e Pantaguele, Formiggini, 1925, credit Antiche Curiosità©

 

Mary Blindflowers©

Morti di fama, morti di fame

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Ne Il terzo libro dei fatti e detti eroici del buon Pantagruele composto da Mastro Francesco Rabelais dottore in medicina e Calloier delle Isole Hières, c’è un capitolo in cui è evidenziata molto bene la condizione dell’intellettuale fuori dal coro, utilizzando il motivo della fame, vero e proprio pretesto metaforico per una polemica sottile, intelligente, nervina e mai caprina:

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[Gargantua] ci offriva l’esempio d’un filosofo che pensa essere la solitudine e fuor della turba per meglio commentare, discorrere e comporre, mentre tuttavia intorno a lui abbaian cani, ululano lupi, ruggiscono leoni, nitriscono cavalli, barriscono elefanti, sibilano serpenti, ragliano asini, cantano cicale, gemono tortorelle; vale a dire ch’è più disrturbato che se fosse alla fiera di Fontenay o di Niort, poiché la fame è nel suo corpo; per rimediare alla quale lo stomaco abbaia, la vista abbaglia, le vene succhiano della sostanza propria degli organi carniforni e traggono giù lo spirito vagabondo che trascura la nutrizione del suo bimbo e ospite naturale: il corpo (F. Rabelais. Gargantua e Pantaguele, Vol. III, prima versione integrale di Gildo Passini, Formiggini, 1925).

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Il bello della letteratura è che finisce con l’acquisire un significato universalmente imperituro perché cambiano le epoche, si susseguono le stagioni, si modificano i climi, ma la natura umana rimane più o meno sempre la stessa.
Rabelais è un finissimo indagatore di caratteri che fa dell’allusione arte sublime e gioco parolaio e paroliere da quel giocoliere sveglio e attento che è.
Descrive dunque sotto il velo delle storie fantastiche e grottesche, la verità del suo tempo che poi diventa verità di altri tempi, pure, ovviamente, della nostra.
Se anche oggi non si fa parte di un gruppo di cani che abbaiano, lupi che ululano, leoni che ruggiscono, cavalli che nitriscono, elefanti che barriscono, serpenti che sibilano, asini che ragliano, cicale che cantano, tortorelle che gemono, e via dicendo, si diventa automaticamente “morti di fame”. Poi i più fantasiosi aggiungeranno insulti ad insulto, improvvisandosi psichiatri, moralisti, censori, bigotti, bacchettoni, codini, bigodini, irrispettosi petosi e un po’ pietosi, un po’ di tutto insomma. I più arditi arrivano a minacciare.
L’outsider diventa così, “strano”, “bipolare”, “senza morale”, “pazzoide”, “troll”, “fuori di testa”, “con problemi mentali”, etc. etc. Ritengo tuttavia che l’espressione “morto di fame” rimanga la prima in classifica nella gerarchia insulti gratuiti per intellettuali dissidenti, siamo insomma al top del topos topico. Soprattutto perché la frasetta magica viene usata dai “morti di fama”, scrittorucoli e intellettualetti che farebbero di tutto e di più, unzione di deretani e aspirazione di peti del padrone compresa, pur di ottenere un posticino un poco più in vista in un angolino di sole malato.
Si assiste così allo spettacolo poco edificante di innumerevoli “morti di fama”  in concerto. La morale è settaria, sempre connessa ai social attimo per attimo, nanosecondo per nanosecondo, ma supersconnessa dal cervello e da ogni più piccola sinapsi. Si tratta di individui incapaci di stare da soli, sganciati da ogni libertà intellettuale, incapaci di incassare la minima critica senza offendere l’interlocutore. Dicono di essere sempre molto educati con la loro giacchetta e cravattina in ordine o le loro maglie con coccodrillo incluso compreso nel prezzo.
Subnullisti deboli, fragili, ipergonfiati in pose photoshoppate, mentono, imbrogliano le carte, fanno diagnosi psichiatriche gratuite sui social, ungendosi la lingua nelle chat, perché ciò che si finge in pubblico non si dice in privato, sbandierando diffide del tutto fantasiose a manca e a destra per darsi un tono imperiale e imperioso imperialmente parlando e sparlando tra uno sparaflash e un commento tra il trash e l’altolocato con tossetta, cheese-foto con fossetta affossatrice.
I subnullisti “morti di fama” litigano tra loro, quelli seduti alla destra del Padre lanciano improperi contro quelli seduti alla sua sinistra, si insultano a vicenda: accuse di incapacità letteraria o poetica, di stupidità, di idiozia, etc., ma entrambi giurano odio imperituro a tutti i “morti di fame” del pianeta che capiteranno loro a tiro, mentre dopo un giro in paglia e una piroetta, cercano di stare sempre a galla e sulla cresta dell’onda, previo sincronizzato nuoto di gruppo.
“I morti di fame” non se ne preoccupano. Per loro la priorità non è mangiare perché non sentono nemmeno la fame né muoiono mai pur morendo, vivono semplicemente l’attimo senza patemi. Muovono la Camarina con la penna e stanno a guardare il tempo che passa. Si dichiarano esperti del nulla, lasciando ad altri le discettazioni sul tutto e sul so-strutto-tutto, mentre scrutano “i morti di fama” di un gruppo e dell’altro che si fanno la guerra picrocolina dentro il buio denso di una realtà peripatetica che spera di incidere un tempo friabile, realtà nata sfaldata e sfaldabile sotto desideri e complessi di fama del tutto illusori, fittizi e privi di spessore intellettuale e di profondità umana.
Mentre “i morti di fama” si abbandonano allo sprecodio, ossia spreco di energie nell’odio inutile, “i morti di fame” non sono capaci di odio ma solo d’amore sincero verso i propri detrattori, perle e motori di nuovi gesti creativi. Lode lode lode ai detrattori, lunga vita a loro, ai loro motori già spenti, ai loro immaginifici commenti, ai loro pimenti di rabbia repressa, alla loro stessa faccia impressa in un vuoto di bile.
Personalmente amo i miei detrattori, e giuro sul dio in cui non credo, magnificamente, li quoto.

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https://antichecuriosita.co.uk/il-destrutturalismo-punti-salienti/

https://en.calameo.com/books/0062373361d7556bb3ead

 

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