Panurgo, dama, misoginia, animali

Panurgo, dama, misoginia, animali

Panurgo, dama, misoginia, animali

Panurgo, dama, misoginia, animali

Rabelais, Gargantua e Pantagruel, vol. II, Formiggini 1925.

Mary Blindflowers©

Misoginia e crudeltà nel Panurgo rabelaisiano

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Panurgo che nella definizione da dizionario è diventato sinonimo di furfante e imbroglione, dall’opera rabelaisiana, non è soltanto un ladro, uno sbeffeggiatore di filosofi saccenti e di poteri ecclesiastici che offrono indulgenze in cambio di moneta sonante, il che ce lo rende simpatico, ma pure un odioso misogino che maltratta e uccide animali, il che lo fa apparire agli occhi di un lettore contemporaneo veramente disgustoso. Si tratta di un personaggio ambivalente che riflette umori e pensieri non sempre edificanti dell’epoca rinascimentale.
La donna nel 500, esattamente come quella medioevale, era merce di scambio per matrimoni di interesse, soggetta all’autorità del padre e poi del marito di cui spesso doveva essere l’ombra, adattandosi, almeno in teoria, ad una paziente sottomissione. La letteratura si muoveva tra filoginia e misoginia diventate topos letterari.
Nel capitolo XXI di Gargantua e Pantagruele, Panurge si innamora dunque di una dama parigina e si propone a lei in modo veramente osceno:

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Signora, sarebbe cosa a tutta la repubblica utilissima, a voi dilettevole, decorosa al vostro casato e a me necessaria che voi foste coperta dalla mia razza; credetelo, poiché l’esperimento ve lo proverà.

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Ovviamente la dama, sentendosi brutalmente aggredita dalla volgarità di Panurgo, lo respinge:

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-Brutto matto, chi vi dà il diritto di tenere simili discorsi? Andatevene e non vi trovate mai più sulla mia strada; ancora un po’ e vi farei tagliare braccia e gambe.

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Panurgo non desiste, rafforza le allusioni volgari e diventa ridicolmente pesante:

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-Che cosa mi importerebbe di gambe e braccia tagliate, purché facessimo, voi ed io, un’oncia di baldoria insieme, accordando i nostri strumenti? Ci ho qui, guardate (e mostrava la braghetta), ci ho qui l’amico giannettone, che vi suonerebbe un ballo di cui sentireste l’armonia fino al midollo delle ossa. Egli è galante e vi sa così ben scovare tutti gli alibi del foro e i bruscoli della filiberta che dov’è passato lui non c’è più nulla da spazzolare.

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La dama giustamente lo scaccia, minacciandolo di farlo tempestare di botte.
Panurgo diventa sempre più insistente, tagliandole pure i grani del rosario per portali al rigattiere. Dopo essere stato di nuovo respinto, va in bestia:
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-Merda a voi! Non meritate il gran piacere e onore di avermi; ma per Dio vi farò montare dai cani.

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Nel capitolo successivo, il XXII, Panurgo gioca un brutto scherzo alla dama seguendo l’antico detto magico popolare:

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Ut canes mingant super vestes alicuius hominis vel mulieris, accipe pinguedinem matricis caniculae dum estin amore seu in calore et sibi unge vestimenta vel calciamenta.

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Dunque il bastardo uccide una cagna in calore e ne fa minutissimi pezzi, prepara una carta con un rondò da dare alla dama, la raggiunge in chiesa, la saluta molto cordialmente, le porge il foglio e mentre la dama apre il foglio per vedere cosa sia, le cosparge le vesti con la droga fatta dai pezzi di cagna. In seguito a questa azione:

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… cani piccoli e grandi, grossi e sottili tutti venivano sguaianando il membro, fiutando e pisciando su di lei: era la più gran villania del mondo… I sozzi cani scompisciavano tutti i suoi vestiti; un gran levriere le pisciò sulla testa, altri sulle maniche, altri nella schiena, e i piccoli sui calzari. Tutte le donna là intorno avevano un bel daffare per salvarla. E Panurgo a ridere.

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Panurgo allunga perfino calci a tutti i cani che trova per le strade raccomandando loro di andar coi loro compagni a nozze. Anche Pantagruele trova “bello e nuovo” lo scherzo di Panurgo. Entrambi si divertono a vedere seicentomila e quattordici cani che fanno alla povera dama mille diavolerie:

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… tutta la gente si fermava allo spettacolo considerando l’ammattire dei cani che le montavano fin sul collo e le sciuparono tutti I suoi belli ornamenti, onde ella non seppe trovar altro rimedio che ritirarsi in casa. E i cani dietro, ed ella a nascondersi e le cameriere a ridere1.

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Il lettore contemporaneo resta indeciseo se ridere di fronte all’iperbolica ed innegabile comicità letteraria del testo o rimanere disgustato sia dalla violenza contro gli animali, che viene percepita come normale, sia dalla carica misogina dello scritto.

Non si può fare a meno di porsi delle domande. L’uomo e la donna del rinascimento che reazioni avevano di fronte a questi episodi?

Possiamo concludere soltanto con la lezione di Montaigne, valida ancora oggi per tutti gli uomini e le donne di buona volontà:

… Noi dobbiamo giustizia agli uomini, e grazia e benignità alle altre creature che possono esserne suscettibili… Non è per un vero ragionamento, ma per una folle superbia e ostinazione che ci mettiamo al di sopra degli animali e ci isoliamo dalla loro condizione e compagnia. Noi abbiamo, per parte nostra, l’incostanza, l’irresolutezza, l’incertezza, il dolore, la superstizione, la preoccupazione per le cose future, per l’al di là, cioè; l’ambizione, l’avarizia, la gelosia, l’invidia, i desideri sregolati, forsennati e indomabili, la guerra, la menzogna, la slealtà, la calunnia e la curiosità. Certo, abbiamo davvero strapagato quella bella ragione di cui ci gloriamo, e quella capacità di giudicare e di conoscere, se l’abbiamo acquistata al prezzo di questo numero infinito di passioni delle quali siamo continuamente in preda… Quanto a me, non ho mai potuto veder senza dispiacere inseguire e uccidere neppure una bestia innocente, che è senza difesa e dalla quale non riceviamo alcuna offesa. E quello che accade comunemente, che il cervo, sentendosi senza fiato e senza forza, non avendo più altro scampo, si rimette e si arrende a noi stessi che lo stiamo inseguendo, chiedendoci grazia con le sue lacrime, […] questo mi è sempre sembrato uno spettacolo spiacevolissimo2.

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Note

1 Tutte le citazioni son tratte dalla traduzione di Gildo Passini, Gargantua e Pantagruele, vol. II, Formiggini, 1925.

2 Michel de Montaigne, “Della crudeltà”, in Saggi, tr. it. di F. Garavini, Adelphi, 1992, II, 11, pp. 553-560.

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https://antichecuriosita.co.uk/il-destrutturalismo-punti-salienti/

https://en.calameo.com/books/0062373361d7556bb3ead

 

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