Critica, critici, accademici, giornalisti

Critica, critici, accademici, giornalisti

Critica, critici, accademici, giornalisti

Di Mary Blindflowers©

 

Critica, critici, accademici, giornalisti

La fantasmata concezione, mixed media on wood by Mary Blindflowers©

 

Il supremo valore della critica, la critica come elemento irrinunciabile della dinamica letteraria, quella che ti dice autorevolmente se un testo è degno di essere letto oppure no, se si tratta di un testo letterario oppure no.
“Come facciamo a sapere se il nostro testo funziona? Se vale? Ecco c’è il critico autorevole”, parole pronunciate con convinzione da chi dirige riviste di letteratura e di poesia.
Il critico autorevole…
Da dove viene questa parola magica? L’autorevolezza, una garanzia insomma. Ma è davvero così semplice? C’è uno che scrive e uno che critica? A ciascuno il suo posto? Fermo restando il fatto che alcuni critici scrivono anche poesie pessime per poi aggiudicarsi il diritto di criticare le pessime poesie altrui, mi viene il dubbio che il concetto di critica sia piuttosto sfuggente e lo sia su diversi piani del ragionamento logico.
Prima di tutto il concetto di autorevolezza cosa significa?
Che certi tipi umani hanno conquistato non si sa bene come il diritto di scrivere su giornali a tiratura nazionale, sono giornalisti oppure accademici.
Sorvoliamo sui meccanismi che li hanno portati a essere quello che sono, specialmente in Italia, perché si sa una cattedra non si nega a nessuno che abbia amici. Del resto l’università non è forse un’impresa a conduzione familiare?
Sono autorevoli, lo ha detto dio, lo ha stabilito il partito, quindi facciamo finta di crederci.
Ma questi autorevoli di chi si occupano?
Tu scrivi e loro si occupano di te che sei un pinko palla tra altri innumerevoli pinko palla che scrivono poesie, saggistica o altro?
Certamente no, non funziona così. Il pinko palla che non pubblica coi grossi editori non verrà mai recensito da un critico autorevole, quindi dire che la critica serve per sapere se un testo sia letteratura oppure no, è frase che non corrisponde al vero, a meno che non pensiate che soltanto l’upper class produca letteratura e tutti gli altri, per il solo fatto di non essere upper class, spazzatura.
Nessun critico autorevole dunque ti dirà mai nulla se non pubblichi con un grosso editore o comunque con un editore che conosce perlomeno il direttore del giornale nel quale vuol far mettere la recensione per un suo prodotto editoriale. Il critico autorevole nemmeno sa che pinko palla esiste, non se ne preoccupa, perché il suo scopo non è far trionfare la letteratura e la cultura nel mondo, ma semplicemente recensire persone che hanno già trionfato nel mondo, perché sono del suo stesso partito, persone a cui è stata fatta già ampia pubblicità preventiva mediatica, un po’ come accade ai film di Zalone, di qualità scadentissima ma pubblicizzati mesi prima dell’uscita ufficiale con trasmissioni ad hoc in cui tutti fingono di scandalizzarsi in un gioco già preparato da tempo, in modo poi che si incassi al botteghino.
La critica con la c maiuscola, secondo i benpensanti, sarebbe quella degli accademici che sanno sempre tutto perché hanno accesso agli archivi, trovano documenti, fanno fare le ricerche agli studenti più bravi, copiano quelle ricerche e le mettono nei loro libri, insomma sanno il fatto loro e lo fanno senza conseguenze, da secoli. Fanno anche critica letteraria a circolo chiuso. Le loro bibliografie hanno solo nomi di accademici, l’accademico cita in bibliografia solo l’accademico, perché l’accademico è l’unto del signore, il prescelto, l’eletto. Però attenzione, ci sono le correnti e le guerre interfacoltà, insomma c’è la politica e la religione che è ad essa collegata, quindi la critica su uno stesso testo spesso trova interpretazioni diverse a seconda del punto di vista o di svista dell’accademico. Ecco allora l’accademico X che polemizza con quello Y e il primo dice una cosa e il secondo ne dice un’altra completamente opposta sullo stesso classico. La manipolazione sul testo da opinione diventa scienza esatta che si insegna anche. Ovviamente ciascun cattedratico propinerà la sua interpretazione ai suoi studenti e lo studente di un prof. dirà che il cielo è blu con sfumature violette, mentre lo studente dell’altro prof. sosterrà esattamente il contrario, ossia che è violetto con sfumature blu. Critica, controcritica, battibecchi simili a quelli dei padri della Chiesa su come abbia fatto la testina di Cristo a uscire dal ventre della Vergine Maria lasciando intatto l’imene, spesso intricate questioni oziose. Tutto questo mentre negli atenei si muovono pedine, i concorsi sono faide precotte, la politica il piatto del giorno, le guerre tra correnti il menù principale e le parentele di sangue l’antipasto da servire freddo con contorno di tessere.
Il carteggio Russo-Binni (L. Russo-W. Binni, Carteggio 1934-1961, a cura di Lanfranco Binni e Raffaele Ruggiero, Pisa, Edizioni della Normale, 2014) a questo proposito è illuminante, specie nella parte in cui Russo parla di Aldo Capitini, fervente antifascista e panteista della non-violenza di stampo ghandiano, che Russo descrive come un povero ingenuo afflitto da “congenita scemenza”, “liberalconfusionismo”, “prigioniero del suo sogno di uomo clandestino”.
Russo era il perfetto modello tipo di professore universitario che esiste oggi più che mai, che sapeva muoversi molto bene nella politica reale, tessendo e scombinando alleanze, neutralizzando inimicizie, indirizzando incarichi, un mago dell’opportunismo e del trasformismo che mischiava la politica con la cultura in un’amalgama che gli permise di giostrare assai bene nell’Italia del dopoguerra, tra gli alleati e Gentile.
In una lettera autografa inedita su carta intestata della rivista Belfagor, datata 2 luglio 1947 e indirizzata a Barbara Reynolds, Russo si rivolge alla famosa lessicografa privandola del titolo: “Gentile Signorina”, retaggio di una mentalità fascista e misogina in cui la donna doveva essere sminuita, in quanto donna. Subito dopo le comunica che siccome per andare in Inghilterra avrebbe dovuto spendere ben “100.000 lire italiane”, un costo esagerato, sarebbe ricorso alla raccomandazione di un suo amico: “io, più in là mi metterò d’accordo con il mio amico ambasciatore Carandini, per vedere se in qualche modo può agevolarmi in questo viaggio per l’Inghilterra”…
Questi sono i critici seri, quelli che decidono cosa è letteratura e cosa no, mentre chiamano un ambasciatore per avere uno sconto fuori mano su un biglietto aereo privato secondo il metodo ho un amico che…
E voi ce l’avete un amico che…?

https://antichecuriosita.co.uk/il-destrutturalismo-punti-salienti/

 

https://www.repubblica.it/scuola/2010/09/24/news/parentopoli_atenei-7372673/

 

Comment (1)

  1. Mariano Grossi

    κριτικός da κρίνω, io giudico; aggettivo che indica la attitudine di un tale a giudicare il lavoro e l’operato di un altri; il problema è a quel punto la modalità con cui a sua volta debba venire giudicato un giudicante, la su autorevolezza che deriva da augeo, io aumento; qual è la chiave auxologica del credito di un critico? Credo che in Italia la Blindflowers l’abbia descritta abbastanza fedelmente e dettagliatamente!

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