Campi dei non beati

Campi dei non beati

Campi dei non beati

Di Gaetano Altopiano©

 

Campi dei non beati

Antique Ivory Gazelle, detail, credit Antiche Curiosità©

 

Qui cant l’Est, qui beve l’occidente

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Si è aperta nella vostra città una mostra d’arte che ha perlomeno del surreale. L’autore espone più di mille disegni in bianco e nero tutti perfettamente uguali; stesso soggetto, insomma, ripetuto più  di mille volte di fila dall’ingresso dell’atelier alla fine: sempre la stessa faccia nel medesimo atteggiamento in un riquadro di venti centimetri per venti di cartoncino. Scopo della mostra è fare esplodere il cervello ai visitatori.  Là, nella vostra schifosa città dalle gallerie da più di mille disegni in bianco e nero tutti perfettamente uguali. Dove pezzi di cranio e crema grigia si appiccicano alle suole delle scarpe nei gradini all’uscita. Ma anche sulle guarnizioni di gomma delle porte di sicurezza che danno sulle strade laterali. E nei bagni dei signori, sugli specchi delle tolette e sui pulsanti dei soffioni. Dove bevono i ragazzi dell’est e cantano le signore occidentali.

Campi dei non beati

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Al numero 78 di Halsford street – a Winchester, nel Regno Unito – in una casa dei primi del novecento, vive il signor Malcom McCumber dei McCumber di Winchester, ciabattino in pensione. Un uomo – nonostante la mancanza di studi appropriati – conosciuto in tutto il quartiere per le sue riflessioni particolarmente profonde. Il più grande dei suoi dilemmi, da che ha acquistato la facoltà di porsi problemi, diciamo quindi fin dalla sua adolescenza, è sempre stato il seguente: perché io, solo io e nessun altro, sono Malcom McCumber dei McCumber di Winchester? E come mai, invece, io non sono nato qualcun altro? Domanda alla quale, ovviamente, né lui né altri hanno mai saputo rispondere. Raggela, certo, se pensa come l’abbia scampata bella a non essere nato, che ne so, Goeffry Blomber, il dirimpettaio di centocinquanta chili, o Daniel Loryell, che vive proprio due case sotto, giocatore abietto e sconsiderato. E pensa di essere stato fortunato, tutto sommato, a essere nato quello che è. Ma questo non attenua l’entità del quesito, ne risolve semmai solo una parte, e il dubbio – nel suo aspetto drammatico – continua a roderlo anche nella vecchiaia. Da ultimo assumendo addirittura il sembiante dell’ossessione. Per esempio quando la sera la moglie gli prepara il solito pediluvio e lui, prima di chiudere gli occhi e abbandonarsi a quel piacere infinito, si domanda sempre più spesso cosa sarebbe stato se fosse nato padre, fratello, o figlio di sé stesso.

I miei cugini a Nan-Chin

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Se penso che l’etimologia può dirci quasi tutto della provenienza e dell’evoluzione semantica e fonetica di una parola – in modo più o meno attendibile – tranne il motivo vero per il quale fu pronunciata la primissima volta, cioè niente riguardo al perché i suoni x – xa – xb, per esempio, furono originariamente accoppiati a un concetto, a un animale o a una cosa affinché fossero definiti, piuttosto che a un altro concetto, a un altro animale o a un’altra cosa, definiti invece con i suoni y – ya – yb, che sarebbe in effetti la cosa più interessante da scoprire, arrivo a una sola conclusione: fu un accoppiamento del tutto arbitrario, frutto solo di improvvisazione. Credo perciò sia da attribuire unicamente al caso il fatto che alcune parole siano nate quelle e non altre, al massimo a un capriccio gutturale maturato all’interno di una caverna. E solo a un caso quindi che la gazzella non si sia chiamata maiale e il maiale non si sia chiamato gazzella. Eppure come immaginarla mentre spicca quei salti impossibili o mentre scatta leggera tra gli sterpi della savana appesantita da un simile fardello?

https://antichecuriosita.co.uk/il-destrutturalismo-punti-salienti/

https://www.ilcucchiaionellorecchio.it/2019/11/qui-canta-lest-qui-beve-loccidente/

 

 

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