Vincenzo Monti, salotto, potere

Vincenzo Monti, salotto, potere

Vincenzo Monti, salotto, potere

Vincenzo Monti, salotto, potere

Il trono, credit Mary Blindflowers©

 

Vincenzo Monti, salotto, potere

Mary Blindflowers©

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Tempo fa una signora di nome Valduga, la cui fama un poco appannata richiedeva forse una dichiarazione eclatante che facesse di nuovo parlare di lei, disse testuale che Vincenzo Monti era un vero poeta mentre Leopardi non lo era. Senza motivare minimamente in modo critico questa abissale supercastroneria, ha poi continuato denigrando Leopardi come ingordo “mangiatore di gelati”.
È noto che i letterati da salotto non amino molto il poeta di Recanati che a sua volta detestava il salotto e lo descrisse a tinte fosche ridicolizzandolo nelle sue epistole.
In Gino Raya, Ottocento letterario, studi e ricerche, F. Ciuni Libraio Editore, 1939, edito a Palermo, è descritto molto bene il metodo utilizzato da Vincenzo Monti per fare carriera nelle belle lettere.
Dice Raya che la vita del Monti si può dividere in tre periodi:

Il primo, che in senso largo potrebbe dirsi della giovinezza, è quello romano (1778-1797), nel quale il provinciale intelligente fiuta ogni strada per farsi largo e onore; il secondo che si concentra nella Milano napoleonica, rappresenta la piena maturità del Monti nei suoi trionfi letterari e nella vita privata; il terzo che va dal ritorno degli Austriaci nel Lombardo-Veneto, alla morte del poeta (1814-1828), rispetta le tristezze e gli acciacchi della vecchiaia.

Raya tratta del primo periodo e ci descrive, citando le sue lettere, un Monti arrivista, cinico, freddo calcolatore, disposto a tutto pur di fare carriera e che si trasferisce a Roma unicamente per curare “il proprio interesse”. Infatti è a Roma che passa di protettore in protettore, ottenendo il segretariato presso il duca Luigi Braschi, nipote di Pio VI. Nonostante questa carica, il Monti, avido di denaro, continuava ad assillare i fratelli per farsi dare altri quattrini e non ottenendone a sufficienza si rivolgeva anche ad estranei. Anche quando morì il padre, nel 1785, la sua preoccupazione maggiore riguardava il denaro: “Nostro padre”, scrive il Monti al fratello, “sta certo meglio di noi… vorrei una copia del testamento”.

Monti è noto anche per aver tradotto Omero. In una lettera a don Cesare del 26 ottobre 1790 egli scriveva che aveva bisogno di soldi per portare a termine il progetto:

Car.mo, Fratello, Vi prego di non far cattiva accoglienza a questa lettera… perché contiene una dimanda di denaro, e non sono io veramente che ve li chieggo ma il mio stampatore, il quale vuol essere pagato di due libri che ormai ha finito di stamparmi, e sono la traduzione d’Omero. Fuori di burla: mandatemi tutto quello che potete, perché diversamente non fo buona figura né adempio il dovere di galantuomo.

Gino Raya molto opportunamente commenta:

A parte il fatto che quella stampa del 1790 è quasi di certo inesistente, Vincenzo non si mette nei panni del fratello, il quale potrebbe dirgli: – ma perché hai fatto stampare quella traduzione, se non potevi pagarla?- Il fratello deve pagare perché diversamente il poeta non fa buona figura. Comodo ragionamento…

Inoltre se la poesia leopardiana, scaturiva da riflessioni filosofiche e studi profondissimi mai cortigianeschi, Monti incensava il potere. Appena arrivato a Roma infatti, scrisse un altisonante sonetto in onore del monsignor Spinelli che per ricompensarlo di tante sudate fatiche letterarie, gli regalò un bell’anello di diamanti.
Anche il concetto di amicizia per Monti era assai controverso. Il Bettinelli prima venne da lui definito “perfetto egoista, pazzo fanatico”, (1781), poi nel 1806, Monti decise che sarebbe stato più conveniente cambiare idea e gli scrisse della sua “brama di abbracciarlo e di seppellire nei puri sentimenti dell’amicizia la molesta memoria dei passati…”, ma poi quando, come scrive Raya “il venerabile Nestore dell’Italiana letteratura” passò a miglior vita, non essendogli più utile, il nostro si rifiutò “di collaborare all’antologia in onore dell’illustre defunto”.
Monti strinse cordiali relazioni con l’abate Serassi, ma in privato lo definiva “bilingue idolatra di tutte le merde del Cinquecento e dei periodi che mai non finiscono… un vero asino”.
Vincenzo scriveva molto su commissione dei potenti, sonetti e componimenti che definiva “grattacapi per la celebrità”, e snobisticamente aggiungeva: “mance per il volgo”, e come specificato nelle sue lettere, a volte scriveva senza sapere nulla nemmeno dei soggetti di cui parlava:

Appena voi mi avete domandato un sonetto per San Niccolò… io ve ne mando due… Voi scegliete quello che più vi aggrada… a me sono così ignoti i fatti di questo santo, che non sapevo nemmeno se fosse stato al mondo… questo sonetto è appropriabile a qualunque santo…

Le do la nuova che il nostro p. confessore di San Silvestro abbandona Ferrara, e a me è toccato di piangere in un sonetto la sua partenza a nome delle sue monache…

È morta ultimamente la duchessa di Caserta, sorella del Cardinal Corsini. Questa è stata non picciola disgrazia per me… Un mese prima di morire mi aveva data l’incombenza di fare un componimento drammatico da cantarsi per le nozze del Principe di Sermoneta suo figlio con la principessa Albani. Ero sicuro di una buona ricompensa alle mie fatiche già terminate, ed ora non so se il duca di Caserta… non so se egli avrà ereditato i pensieri della morta sua moglie (Roma 17 aprile 1779).

Sono stato per tutto questo tempo occupato in comporre due componimenti drammatici da cantarsi verso la fine di questo mese nel palazzo del cardinale De Bernis per festeggiare la nascita del Delfino di Francia. Vi saprò poi dire cosa mi ha fruttato. Se il regalo è minore del valore di cento zecchini per lo meno, v’assicuro che rinuncio per sempre alla poesia (13 febbraio 1782).

“Fategli qualche riverenza ad angolo retto” (scrive così al fratello per indurlo ad ottenere un favore).

Monti in relazione alla polemica con l’abate Mazza che detestava, fece però sapere a Bodoni che non lo avrebbe rovinato perché ha saputo che è un suo amico e gli amici degli amici non si toccavano: “Ma se voi siete divenuto suo amico io starò muto come l’osso di un morto e paziente come la pelle di un agnello sotto la concia”.

Sul conte del Bono, Monti che in pubblico fingeva di esser mansueto, scriveva: “Io voglio scorticarlo, ed inzuppar di sangue ogni sillaba, e pazienza se mancherò di rasoio”.
E ancora: “la situazione del Papa e di tutto lo Stato è sommamente critica… in caso d’urgenza mi appiglierò a qualche partito, fuorché a quello di abbandonare il mio Padrone”.

Io vi raccomando di regolarvi sempre con senno e in modo da non disgustare in qual si sia modo né i passati, né i futuri padroni (3 settembre 1796).

Il Monti era un servo del potere, un poeta prezzolato e avido, un arrampicatore sociale della peggiore specie, ma viene ricordato come un eroe nei salotti bene, questo perché i poeti da salotto, sono esattamente come lui. La celebrazione del Monti da parte della nota amante di Raboni e il relativo affossamento di Leopardi, rientra nel preciso programma salottiero di esaltazione dell’eroe stendhaliano, disposto a tutto pur di fare carriera. “La mia gloria”, diceva Monti, “è divenuta per me un idolo che esige qualunque sacrificio”. Monti è il prototipo dell’intellettuale contemporaneo, super raccomandato e pressoché illeggibile. Leopardi se la ride.

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

 

 

Comments (2)

  1. Mariano Grossi

    Che ce frega a noi, Valduga,
    della scriteriata nuga
    con la quale dà al Leopardi
    disistima, egli che i bardi
    si ponea sotto le braccia?
    Si vergogni in quella faccia
    e se poi lei incensa il Monti
    è ben giusto ci si adonti!
    Manco è buono a dir lo vero
    a tradur dal vero Omero

  2. Giuseppe Ioppolo

    Monti è il prototipo dell’intellettuale contemporaneo, super raccomandato e pressoché illeggibile. Leopardi se la ride.

    Si, se la ride, ma per quanto tempo ancora? Così continuando sarà il Monti e quanti come lui che torneranno in auge, ovvero pochissimi straricchi e tutti proni al potere… mentre cresceranno i piccoli Leopardi, sempre più a disagio, sempre più incazzati, sempre più oscurati!

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