Ha ragione Diego? No!

Ha ragione Diego? No!

Ha ragione Diego? No!

Ha ragione Diego? No!

Terra bruciata, credit Mary Blindflowers©

 

Giuseppe Ioppolo©

Ha ragione Diego? No!

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L’e-commerce svuota le città privandole di centri vitali essenziali per la comunità. Questa sembra la tesi desumibile da certe letture mainstream. Nell’articolo che segue tenterò di dimostrare che, se pure è vero un possibile sviluppo in tal senso, questo non è da addebitare solo e soltanto all’e-commerce. La situazione è un attimo più complessa. L’e-commerce infatti è solo uno strumento, uno strumento dalle grandi possibilità di sviluppo in tutti i sensi. Come lo sono stati l’auto, la ferrovia, l’aereo. Con la differenza d’essere un tantino più avvicinabile dalle grandi masse popolari nell’era in cui, il capitalismo post-globalista tende ad escluderle dall’utilizzare gli strumenti che sono stati i capisaldi degli scambi commerciali e della comunicazione tra i popoli, per via dei costi sempre meno attraenti se non del tutto respingenti. Quello che mi propongo di mettere in evidenza è che non sono tanto gli strumenti da abbattere, quanto un sistema che utilizza questi strumenti per creare differenze, alimentare privilegi, creare circoli chiusi del potere.
Scrive il noto Fusaro su fb il 10 gennaio 2024:

Il tema di cui voglio parlare riguarda gli acquisti in rete e in particolare cercherò di chiarirvi perché non dobbiamo comprare in rete ma solo nei negozi di prossimità. Proverò a spiegare questo punto in maniera semplice. Immaginiamo che Paolo abbia una pizzeria. Il libro che Paolo compra sulla piattaforma digitale costa un euro in meno della libreria di Giorgio sotto casa. Così accade che Paolo prenda il libro dalla piattaforma in rete risparmiando un euro, ma Giorgio soccombe alla concorrenza ed è costretto a chiudere la sua libreria e a lasciare a casa i propri dipendenti. Giorgio il libraio non potrà più andare in pizzeria, così come i suoi dipendenti, e più precisamente nella pizzeria di Paolo che ha comprato il libro sulla piattaforma e-commerce. Anche Paolo sarà costretto a chiudere la propria attività perché non avrà più i clienti di prima. Così entrambi non potranno più andare nel negozio di Anna, così anche Anna sarà costretta a chiudere. Per risparmiare un euro abbiamo distrutto la nostra comunità e le sue attività. Per questo motivo mi spingo a dire che non bisogna comprare in rete. Occorre comprare nei negozi di prossimità, anche se costa un euro in più. Non lasciamo che i colossi e-commerce distruggano la nostra comunità. Difendete il lavoro, la comunità umana, evitate che si compia l’infausto destino della globalizzazione, o meglio, della glebalizzazione, che secondo l’esempio evocato si caratterizza per la plebeizzazione della società per la produzione di una massa globale di soggetti ormai privi di tutto che si sono lasciati sedurre dalle sirene del mercato digitale, dell’e-commerce e delle comodità della globalizzazione, dietro al quale si nasconde la globalizzazione.

Detta così, non posso non dargli ragione. Mi vengono infatti i brividi nell’immaginare le città del futuro quali Città-fantasma, dove sono scomparse non soltanto le librerie ma anche le farmacie, i negozi di abbigliamento, le boutique, etc. Insomma un mondo dove, il negozietto sotto casa ha abbassato la saracinesca ed anche il supermarket ormai non ce la fa più. Un futuro fosco per masse sterminate di uomini e donne senza futuro, in balia della fame e della disperazione, quelle che l’intellettuale chiama masse, che sono diventate sempre più indistinte attraverso un processo di globalizzazione ancora oggi in essere.
Eppure accanto a questa storia occorre scrivere un’altra di cui mai si parla. Paolo, che compra il libro dalla piattaforma e-commerce è rimasto senza lavoro. La sua impresa ha trasferito i suoi impianti altrove, un altrove dove i salari sono più bassi e gli stati assenti o ormai totalmente conquistati ed asserviti dalle (alle) gioiose macchine da guerra del global-capitalismo, dove lo stato sociale non esiste, i profitti sono alle stelle i popoli sono ridotti pelle e ossa, la povertà è considerata come una colpa.
E mentre Paolo perdeva il lavoro, Giorgio, il libraio, dava spazio nella sua libreria alle ragioni del “Capitale”, non solo, definiva Paolo uno sfigato con scarsa o nulla voglia di lavorare in caso non accetti un lavoro da 4 euro l’ora. E questo succedeva anche da Antonio, il titolare del panificio magari ereditato dal padre; da Lilla, la signora della boutique di lusso per pochi ma non per tutti; da Rosita, la parrucchiera chicchettosa sottocasa con ampio salone e aiutanti sottopagate; da Carlotta, la titolare della profumeria magari in centro con commesse che non devono superare una certa età; da Lorenzo, il farmacista figlio di farmacista, etc. Tutti a comprendere le ragioni del “Capitale” che non ne può più di diritti, doveri, lacci e laccioli e si trasferisce dove c’è libertà d’impresa (ovvero assenza di diritti per i lavoratori e di doveri per il datore di lavoro).
Nessuno di loro mostra solidarietà verso i tanti Paolo che a decine di migliaia restano senza lavoro, alcuni giovani, altri meno giovani e con la necessità di reinventarsi un lavoro a 50-60 anni. Ora Paolo ha trovato un datore di lavoro di quelli che chiedono solidarietà: non può assicurargli uno stipendio come ad un lavoratore a tempo indeterminato ma solo come quello di un lavoratore a contratto. E nel contratto firmato da Paolo c’è un numero di ore da lavorare ch’è la metà di quella reale e la retribuzione contrattata pure. Però il datore di lavoro è comprensivo e di tanto in tanto premia la buona volontà di Paolo con qualche fuoribusta esentasse.
È buono e comprensivo il datore di lavoro di Paolo ma non gli si deve parlare di trasformare il lavoro con un contratto a tempo determinato in uno a tempo indeterminato. Se Paolo si dovesse azzardare a chiederglielo, il datore di lavoro buono e comprensivo s’incazzerebbe di brutto. Fa niente che sono più di due anni che Paolo lavora con un contratto-capestro.
Ora Paolo ha capito che se la sera deve portare qualcosa da mettere nel piatto deve risparmiare su tutto e prima d’ogni cosa sui libri. A Paolo è sempre piaciuto leggere. Quando lavorava nella fabbrica, quella che s’è trasferita altrove, non perdeva occasione di comprare libri. Leggeva di tutto. Dai romanzi alla saggistica, dalla poesia, alla commedia, alla tragedia. Paolo ha sperimentato sulla sua pelle prima la tragedia del restare senza un lavoro, poi quella di vivere d’un lavoro precario.
Mi chiedo, come ce la possiamo prendere con Paolo che, purtroppo per lui, ha necessità di risparmiare anche un solo euro su un libro? E come possiamo solidarizzare con i vari Giorgio, Antonio, Lilla, Rosita, Carlotta, Lorenzo che, quando Paolo s’è trovato in difficoltà, si sono girati dall’altra parte? Eppure, nonostante tutto, Paolo non è così insensibile alla richiesta di solidarietà e sarebbe anche disposto a comprare da Giorgio, Antonio, Lilla, Rosita, Carlotta, Lorenzo.
Vogliamo allora parlare delle magnifiche sorti e progressive del capitale? E vogliamo parlare del fatto che l’editoria, tutta l’editoria, salvo rarissime eccezioni, s’è inchinata alle magnifiche sorti e progressive del Capitale e che in libreria arrivano solo libri di sistema? Paolo non aspetta che di ragionare. Dunque perché non riprendere il filo d’un ragionamento critico sul capitalismo e le sue sovrastrutture culturali di cui l’editoria è solo un aspetto? Perché non coinvolgere in questo ragionamento anche Giorgio, Antonio, Lilla, Rosita, Carlotta, Lorenzo e quanti altri che, per convinzione, per comodità, per opportunismo, sono saltati sul carro d’un capitalismo che distrugge lavoro, benessere, civiltà? Paolo saprebbe rinnovare come d’incanto la sua solidarietà. Ma non gliela possiamo chiedere fin quando nelle edicole troveremo esposte in prima fila le pubblicazioni dell’editoria della cultura dominante, dove si cantano le lodi del libero mercato e dell’economia capitalista nonché quelle politiche e familistiche dei circoletti chiusi e delle raccomandazioni e dove fanno la fila per acquistarle Giorgio, Antonio, Lilla, Rosita, Carlotta, Lorenzo.
Per concludere, non è sufficiente prefigurare il deserto delle città come conseguenza dell’e-commerce per poter ingaggiare una battaglia politica e culturale contro la desertificazione dei centri urbani. Questa è già in gran parte avvenuta quando a grandi masse, urbane e non, sono state sottratte le condizioni minime di agibilità e confronto politico e culturale. Quando le sedi fisiche di questo confronto sono sempre più diventate monopolio di ristrette cerchie di potere: L’editoria del libro doc, della stampa e dell’audiovisivo. Perché la desertificazione non consiste soltanto nello spopolamento: essa è già in essere quando la cultura dominante cancella ed omologa ogni differenza, ogni idea che ad essa si oppone. E preesisteva ancor prima dell’e-commerce, che invece ha aperto spazi nuovi, da soli certo non sufficienti per creare varchi di cultura alternativa.

Ha ragione Diego? No!

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

 

 

 

Comments (2)

  1. Giorgio Infantino

    e intanto a me è venuto il mal di testa. non potevi trattare come tema Diego Armando Maradona ? Scherzo come al solito. Bella risposta, ma Diego (Fusaro) non ha del tutto torto.

  2. Mariano Grossi

    Non capisce un tubo Diego
    ed adesso ve lo spiego.
    Se tu circoscrivi il male
    all’e-commerce non hai sale
    nella zucca, perché oramai il globale
    ha distrutto col suo strale
    la città del solidale.
    Diego, sei cascato male!

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