E Petite, la perla?

E Petite, la perla?

E Petite, la perla?

E Petite, la perla?

Vetrine, credit Mary Blindflowers©

 

Lucio Pistis & Sandro Asebès©

E Petite, la perla?

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Anna Bonacina, Petite, la perla del Moulin Rouge, Harper Collins Italia. Il romanzo ambientato ai primi del Novecento, ha il sapore di un romanzetto rosa vintage di quinta categoria. Lo stile è scorrevole ma sempliciotto, la trama veramente inconsistente, all’acqua di rose, i personaggi ridicoli e superficiali, non c’è introspezione, infatti. I dialoghi rivelano la terribile inconsistenza del romanzo, sono banalissimi e inverosimili.
La protagonista, Juliette, una ragazza viziata, abituata a ottenere sempre tutto dagli uomini e dalla vita, a un certo punto, desiderosa di movimentare la sua esistenza di donnetta frivoletta, scappa di casa e incontra durante il viaggio in treno un perfetto sconosciuto.
La conversazione che l’autrice immagina è questa:

“Siamo a Parigi?” chiese allarmata al giovanotto seduto di fronte a lei.
“Il treno si è fermato prima di Parigi. Una granata sulle rotaie. Pare che due ragazzini abbiano avuto la brillante idea di farla esplodere. Staremo fermi per delle ore, state sicura…” Eppure non sembrava dispiaciuto mentre lo diceva… “Ve l’hanno mai detto che quando ridete vi si formano delle irresistibili fossette? E arricciate anche il naso, ma vi prego di non smettere di farlo, le rughe vanno sfidate!… Ditemi Juliette, posso chiamarvi Juliette, vero? È la prima volta che andate a Parigi?”
“A dire il vero sì. È la prima volta. E voi ci andate spesso? Non vedo l’ora di vedere se è come me la sono sempre immaginata”.
“Ne dubito, nessuno può immaginarsi Parigi. Anzi, sì, certo che può… Parigi è come una bella donna… E sei costretto a innamorarti di lei da capo, per la centesima volta…”

Se il dialogo avesse un nome si chiamerebbe banalità, senza considerare il ridicolo di uno sconosciuto ventiseienne che dà consigli smielati ad una diciassettenne in materia di sfida alle rughe e le fa i complimenti niente po’ po’ di meno che per le fossette. Le notazioni su Parigi attingono dal repertorio classico sulla città considerata universalmente la ville de l’amour. Una sequela di déjà-vu che ha il solo scopo della conquista spicciola, tant’è che quando lo sconosciuto chiede se la fanciulla abbia una meta e lei risponde di no, si offre subito volontario per farla mangiare, chiamandola “bambina”, dicendole di fare “la brava” e comunicandole di voler salvare “donzelle sperdute” tanto da voler organizzare la vita di una che ha appena conosciuto su un treno, trattandola come una ritardata:

“Adesso permettetemi di offrirvi la colazione e poi vedremo anche di organizzare un po’ della vostra vita parigina, d’accordo?… Ditemi solo una cosa, e poi andiamo a mangiare, quanti anni avete? Oh, non fate quella faccia! Non lo dico per sgridarvi o rimandarvi in un posto dove non volete più stare…”
“Diciassette”, mugugnò Juliette…
“Una bambina, oh be’! Non fatevene un cruccio, crescerete!… È l’età giusta per fuggire a Parigi… Fate la brava, non tenetemi il broncio… Brava bambina!”

Poi vanno a mangiare, lei gli chiede se è fidanzato, altri dialoghi più sciapi di una tartina senza sale si susseguono, e la piccola Juliette “sfoderando le fossette” e piegando la testa, va a casa dello sconosciuto che la ospita e si va verso il futuro…
Ma si può immaginare una sequenza di castronerie peggiori di queste?

Il lessico e la struttura grammaticale zoppica sin dal prologo dove leggiamo: “E se ogni tanto si ricordava che di certo sua madre l’avrebbe guardata con orrore e vergogna, scrollava le spalle, scuotendo la testa sorpresa non tanto della sua stessa noncuranza quanto dal fatto che ancora riusciva a ricordare quel viso severo e dolente”.  La lessicopenia è evidente nel momento in cui si usa il verbo ricordare due volte nel giro di due righe (rammentare, venire in mente probabilmente sono sinonimi inusitati per l’autrice, forse troppo complicati?); nel giro di due righe il participio passato del verbo sorprendere viene introdotto da due preposizioni articolate differenti, della e dal; di regola quel participio passato obbliga l’uso del complemento di causa efficiente, e la causa efficiente necessita la preposizione semplice “da” ovvero le articolate “dal/dallo” in base al genere del sostantivo che lo fisicizza. Leggiamo più avanti: “Come da bambina aveva imparato che fare il broncio rendeva a suo padre impossibile negarle qualcosa, aveva da ragazza affinato l’arte, aggiungendo a quella del broncio l’arte delle lacrime ecc.” Anche qui lessicopenia dilagante: “broncio” ed “arte” ripetuti nel giro di due righe: la scrittrice claudica nella ricerca dei sinonimi.
Come faccia un’autrice di simile esiguo spessore contenutistico e stilistico a pubblicare coi grossi editori, per noi resta un mistero ormai non più misterioso.
L’editoria è diventata un pantano in cui non si distingue la testa dall’ano e in cui è difficile orientarsi.
Non possiamo che buttare il libro dalla finestra, augurandoci tempi e scrittori migliori, più che una perla, Petite è una gerla di castronerie.

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

 

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