Figli, nipoti, Resistenza tradita

Figli, nipoti, resistenza tradita

Figli, nipoti, Resistenza tradita

Figli, nipoti, resistenza tradita

Il muro, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

Figli, nipoti, resistenza tradita

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Il dato più preoccupante che percorre ogni settore della società italiana è non soltanto la raccomandazione ma la naturalezza con cui la mentalità collettiva ne ha introiettato e assimilato l’essenza. Essere raccomandati per la maggior parte degli italiani è normale. Questo dato inquietante si rileva dalle reazioni entusiaste dell’italianotto medio di fronte a personaggi chiaramente in odor di nepotismo, gente che ha sistemato intere generazioni di figli, nipoti, collaterali, affini, amici, amiche, ovunque, nella tv, nell’università, negli uffici pubblici, nelle scuole, nelle forze armate, etc., gente che viene osannata e applaudita, secondo la machiavellica e orribile logica del fine che giustificherebbe ogni mezzo.
Ma il dato di logiche assurde percepite come ordinaria amministrazione, si rileva anche e soprattutto dalla furba strizzatina d’occhi che nelle interviste noti, notissimi personaggi, fanno a chi ascolta. Se Orwell parlava di omissione come elemento per nascondere la verità, chi arriva ad un livello di notorietà tale da sentirsi intoccabile, nell’italico stivaletto, non si fa nemmeno lo scrupolo di nascondere più di tanto come funzioni il meccanismo da cataletto, tanto sa che a nessuno importa nulla. In un Paese pronto a scandalizzarsi per tutto, il raccomandato è la regola che non turba più nessuno.
Ugo Gregoretti non ha difficoltà alcuna ad ammettere di essere un raccomandato, ce lo dice egli stesso, con assoluta nonchalance:

La sorte mi ha permesso di schivare il documentarismo classico italiano; facendo esperienza in Tv, nei cosiddetti servizi giornalistici, noi che eravamo dei giovanotti raccomandati senza arte né parte abbiamo elaborato uno stile e un linguaggio denominato poi giornalistico (Anile-Giannice, Operazione Gattopardo, editore Le Mani, p. 335).

Gregoretti racconta anche di essere stato favorito nel girare i suoi documentari e di aver avuto accesso ai palazzi sfolgoranti della nobiltà palermitana perché sua moglie era nobile:

Sbarcai quindi in Sicilia con la mia troupe, ma la società palermitana era molto chiusa, e io ero solo un giovane dall’aspetto civile e basta. Avevo però ai loro occhi un merito, del tutto imprevisto: quello di avere sposato una fanciulla dell’aristocrazia napoletana, con molti imparentamenti siciliani. Grazie a queste caratteristiche della mia consorte, mi fu consentito per esempio di riprendere interni di palazzi sfolgoranti… Si chiama Fausta Capece Minutolo del Sasso… mia moglie conosceva la principessa di Lampedusa…, che io, una volta a Palermo, circuii, perché… senza il suo consenso il documentario non si poteva fare. (Ivi, p. 333).

E ancora:

… mi davano molte informazioni. La principessa Alliata fece una telefonata alla principessa Lanza di Trabia raccomandandomi: avevamo già girato a casa sua, eravamo persone perbene, non avevamo rotto niente (Ivi, p. 336).

Già il termine “perbene” fa venire l’orticaria, ma Gregoretti non si ferma qua, chiarendo con ironia e tranquillità i noti rapporti della cosiddetta intelligenza di sinistra con la nobiltà. Parla anche di Fosco Maraini, il padre della (chissà come mai) nota Dacia, che aveva un merito pur esso, aver sposato la figlia della principessa Alliata, Topazia, che capeggiava un movimento femminista. Gianni Guaita aveva sposato invece l’altra figlia della principessa Alliata che da vera snob un po’ sgrammaticata, mostrava disappunto per queste unioni:

“Ma pensi a me che m’è capitato! Ci ho due figlie: una s’è sposata uno scalatore che sta sempre a scalare le montagnette”. E questo era Fosco Maraini. “Un’altra a Palermo a pianterreno del palazzo ha fondato un’associazione di braccianti”. E il marito di questa era Gianni Guaita… A Palermo percepii anche una misteriosa protezione del cardinale arcivescovo, il famoso Ruffini… (Ivi, p. 337).

Dev’essere esaltante fare i socialisti e i comunisti in villa bevendosi i rosoli dell’aristocrazia e del clero!

Del resto Citto Maselli non ha difficoltà ad ammettere i rapporti tra editoria e politica:

… oggi c’è la polemica se ci fosse o meno un’egemonia comunista nella cultura… secondo me l’egemonia culturale c’era. C’era, e io l’ho sfruttata, perché uno dei motivi per cui avevo un’attrattiva nei confronti di personaggi come Zavattini e Amidei è il fatto che ero un militante comunista e che avevo fatto la Resistenza… (Ivi, p. 325).

E anche sul Premio Strega, ormai del resto ampiamente sdoganato:

Il premio Strega è sempre stato molto gestito dal centro…c’è un tipo di gestione molto… Per il rapporto con le case editrici, per un insieme di cose che non è facilissimo a spiegare… La Rossarda non doveva vincere e non ha vinto… (Ivi, p. 327).

A questo punto una domanda, specie dopo le varie giornate della memoria, si impone.
Gli antifascisti italiani sono riusciti a realizzare dopo l’aberrazione fascista, una società democratica e egualitaria? La risposta è assolutamente no perché si è sostituita la dittatura con una democrazia corrotta basata su logiche aristocratico-borghesi respingenti per chiunque non voglia bersi i rosoli dell’upper class. Questa è la cultura che meritiamo? Una democrazia di solo amici di amici? Per questo i nostri nonni hanno fatto la Resistenza? La retorica sul memoricidio è bella ma c’è anche un’altra verità di cui non si parla volentieri e che spaccia come normale la logica aberrante del circolo chiuso che ancora oggi ha il potere e se lo tiene ben stretto. La Resistenza è stata tradita, la democrazia è fallita.

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

 

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