Uomo, macchina e sistema

Uomo, macchina e sistema

Uomo, macchina e sistema

Uomo, macchina e sistema

Stampa originale ci fine Settecento, credit Antiche Curiosità©

 

Fluò©

Uomo, macchina e sistema

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Pare sia stato Karel Čapek a coniare il termine robot in RUR, Rossumovi univerzální roboti dove i robot sono in realtà dei replicanti. La ribellione della macchina al proprio creatore diventa nella letteratura quasi un topos, un elemento riscontrabile in numerose opere.
Siccome la letteratura non nasce, contrariamente a quanti molti pensano, per risolvere problemi, ma per creare dubbi e riflessioni, un quesito nasce spontaneo: “fino a che punto dominiamo la macchina senza esserne a nostra volta dominati?”
Ma questa domanda non nasce soltanto in merito agli ultimi sviluppi dell’Intelligenza artificiale, un megaplagio che pone numerose questioni etiche, bensì proprio in via generale.
La macchina e la tecnologia contribuiscono infatti a rafforzare un sistema già esistente nelle civiltà dell’immagine diventata ora mera superficiale apparenza in cui i contenuti passano decisamente in secondo piano.
Sui social c’è gente che posta e poi si commenta e si mette il like da sola. Perché? Per avere più visibilità secondo i canoni di un freddo algoritmo. L’uomo si adatta al sistema e non viceversa. Tutte le volte poi che postiamo qualcosa su facebook dobbiamo autocensurarci perché “gli standard della comunità” che invero lasciano passare tante cose discutibilissime e volgari, non permettono questo e quello; perfino citazioni poco politicamente corrette di libri o immagini d’arte, possono incorrere nei tagli della censura che poi ti punisce come si fa coi bambini cattivi, rendendo i tuoi post meno visibili o impedendoti di postare per qualche tempo. L’uomo dunque, si adegua, come un robot, pur di far parte di un gruppo, pur di avere la possibilità di comunicare. Ecco dunque che i più accorti usano l’eufemismo o il simbolo per dire cose che normalmente non si potrebbero dire esplicitamente.
La letteratura fa lo stesso. Il problema è che non tutti sono letterati o in possesso degli strumenti per simboleggiare il pensiero, dunque nella maggior parte dei casi si notano bacheche tutte uguali, con messaggi tutti uguali, perlopiù preimpostati e che hanno superato le barriere della censura. I social stanno diventando una sorta di 1984 in cui si replica a pappagallo il pensiero dominante, si pubblicizzano autori noti, sempre perlopiù gli stessi, e si tarpano le ali a ogni pensiero creativo. Gli intellettuali, pur di ottenere like, si adeguano al clima di disfacimento neuronale generale e si addormentano nel plauso agli dei di turno.
Il risultato è che le persone diventano replicanti, non fanno che condividere pensieri in preconfezione di stupidità da nomea filtrata.
Non so quante volte avrò visto un post in cui si dice che Eco diceva che dei libri si può fare ciò che si vuole, comprarne molti di più di quanti sia possibile leggerne (consumismo), pasticciarli, sottolinearli, etc.
La gente sa che anche il libro è un prodotto?
Comprare enormi quantità di libri che non vengono letti per mostrare agli ospiti altolocati la propria fornitissima libreria, è un simbolo di distinzione sociale ma non è cultura, la cultura è leggerli quei libri e magari pure capirli, il resto è solo apparenza e snobismo di classe.
Inoltre… (continua su Destrutturalismo n. 6).

 

DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

 

 

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